Sussidiarietà  e riforma dei partiti

Stupisce la totale assenza delle rappresentanze di cittadini al seminario di Orvieto

Il seminario di Orvieto sul partito democratico è ormai archiviato da settimane. Ma nessuno dei commenti ospitati dai giornali in questi mesi è stato capace di interpretare il punto di vista di quelli che, del nuovo soggetto politico, dovrebbero essere almeno teoricamente gli azionisti principali.

Ad Orvieto non c’erano i cittadini.
Che in Italia esista un grande bisogno ed una grande richiesta di minore frammentazione dei partiti, di bipolarismo maturo, di democrazia governante è fuor di dubbio.
Lo dimostra l’impegno profuso da più di dieci anni da parte della cittadinanza attiva per la riforma del sistema politico sia a livello nazionale che locale.
Lo dimostra l’accoglienza della democrazia bipolare da parte di cittadini che avevano conosciuto nel corso della cd. ‘Prima Repubblica’ tutti i guasti e i ritardi del sistema proporzionale e del multipartitismo.
Lo dimostra l’orientamento degli elettori che hanno sempre premiato le opzioni di sintesi rispetto alla frammentazione e le novità maggioritarie come nel caso recente (ottobre 25) delle primarie per la scelta del leader dell’Ulivo.

Ma proprio per questo il dibattito sul partito democratico lascia più spazio allo sconcerto che entusiasmo. In primo luogo, stupisce la totale assenza delle rappresentanze di cittadini al seminario di Orvieto, prima, e nel dibattito della politica, poi. Si comprende la difficoltà di selezionare tra le molte realtà presenti nel mondo dell’associazionismo, del terzo settore, del volontariato, e così via.

La rinuncia ad un patrimonio di
credibilità

Ma è possibile organizzare un seminario come quello svoltosi ad Orvieto privandosi del contributo, delle esperienze e delle riflessioni delle numerose organizzazioni civiche italiane? E’ possibile, tant’è vero che è andata proprio così. Come esordisce il partito democratico? Rinunciando da subito a quella porzione così rilevante di società civile attiva e organizzata che da trent’anni in Italia è cresciuta tutelando i diritti dei cittadini nella sanità e nei servizi sociali, nell’ambiente e nei beni culturali, nella giustizia, nei servizi di pubblica utilità, nella scuola, e via dicendo.

Come conferma il Civil Society Index che sarà pubblicato tra breve anche in Italia, i partiti si classificano all’ultimo gradino nella scala dei soggetti pubblici che raccolgono la fiducia degli italiani. Al primo posto di questa speciale graduatoria stanno invece le organizzazioni civiche e di volontariato, che superano addirittura istituzioni tradizionalmente benvolute come il Presidente della Repubblica o le forze dell’ordine. Non coltivare questo patrimonio di credibilità, anche solo per motivi puramente opportunistici, è, insomma, puro autolesionismo. In secondo luogo, nonostante l’ampio ricorso ad esperti e ‘saggi’, manca nella riflessione cominciata ad Orvieto e ancora tutt’altro che conclusa un approccio serio al tema della cittadinanza attiva come risorsa del paese e come interlocutrice privilegiata di un soggetto politico che mira a riformare la democrazia italiana. Nel migliore dei casi si parla di ‘popolo delle primarie’ e si riduce così la partecipazione ad un ‘brivido’ estemporaneo e catartico.

Nel peggiore dei casi, la metafora è quella del ‘gazebo’ e la partecipazione viene addirittura trasformata in deriva plebiscitaria e antipolitica. Il vizio di fondo di questa finta dicotomia è che i cittadini sono presi in considerazione soltanto quando esercitano il loro voto, che è come dire quando servono per ottenere consenso. Meglio avere a che fare con il ‘popolo bue’ che con il cittadino sovrano. E’ sufficiente che il cittadino scelga chi lo governa, senza disturbare nel ‘mentre’ si governa.

Partecipazione o ceti politici
Certo, il seminario sul partito democratico ha affrontato questioni sacrosante. Due soprattutto: i rapporti tra le ‘famiglie’ politiche italiane e la forma organizzativa del nuovo partito. Tuttavia, la fusione tra socialisti e liberali o le diffidenze tra post-democristiani e post-comunisti non sono in cima ai pensieri degli italiani. Né lo è l’organizzazione interna del futuro partito. Il Paese è ormai troppo maturo per non comprendere che dietro questi discorsi si nascondono altri nodi: la resa dei conti tra vecchie classi dirigenti e le prospettive di ceti politici che non vogliono rinunciare a contare come nel passato.

Ridurre a caricatura la partecipazione degli italiani fa parte di questa strategia. Rimuovere il ruolo delle organizzazioni civiche pure. Non è l’unico caso. Basti pensare alla vicenda del 5 per mille per le organizzazioni non profit. Il provvedimento, introdotto dal centrodestra nella Finanziaria dell’anno scorso, è stato cancellato dal centrosinistra nella manovra di quest’anno per poi essere reinserito precipitosamente dopo le prime proteste.

Un bell’esordio
Un bell’esordio, non c’è che dire. Una ‘dimenticanza’ che spiega meglio di ogni altro comportamento quanto l’iniziativa civica e sociale sia presente nella mente dell’attuale maggioranza. Una scelta assai discutibile anche dal punto di vista dell’efficienza amministrativa perché rischiava di mandare a monte un’operazione poderosa senza averne valutato efficacia e risultati. Il rapporto tra partiti ‘nuovi’ (oggi il partito ‘democratico’, domani il partito ‘popolare’ o ‘dei moderati’) e cittadinanza attiva, in conclusione, non riguarda soltanto la crisi della rappresentanza dei partiti e l’emersione, nell’ambito della società civile italiana, di nuovi soggetti (le organizzazioni civiche, appunto).

La questione riguarda anche la fine del monopolio sull’interesse generale da parte delle istituzioni nelle quali i partiti esercitano ruoli di governo. Definire che cosa è veramente importante nelle politiche pubbliche della salute o della scuola, della giustizia o dell’ambiente è ambito di intervento diretto dei cittadini, checché ne pensino i promotori dei nuovi partiti. La stessa Costituzione, dopo la riforma del 21, ci dice che la partecipazione alla vita pubblica del paese non si realizza più soltanto attraverso partiti e sindacati come si riteneva un tempo alla luce dell’articolo 49. Ma anche attraverso l’esercizio della cittadinanza attiva in virtù del principio di sussidiarietà introdotto dal nuovo articolo 118. Se il partito democratico – che viene presentato come il partito dei cittadini – o altri partiti ‘nuovi’ non ne terranno conto sarà tutta fatica sprecata. Con buona pace anche di chi, tra gli elettori, potrebbe crederci davvero.