Sussidiarietà  e beni comuni (1)

Carlo Donolo avvia una nuova rubrica dedicata ai beni comuni

I frequentatori di questo sito – come chi si occupa di pratiche di sussidiarietà e in genere gli operatori del Terzo settore – ben conoscono l’espressione “beni comuni”. Da qualche tempo essa è entrata nel vocabolario del discorso pubblico, e perfino qualche volta in quello politico. Ciò può essere l’indizio di un nodo di problemi collettivi che tenta di emergere alla consapevolezza. Sappiamo anche, però, che per lo più quelle parole sono utilizzate in modo generico, quando addirittura non vengono confusi beni comuni e bene comune. In questo modo “beni comuni” si prestano alla retorica dell’interesse generale, o magari della solidarietà e della coesione. Dato poi che comunque essi non incidono sugli altri termini del discorso politico (quali: crescita economica, produttività o debito pubblico) si tratta di un uso a basso costo, poco impegnativo e sostanzialmente ipocrita.

Una riflessione sui beni comuni

Se qui, invece, proponiamo una riflessione (che sarà articolata su più interventi e potrà generare, se tutto va bene, una vera e propria rubrica dedicata al tema) sui beni comuni è perché siamo convinti che quelle parole stanno assumendo un valore centrale per la nostra vita comune e per le prospettive della nostra società nel contesto globale. È necessario però prenderle molto sul serio, chiarirne il senso, e ricostruirne le tante implicazioni. E si può subito anticipare che i beni comuni sono centrali per ogni processo sostenibile, per lo sviluppo locale, per la coesione sociale, per i processi di capacitazione individuale e collettiva. E che la stessa sussidiarietà è in primo luogo capacitazione al governo di beni comuni. Tutte belle cose che sarà bene esaminare più in dettaglio, come cercheremo di fare poco a poco.

Il sapere stesso è un bene comune

A livello mondiale è disponibile un’immensa letteratura sui beni comuni e sui loro problemi: economica, sociologica, giuridica, politica. Gli apparati analitici utilizzati sono molto complessi e non sempre di agevole comprensione per i non addetti ai lavori. Si potrà notare subito, però, che questo corpo di conoscenze a sua volta costituisce un bene comune di grande rilievo, cognitivo e virtuale ed anche con grandi implicazioni normative. In generale il sapere è un bene comune di prima grandezza, lo è stato sempre come lo sono stati gli artefatti prodotti dall’intelligenza umana, ma oggi che siamo entrati in una fase storica definibile come “società della conoscenza” ciò è ancora più vero. E – proponendo un tema che poi sarà approfondito – diremo che il governo dei beni comuni richiede conoscenza e consapevolezza sociale ben informata, e quindi una forte sinergia tra beni comuni naturali e virtuali (principalmente cognitivi ed istituzionali, e sotto quest’ultimo profilo ritroveremo anche la sussidiarietà).

Ci vuole un “collante sociale”

Finora, prudentemente, non abbiamo ancora proposto una definizione del nostro oggetto. Abbiamo solo fatto appello ad intuizioni condivise, almeno all’interno del nostro pubblico di riferimento. “Si sa” che ci sono beni diversi da quelli oggetto di proprietà privata, che esistono diverse forme proprietarie, variamente differenziate nei loro statuti giuridici, sappiamo infine che nelle nostre società – che sono pur sempre più capitalistiche che democratiche – si afferma una tendenza quasi violenta nel trasformare tutto quanto è pubblico, comune, condiviso, in bene appropriato, privatizzato. Per ragioni che sono legate sia ai processi di accumulazione su scala globale, sia alla particolare configurazione dell’individuo ipermoderno, fondamentalmente utilitarista ed acquisitivo.
Possiamo intuire, anche senza essere sociologi, che le società per persistere nel tempo e non sfaldarsi rapidamente in modo entropico hanno bisogno di un legante condiviso, per quanto minimale, variamente identificato nelle varie dottrine. Ma sempre con riferimento a un elemento di condivisione, comunanza, compartecipazione. Nelle società in cui il soggetto individuale si è emancipato non solo da molti legami sociali pregressi e spesso obsoleti, ma anche in generale dall’idea che ci sia qualcosa che lo leghi al destino degli altri, è diventato molto più difficile identificare il fattore aggregante e il collante. Tutte le scienze sociali del ‘9 si arrovellano intorno a questa questione.

I beni comuni sono un fattore aggregante

Ora, anticipando una tesi che potrà essere argomentata solo un poco alla volta, i beni comuni (prima ancora di definirli più precisamente) sono un fattore di quel tipo, o forse addirittura sono appunto l’elemento unificante che si stava cercando. L’emergere dell’espressione “beni comuni” nel discorso pubblico sembra segnalare che la crisi del legame sociale, nelle società più modernizzate senz’altro, ma in forme anche più drammatiche e paradossali in quelle che ora si stanno avviando ad alta velocità su un sentiero di crescita, ha raggiunto livelli assai critici e che la ricerca di una base comune diventa sempre più impellente. Vedremo poi se e fino a che punto i beni comuni potranno soddisfare questa esigenza, che ormai viene formulata anche nei documenti programmatici delle grandi agenzie internazionali oltre che in quelli dell’Unione Europea.

L’assoluta centralità dello statuto dei beni comuni

Per cominciare a soddisfare una legittima curiosità diciamo che i beni comuni sono un insieme di beni necessariamente condivisi. Sono beni in quanto permettono il dispiegarsi della vita sociale, la soluzione di problemi collettivi, la sussistenza dell’uomo nel suo rapporto con gli ecosistemi di cui è parte. Sono condivisi in quanto, sebbene l’esclusione di qualcuno o di qualche gruppo dalla loro agibilità sia spesso possibile ed anche una realtà fin troppo frequente, essi stanno meglio e forniscono le loro migliori qualità quando siano trattati e quindi anche governati e regolati come beni “in comune”, a tutti accessibili almeno in via di principio.
Sono condivisi anche in un senso più forte, in quanto solo la loro condivisione ne garantisce la riproduzione allargata nel tempo, e almeno per un nucleo più duro di beni comuni “essenziali” se non condivisi (il che propone sempre problemi di contratto sociale, di governance e di buongoverno) la vita sociale diventa insostenibile fino a un punto di catastrofe. La rilevanza dell’aggettivo “comune” viene enfatizzata dal dato di fatto che i processi dominanti oggi a livello locale e globale sono invece centrati su appropriazione, privatizzazione e sottrazione alla fruizione condivisa di tantissimi di questi beni. Da qui l’inevitabile conflitto sullo statuto dei beni comuni, un tema questo che – tanto per capirci – ha oggi lo stesso rilievo che potevano avere a metà ottocento la lotta di classe e il socialismo.

Beni comuni naturali e virtuali

Nell’universo dei beni comuni rientrano, in primo luogo, i beni comuni “naturali” intesi come l’insieme delle risorse naturali e dei servizi che gli ecosistemi forniscono al genere umano. In secondo luogo, i beni che l’intelligenza umana ha progressivamente creato, in termini di conoscenza, saper fare, istituzioni, norme, visioni. Specificamente poi quella parte di intelligenza che è stata applicata al governo dei beni comuni naturali, quella complessa interfaccia che rende possibile e produttivo lo scambio uomo-natura, e che oggi potremo sintetizzare nella parola tecnologia. Questa componente la chiameremo dei “beni comuni virtuali e artificiali”. Essi si “aggiungono” a quelli naturali come uno strato ulteriore sia funzionale che di senso. Lo si può capire pensando a un paesaggio che è insieme ecosistema (bene comune naturale), artificio (come effetto per esempio di pratiche culturali) e bene simbolico (valore culturale interpretato ed istituito). La complessa relazione tra beni comuni naturali e virtuali sarà uno dei temi più critici di cui dovremo occuparci.
Anche così siamo restati sulle generali. Ma qui volevamo suscitare interesse per un tema che per la sua complessità può essere sviluppato solo a tappe. Quindi alla prossima.

Letture per approfondire

Il lettore interessato può leggere con profitto: E. Ostrom, Governare i beni collettivi, Marsilio; Bratti-Vaccari (a cura), Gestire i beni comuni, Edizioni Ambiente; F. Cassano, Homo civicus, Dedalo; C. Donolo, Sostenere lo sviluppo, B. Mondadori.