FInalità  sociali delle fondazioni

I benefici fiscali alle fondazioni dipendono dalle finalità  effettive perseguite dalle fondazioni

La sentenza

La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere sulla applicabilità  alle fondazioni di origine bancarie dei benefici fiscali vigenti nel sistema precedente all’emanazione del decreto legislativo n. 153 del 1999. La Corte di Cassazione, dopo aver compiutamente ripercorso l’evoluzione normativa e giurisprudenziale sul tema, ha ritenuto di rigettare il ricorso della fondazione Cassa di risparmio di Torino e di non includere gli ” enti conferenti ” fra quelli a fiscalità  privilegiata. Per comprendere la decisione è forse utile ripercorrere, sinteticamente, l’orientamento giurisprudenziale sul punto, che in questa occasione si è mostrato un po’ altalenante.
Nel 22, infatti, la Corte di cassazione con la sentenza n. 667 si era espressa favorevolmente alle Fondazioni riconoscendo il beneficio della riduzione alla metà  dell’aliquota Irpeg, di cui all’articolo 6, del decreto del presidente della repubblica n. 61 del 1973. Successive decisioni, di analogo tenore, hanno utilizzato, in chiave interpretativa, l’avvenuta privatizzazione delle fondazioni di origine bancaria ai sensi del decreto legislativo n. 153/99; il beneficio della riduzione alla metà  dell’aliquota Irpeg spettava anche alle fondazioni bancarie oltre che per le finalità  perseguite, anche perché l’amministrazione della partecipazione nella società  conferitaria dell’azienda bancaria non costituiva una attività  commerciale. Quanto detto, era confermato dal fatto che la normativa di riforma precludeva alle fondazioni una qualunque ingerenza nell’esercizio dell’attività  bancaria e, quindi, anche la possibilità  di operare come ” holding ” , esercitando in modo indiretto tale attività . Il regime agevolativo era, dunque, applicabile anche alle fondazioni già  esistenti al momento dell’entrata in vigore della disposizione di cui al decreto legislativo n. 153/1999 e con riferimento ai pregressi anni d’imposta, purché tali soggetti avessero svolto attività  senza scopo di lucro, secondo un giudizio accertabile.
Le recenti sentenze della Corte Suprema non hanno, però, confermato un siffatto orientamento.
Le sezioni unite con la sentenza n. 27619 del 26 hanno sostenuto che ” il riconoscimento in favore delle fondazioni bancarie dell’esenzione dalla ritenuta d’acconto sui dividendi da partecipazioni azionarie, prevista dalla legge n. 29 dicembre 1962, n. 1745, art. 1 bis, è subordinato alla prova, posta a carico del soggetto che invoca l’agevolazione, dell’effettivo perseguimento in via esclusiva di scopi di beneficenza, educazione, studio e ricerca scientifica, rispetto ai quali la gestione di partecipazioni nelle imprese bancarie assuma un ruolo non prevalente e comunque strumentale alla provvista delle necessarie risorse economiche[1]. In tale prospettiva, non può attribuirsi portata determinante alle trasformazioni disposte dalla legge 3 luglio 199, n. 218 e dal decreto legislativo 2 novembre 199, n. 356, tenuto conto del perdurare nel nuovo regime di un collegamento genetico e funzionale tra fondazioni ed imprese bancarie. L’accertamento di elementi che consentono di qualificare l’attività  della fondazione come esercizio d’impresa, conformemente alla nozione elaborata dalla giurisprudenza comunitaria, impone al giudice di disapplicare il citato art. 1 bis, ponendosi l’agevolazione da esso prevista come misura fiscale selettiva che, in quanto potenzialmente idonea ad influire sugli scambi e ad alterare la concorrenza, viene a configurarsi come aiuto di Stato, incompatibile con il mercato comune ” .

Il commento

Nelle sentenze in commento le sezioni unite hanno confermato quest’ultimo indirizzo giurisprudenziale, ” sia perché deriva direttamente dai principi affermati ” in precedenza dalle stesse sezioni unite, ” sia perché la rilettura delle norme di riforma, calate nel loro contesto storico-legislativo, confortano la tesi che il legislatore della prima riforma ha inventato un tipo di ente nuovo nel panorama legislativo, difficile da classificare, con caratteristiche che non si conciliano con quelle degli enti elencati nel decreto del presidente della repubblica n. 61 del 1973, articolo 6 o indicati nella legge n. 1745 del 1962, art. 1 bis ” . Secondo la Corte, gli enti conferenti, a causa del particolare vincolo genetico che le univa alle aziende scorporate, almeno fino a quando non è intervenuta la privatizzazione, non avevano alcuna ” somiglianza ” con gli enti fiscalmente agevolati di cui al decreto del presidente della repubblica n. 61 del 1973 e, quindi, ” la relativa normativa non può essere loro applicata né in via analogica (trattandosi di disposizioni eccezionali), ma neanche in via estensiva, posto che la ratio delle norme agevolative è da ricercarsi nella esclusività  e tipicità  del fine sociale in senso ampio, previsto per ciascun ente individuato in maniera tassativa. Né sono ammesse equiparazioni se non espressamente dichiarate dal legislatore ” [2]. Nelle sentenze 1587 e 1588 il giudice pone l’accento su quello che considera essere lo scopo principale ed originario delle fondazioni di origine bancaria ovvero ” la gestione del nuovo assetto organizzativo del settore del credito, nell’intento di consentire ai nuovi soggetti bancari, costituiti in s.p.a., di esordire sulla scena del mercato globale in maniera da reggere l’urto della concorrenza internazionale e della liberalizzazione, senza più alcun ombrello protezionistico ” .



[1] V. Ficari, Agevolazioni fiscali alle fondazioni (ex) bancarie ed aiuti fiscali di Stato: mala tempora currunt, in Diritto e pratica tributaria, 28, fasc. 2, pagg. 231-236.
[2] Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 22-1-29, n. 1588


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