Il potere diffuso dei cittadini attivi

Solo un potere può limitare un altro potere. Ma la sussidiarietà  può essere un contrappeso al potere oligarchico?

I regimi contro cui si sono ribellati i giovani del nord Africa in questi ultimi mesi erano regimi totalitari. Erano cioè governati da piccoli gruppi al potere da molti anni, senza la possibilità, in assenza di libertà civili e di opposizione, di un’alternanza al potere.
I regimi democratici riconoscono e garantiscono i diritti di libertà e consentono l’alternanza al potere, ma tendono anch’essi a concentrare il potere in piccoli gruppi.

La tendenza all’oligarchia

E’ una tendenza naturale della democrazia rappresentativa, ci dice Gustavo Zagrebelsky (La Repubblica, 5 marzo, La democrazia contro le oligarchie) “la riduzione del potere in poche mani, nelle mani di élites” a causa “della ’ferrea legge delle oligarchie’: una legge che esprime una tendenza endemica, cioè mossa da ragioni interne ineliminabili, sia della democrazia sia delle stesse élites” basata “sulla constatazione che i grandi numeri, quando hanno conquistato l’uguaglianza, cioè quando la democrazia è stata proclamata (…) per ragioni strutturali ha bisogno di piccoli numeri, di gruppi di potere ristretti. Non basta. L’oligarchia non è però l’élite. L’oligarchia è l’élite che si fa corpo separato ed espropria i grandi numeri a proprio vantaggio. Trasforma la res publica in res privatae (…) per l’ovvia, antropologica legge del potere che già Montesquieu ha chiarito, nella sua crudezza: chi detiene il potere, se non incontra limiti, è portato ad abusarne. Le oligarchie del nostro tempo non incontrano altri limiti se non quelli rappresentati da altre oligarchie”.
Secondo Zagrebelsky pertanto “La democrazia è destinata a trasformarsi in oligarchia; l’oligarchia è in se stessa disuguaglianza di fronte alla legge; l’illegalità e la corruzione sono la conseguenza. Allora, dunque, alla domanda se le promesse della democrazia siano tali da non poter essere mantenute, la risposta sembra che debba essere: sì, non possono essere mantenute. Si fondano le democrazie e si mette in moto un processo destinato alla rovina delle società. Fermiamoci un momento, però, prima di questo passo fatale, del quale, se lo facessimo leggermente, ci dovremmo presto pentire, perché, abbandonata la democrazia, avremmo solo autocrazie e le autocrazie non sono un rimedio, sono anzi l’accentuazione dei mali (…).

La democrazia, una serie di strumenti

Potremmo forse dire così: la democrazia non è – nel senso che non può essere – l’autogoverno del popolo che si afferma durevolmente. È invece la possibilità istituzionalizzata, dunque resa stabile secondo procedure riconosciute e accettate, di combattere e distruggere sempre di nuovo le oligarchie ch’essa stessa nutre dentro di sé. Una definizione in negativo, dunque: qualcosa che si qualifica per essere contro un’altra. Da questo punto di vista, la democrazia è tutt’altro che un ideale impossibile. È invece una possibilità, cioè una serie di strumenti che spetta a noi di utilizzare, per tradurre in pratica l’avversione alle oligarchie. Se gli strumenti esistono e non sono utilizzati, non si può dire che non c’è democrazia, ma si deve dire che la democrazia (come possibilità) c’è e ciò che manca è la pratica della democrazia. Allora, la responsabilità dello scacco non deve essere addossata alla democrazia come tale, ma deve essere assunta da noi, incapaci di utilizzare le possibilità ch’essa ci offre”.

Sussidiarietà, per fare politica

Se si condivide l’analisi di Zagrebelsky, se si accetta l’idea che, fra le altre cose “la democrazia è una possibilità, cioè una serie di strumenti che spetta a noi di utilizzare, per tradurre in pratica l’avversione alle oligarchie”, la domanda che, a questo punto del proprio percorso, Labsus deve porsi riguarda la possibilità che il principio di sussidiarietà rientri fra questi strumenti di contrasto alle oligarchie. E che dunque sul principio di sussidiarietà possa fondarsi non solo un nuovo modo di amministrare grazie all’amministrazione condivisa, ma anche un nuovo modo di fare politica.
E’ vero infatti che finora abbiamo presentato la sussidiarietà essenzialmente come un principio costituzionale legittimante l’intervento dei cittadini nella produzione, cura e sviluppo dei beni comuni, materiali e immateriali. Quindi interventi di tipo eminentemente amministrativo, che non a caso hanno come interlocutori privilegiati gli enti locali.
Ma è anche vero che già diversi anni fa dicevamo che “La nuova forma di partecipazione alla vita pubblica che si realizza quando i cittadini si attivano ai sensi dell’art. 118, ultimo comma trova alimento nei diritti di libertà tradizionali ed al tempo stesso si configura come una nuova e più diretta forma di esercizio della sovranità popolare. Grazie al principio di sussidiarietà i cittadini attivi possono esercitare la propria sovranità in forme inedite, ma non meno significative e incisive delle forme tradizionali ai fini della realizzazione di una maggiore democrazia complessiva nel nostro Paese”.

Pesi e contrappesi

E dunque ora l’analisi di Zagrebelsky ci spinge ad approfondire maggiormente questo ultimo profilo, per domandarci quali siano queste “forme inedite, ma non meno significative e incisive delle forme tradizionali” di esercizio della sovranità popolare. E in che modo queste forme nuove di esercizio della sovranità possano rientrare fra gli strumenti “che spetta a noi di utilizzare, per tradurre in pratica l’avversione alle oligarchie”.
Si tratta, come è evidente, di un tema assai complesso e di vasta portata, rispetto al quale auspichiamo un confronto a più voci (contatti@labsus.org). Il punto di partenza dovrebbe essere peraltro l’idea, da secoli di esperienza confermata, che solo un potere può bilanciare l’esercizio di un altro potere. Tutta la teoria dei checks and balances si basa su questo assunto.
Allora, se è vero come afferma Zagrebelsky che “chi detiene il potere, se non incontra limiti, è portato ad abusarne” e che “Le oligarchie del nostro tempo non incontrano altri limiti se non quelli rappresentati da altre oligarchie”, si tratta dal nostro punto di vista di dimostrare che il principio di sussidiarietà può costituire un limite alle oligarchie del nostro tempo, un contrappeso al potere oligarchico.

Torniamo all’interesse generale

Per farlo, bisogna guardare non tanto al principio in sé, quanto ai suoi effetti. Grazie alla sussidiarietà i cittadini sono oggi pienamente legittimati ad essere protagonisti nel perseguimento dell’interesse generale, alla pari con le istituzioni. Lo dice la Costituzione: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà” (art. 118, ultimo comma).
Nell’interpretare tale disposizione noi abbiamo “tradotto”, per così dire, il riferimento alle attività di interesse generale dicendo che tali attività consistono nella produzione, cura e sviluppo dei beni comuni. Dal punto di vista della diffusione e applicazione del principio di sussidiarietà ciò ha avuto l’indubbio vantaggio di rendere più facilmente comprensibile quello che altrimenti sarebbe apparso come un concetto astratto.
Ma se torniamo alla formulazione costituzionale originaria vediamo che il riferimento all’interesse generale può essere la risposta alla domanda posta inizialmente, circa la valenza politica della sussidiarietà come contrappeso e limite al potere oligarchico.
Ci dice Zagrebelsky che “L’oligarchia è l’élite che si fa corpo separato ed espropria i grandi numeri a proprio vantaggio. Trasforma la res publica in res privatae”. Oligarchia, per definizione, è esercizio del potere da parte di pochi a vantaggio di pochi. La trasformazione dell’interesse pubblico in interesse privato. L’uso delle risorse pubbliche per procurare vantaggi ai membri dell’oligarchia e ai loro amici.
La sussidiarietà è il contrario esatto. Essa è impegno solidale e responsabile di molti a vantaggio di tutti. E’ la capacità di far coincidere gli interessi privati con l’interesse generale. E’ l’uso di risorse private per procurare vantaggi a tutti, prendendosi cura dei beni comuni.

Il potere diffuso dei cittadini attivi

In questa prospettiva la sussidiarietà è certamente alternativa al potere oligarchico, perché grazie ad essa l’interesse generale, di tutti, viene tutelato e contrapposto all’interesse delle oligarchie, di pochi. Ma questo suo essere totalmente alternativa al potere oligarchico fa della sussidiarietà anche un limite, un contrappeso a tale potere? I cittadini attivi, quelli che si mobilitano per l’interesse generale mettendo a disposizione le proprie personali risorse, possono essere considerati titolari di un potere diffuso che si oppone a quello oligarchico concentrato?
In sostanza, se è vero che solo un potere può bilanciare l’esercizio di un altro potere, bisogna che il potere civico diffuso possa limitare l’esercizio del potere oligarchico, altrimenti non di vero potere si tratta.
La risposta a queste domande la rimandiamo ad un altro momento. Ma una cosa è chiara fin d’ora. Il potere dei cittadini attivi per definizione non può essere concentrato e gerarchico come quello delle oligarchie. Ma questa è anche la sua forza, purché si sappiano sfruttare nel modo migliore le potenzialità dell’altra grande forma organizzativa, alternativa alla gerarchia.
Il potere dei cittadini attivi infatti può anche essere diffuso, ma deve essere organizzato, altrimenti non riuscirà mai a contrapporsi al potere delle oligarchie. E la sua forma organizzativa non può che essere la rete, da creare e sviluppare grazie ad un’altra rete, quella che avvolge il pianeta, the world wide web.