Il principio di sussidiarietà  impone ai legislatori, statale e regionale, di rendere i cittadini parti attive del sistema dei servizi alla persona, promuovendo l ' assunzione di pubbliche responsabilità 

Dopo un’attenta analisi del riparto di competenze legislative chiarito dalla Corte costituzionale a partire dalla sentenza 282/22, l’Autore si concentra sull’attuazione del principio di sussidiarietà nella legislazione regionale. Egli esamina, in primo luogo, l’allocazione delle funzioni amministrative tra i diversi livelli di governo, riscontrando la centralità dei Comuni nel campo dell’assistenza sociale; mentre, in ambito sanitario, il rapporto tra Regioni ed enti locali appare maggiormente eterogeneo: da un lato gli enti territoriali sono esclusi dai compiti di gestione diretta e di erogazione delle prestazioni; dall’altro, però, i Comuni sono coinvolti nelle attività di programmazione e di valutazione del servizio che spettano alla Regione.

L’Autore sottolinea come l’attuazione del principio di sussidiarietà verticale non può realizzarsi attraverso una rigida separazione delle attribuzioni, ma necessita di un rapporto ispirato alla collaborazione e alla concertazione, attraverso sedi di raccordo quali la Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale.

Viene, infine, esaminato il ruolo dei soggetti privati nella programmazione e nell’erogazione dei servizi alla persona, che a livello regionale ha visto diversi modelli di regolazione. Per l’Autore la genericità dell’art. 118 u.c. Cost., non può che risolversi nella “necessità del coinvolgimento delle espressioni dell’autonoma iniziativa dei cittadini nei sistemi dei servizi sociali e sanitari: i legislatori, statale e regionale, sono perciò obbligati a rendere questi soggetti parti attive del sistema dei servizi alla persona, promuovendo l’assunzione di pubbliche responsabilità da parte di questi soggetti”.

Nel quadro di un sistema integrato, per quanto riguarda l’ambito dei servizi sociali, l’Autore osserva come sia ampia la discrezionalità del legislatore ed esamina la legislazione regionale, la quale solo in alcuni casi esclude la partecipazione dei soggetti privati a carattere lucrativo , mentre in altri esprime il favor nei confronti del terzo settore e riserva la partecipazione all’attività di programmazione ai soli soggetti non profit.

Qui si rinvengono, però, aporie in ordine all’individuazione di tali soggetti da parte del legislatore sia statale che regionale. L’assenza di una individuazione sintetica del terzo settore, sostituita da elenchi di soggetti non lucrativi finisce per acuire l’incertezza già generata dalla legge quadro.

Diverso è il caso del settore sanitario in cui, tendenzialmente, tutti i soggetti privati vengono posti sullo stesso piano, a prescindere dal fine di lucro perseguito. L’Autore esamina, quindi, la partecipazione di tali soggetti alla programmazione e all’erogazione dei servizi, attraverso il Piano regionale e gli istituti dell’autorizzazione e dell’accreditamento. Nell’analisi emerge come i legislatori regionali siano stati orientati, più che dal principio di sussidiarietà sancito dall’art. 118 Cost., dalle concrete disposizioni degli interventi legislativi statali, posti in attuazione del principio stesso.

PARIS D., Il ruolo delle Regioni nell’organizzazione dei servizi sanitari e sociali a sei anni dalla riforma del Titolo V: ripartizione delle competenze e attuazione del principio di sussidiarietà, in Le Regioni, 27, 983 ss.