Chi si oppone alla semplificazione?

Roma o Maputo?


Il rapporto della Banca Mondiale Doing business in 25, intitolato Removing obstacles to growth, contiene dati interessanti sul diverso tasso di complicazione amministrativa nei vari paesi. Risulta così che per avviare un’impresa a Toronto occorrono solo 2 giorni, mentre ne occorrono 153 a Maputo; che dare esecuzione ad un contratto costa 1.3 dollari a Seul, contro i 2.42 dollari di Giacarta; oppure che per registrare la proprietà commerciale bastano 3 procedure ad Helsinki, contro le 21 necessarie ad Abuja.

Da questo rapporto non risultano i dati italiani, ma il rapporto 27 di Unioncamere sulla nostra economia induce purtroppo a ritenere che siano più vicini a quelli di Maputo che non a quelli di Toronto. Da tale rapporto risulta infatti che se nel 25 le imprese italiane avevano speso in pratiche amministrative 13,7 miliardi di euro, nel 26 questa cifra già impressionante è aumentata ancora, fino a raggiungere i 14,9 miliardi di euro. L’1 percento del Pil!

E nonostante questo i dati sul nostro sistema produttivo sono positivi: il Pil cresce e dovrebbe toccare il 2 per cento; gli investimenti dovrebbero passare dal 2,3 per cento dell’anno scorso al 3,2; l’occupazione è aumentata, così come il valore delle merci esportate all’estero.

Il declino che si paventava nei mesi scorsi forse è superato, sia pure al prezzo di una dura selezione fra le imprese: nel primo trimestre 27 ne sono sparite 14.2 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Quelle rimaste sono però più solide e possono contare da un lato su un costo del lavoro moderato, dall’altro sull’indispensabile contributo degli immigrati, che da soli producono l’8,8 per cento del Pil (da Repubblica 8 maggio 27, p. 41).

L’assurdo peso della burocrazia

Di fronte a questi dati non si può fare a meno di domandarsi quali traguardi potrebbero raggiungere le nostre imprese se le amministrazioni pubbliche, anziché ostacolarle, le sostenessero nel loro intraprendere. Del resto gli imprenditori non percepiscono l’amministrazione come un alleato, bensì come un avversario totalmente insensibile alle esigenze di imprese che devono confrontarsi ogni giorno con "sistemi-Paese" ben più efficienti.

Ormai da tempo per chiunque viva e lavori in Italia è evidente che quella della semplificazione dell’azione amministrativa non è un’esigenza contingente, bensì rispecchia un problema reale, strutturale, che deve essere affrontato con determinazione, perché insieme con la diffusa presenza della criminalità organizzata rappresenta un ostacolo fondamentale alla crescita civile ed economica del Paese.

I motivi della complessità

La complessità assurda ed insopportabile della burocrazia ha molte cause, fra cui il fatto che per rispondere alle crescenti e differenziate esigenze espresse dalla nostra società anche le istituzioni pubbliche hanno subito un processo di specializzazione e frammentazione che ne ha reso ancora più complicato il funzionamento.

Ma a questo si possono poi aggiungere altri fattori. In primo luogo una cultura amministrativa più attenta agli aspetti formali che non a quelli sostanziali della propria attività, per cui la principale preoccupazione dei funzionari pubblici consiste nello schivare accuratamente qualunque assunzione di responsabilità, non curandosi affatto degli effetti paralizzanti che questo ha sull’intero sistema-Paese.

E poi la tendenza insita in ogni organizzazione a crescere su se stessa, aggravata dalla abitudine tutta italiana di intervenire sull’amministrazione secondo il principio per cui "Tutto si aggiunge, nulla si distrugge", stratificando così uffici, norme, procedure e controlli.

La semplificazione come processo

La richiesta di semplificazione è dunque più che giustificata; semmai è necessaria una riflessione sul come semplificare, per passare da una concezione della semplificazione amministrativa come mero intervento tecnico ad una vera e propria “strategia della semplificazione”, adeguata alla complessità della nostra società e coerente con i principi delle grandi leggi di riforma degli ultimi anni, a cominciare dalla legge sul procedimento amministrativo (n. 241/199) per finire con il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, u.c. Cost..

E infatti proprio per essere coerente con i principi di trasparenza, di partecipazione e di sussidiarietà tale strategia di semplificazione dovrebbe fondarsi non più soltanto, come è avvenuto finora, su interventi dall’alto di governanti “illuminati”, bensì anche sul coinvolgimento sempre più intenso e capillare dei cittadini, dei soggetti economici e delle rispettive associazioni, in quanto nessuno meglio dei destinatari stessi dell’azione amministrativa è in grado di percepirne la complessità, segnalando dove intervenire.

La semplificazione non è neutra

Ma il coinvolgimento dei soggetti interessati alla semplificazione amministrativa non ha soltanto una valenza tecnica, di contributo di conoscenze. Esso ha prima ancora (e forse soprattutto) una valenza politica.

La semplificazione amministrativa non è un’attività politicamente neutra, perché semplificare comporta sempre delle scelte, sia che si tratti di semplificare norme di legge e di regolamento oppure procedure amministrative e strutture. Scegliere significa inevitabilmente privilegiare alcuni interessi a scapito di altri.

Ciò risulta più chiaro se anziché parlare di "semplificazione" si parla di "riduzione di complessità". Il problema da affrontare è rappresentato da un eccesso di complessità normativa o amministrativa: la soluzione consiste appunto nell’eliminare parte di tale complessità, riducendola a livelli che consentano uno svolgimento più semplice (e quindi presumibilmente migliore sotto il profilo dell’efficienza e dell’efficacia) delle molteplici attività che innervano il nostro sistema giuridico, economico e sociale.

Che cosa eliminare, come, secondo quali criteri: tutto questo comporta scelte che, andando ad incidere sulla tutela di valori, su assetti di interessi, su aspettative e così via, dal punto di vista degli apparati non sono indolori. Ridurre la complessità normativa o amministrativa di un apparato burocratico significa restringere le possibilità di scelta ed i margini di discrezionalità dei funzionari che operano al suo interno e questo inevitabilmente provoca resistenze.

Qualcuno ci guadagna

Essere consapevoli che la semplificazione burocratica non è un’attività meramente tecnica, neutrale, aiuta anche a capire chi possono essere gli avversari della semplificazione. Innanzitutto quei soggetti che grazie alla complessità burocratica sono riusciti a ricavarsi degli spazi di intermediazione fra i cittadini ed i soggetti economici, da un lato e gli apparati burocratici, dall’altro: agenzie di pratiche amministrative, professionisti, patronati, e altri soggetti simili sono sotto vari profili danneggiati dalla riduzione di complessità, perché è proprio tale complessità che giustifica la loro esistenza. Se i cittadini ed i soggetti economici possono accedere direttamente e facilmente agli uffici, se questi ultimi si fanno carico essi stessi di semplificare il rapporto con gli utenti, se le procedure vengono svolte on line e gli interessati possono seguirne direttamente via internet i vari passaggi, se insomma l’amministrazione e la sua attività vengono semplificate, gli utenti hanno meno bisogno di intermediari che, oltretutto, rappresentano un aggravio economico non indifferente. E dunque c’è da aspettarsi resistenze alla semplificazione provenienti appunto da queste categorie di soggetti.

Favori, non diritti

Un altro avversario della semplificazione, in particolare di quella amministrativa, è l’amministrazione stessa, per almeno due motivi, uno evidente, l’altro meno.

Il primo motivo consiste nel fatto che la complessità consente di trasformare i diritti in favori, aumentando il potere dei politici e dei funzionari; detto in altri termini, se per ottenere un determinato provvedimento che conclude un procedimento lungo e complesso un cittadino deve fare affidamento sulla disponibilità del funzionario, comunque essa sia stata ottenuta, è probabile che l’emanazione del provvedimento sarà percepita e presentata non per quello che è, ovvero l’adempimento di un dovere d’ufficio, bensì come un favore del funzionario nei confronti del richiedente, con tutte le conseguenze immaginabili in termini di aumento delle possibilità di prevaricazioni e anche di corruzione.

La complessità si sposta

Il secondo motivo è meno evidente ma facilmente intuibile se si considera che quella che per i cittadini è una semplificazione per le amministrazioni si presenta invece spesso come un aggravio organizzativo e procedurale. Un esempio lo si è avuto con l’applicazione delle nuove norme sulle autocertificazioni, che imponendo alle amministrazioni di accettare le autocertificazioni imponevano loro anche un nuovo onere, quello di svolgere controlli a campione su di esse per garantirne l’attendibilità.

Per far ciò le amministrazioni hanno dovuto individuare unità di personale da formare e poi adibire ai controlli, assegnare risorse finanziarie a tale attività, disciplinare procedure, stabilire rapporti con altre amministrazioni, e così via; tutte attività precedentemente non necessarie grazie al fatto che erano i cittadini stessi a procurare alle amministrazioni informazioni contenute in certificati e quindi dotate della qualità giuridica della certezza, assumendosene i relativi oneri.

In sostanza, le amministrazioni non vedono con favore questo tipo di semplificazioni perché sanno che se si elimina complessità dal sistema, una parte di tale complessità rimane intatta e viene semplicemente spostata dai cittadini e dalle imprese sulle amministrazioni che, ovviamente, fanno resistenza.

Il ruolo dei dipendenti

Fondamentale, per semplificare la burocrazia, è però il ruolo del personale, come sempre per qualsiasi riforma amministrativa. Ormai dovrebbe essere chiaro che la differenza fra una riforma fallita ed una realizzata non dipende soltanto dalla qualità tecnica delle norme che la disciplinano o dalla perfezione del suo disegno organizzativo, bensì soprattutto dalla motivazione, dal coinvolgimento, dalla preparazione professionale dei dipendenti chiamati a dare attuazione ai nuovi principi ed istituti.

Questo è particolarmente vero nel caso della semplificazione amministrativa, perché nel semplificare più delle norme conta la mentalità, l’atteggiamento verso i problemi, in una parola quella che di solito si chiama la cultura dell’amministrazione.

La consapevole partecipazione dei dipendenti al processo di semplificazione è tanto più importante in quanto non è affatto scontata né facile da realizzare. Essi infatti raramente, per non dire mai, sono messi in grado di percepire la semplificazione come un processo, sia perché l’organizzazione del lavoro negli uffici pubblici fa sì che essi vedano solo singoli spezzoni del procedimento, sia perché prevale tuttora nella classe dirigente politica ed amministrativa l’idea della riforma come evento. E questo porta ad una de-responsabilizzazione dei dipendenti pubblici, i quali difficilmente percepiscono se stessi come soggetti attivi di quel quotidiano susseguirsi di miglioramenti, anche piccoli, nei quali alla fine si concretizza buona parte della semplificazione amministrativa.