Un nuovo approccio per considerare i beni sequestrati e confiscati alla criminalità  organizzata come beni comuni

Il reimpiego di tali beni può divenire sinonimo di legalità , di lavoro, di senso di appartenenza, di cultura, di integrazione sociale, di voglia di riscatto e di libertà .

Attaccare i patrimoni delle mafie per sconfiggerle

Come sappiamo la criminalità  organizzata dispone di enormi quantità  di ricchezze che derivano dallo svolgimento di attività  illecite, come ad esempio lo sfruttamento della prostituzione, il racket, lo smaltimento illegale di rifiuti, il commercio di stupefacenti, ecc. Tali patrimoni vengono poi riciclati in attività  illecite e lecite. Oggi i mafiosi assumono sempre di più le vesti di imprenditori o di abili finanzieri, anche sfruttando a loro vantaggio le situazioni di difficoltà  economico-finanziarie di alcune imprese che hanno sempre operato nel rispetto della legalità .

L’impoverimento delle organizzazioni criminali e delle persone che sono comunque implicate in fatti delinquenziali rappresenta una vera e propria strategia d’attacco degli organi statali contro i capitali di formazione illecita. Ciò nella convinzione ormai assodata che la semplice azione repressiva non può ridurne la pericolosità , avendo tali organizzazioni gli strumenti economici per ricostituire le risorse e il controllo del territorio in termini di uomini e mezzi che di volta in volta lo Stato sottrae all’organizzazione.

L’imprenditoria mafiosa, attraverso il controllo economico del territorio, impedisce lo sviluppo di energie economiche locali pulite, fino ad influenzare negativamente l’intero sistema produttivo.

Nella legislazione antimafia italiana, l’azione di contrasto patrimoniale attivata dallo Stato si snoda essenzialmente in due grandi fasi. La prima fase, che nasce con la legge 13 settembre 1982, n. 646 “Rognoni-La Torre” e riguarda le indagini per l’individuazione, il sequestro e la confisca delle ricchezze delle mafie. La seconda fase del contrasto, non meno importante, riguarda l’uso che lo Stato fa dei patrimoni e dei beni tolti ai mafiosi. A tal riguardo la legge 7 marzo 1996, n. 19 ha indicato una prospettiva di grande significato democratico: la restituzione alla collettività  dei beni confiscati alle mafie.

Molto importanti sono i valori sottesi a tale obiettivo: si indeboliscono in modo essenziale le organizzazioni criminali, si afferma in modo concreto e visibile il principio di legalità  proprio nei luoghi in cui la mafia aveva affermato il suo potere, si sconfigge il falso mito dell’invincibilità  della mafia perché si dimostra che anche le loro ricchezze sono colpite dall’azione dello Stato.

Tutti i beni possono essere sottoposti a confisca, si tratti di beni mobili, immobili, mobili registrati, crediti, denaro, quote o azioni di società , aziende, universalità  di beni, diritti reali.

La confisca di beni costituisce un ingente danno per la malavita organizzata incidendo non solo sulla ricchezza accumulata dalle mafie ma sull’immagine stessa e sull’autorità  degli esponenti delle organizzazioni stesse nel territorio in cui operano.

L’uso sociale dei beni confiscati alla criminalità  organizzata


I beni confiscati alla criminalità  organizzata costituiscono in concreto una risorsa per il territorio, un’opportunità  di sviluppo e di crescita civile. Attraverso l’attuazione degli obiettivi della legge n. 19/96 si consolida il rapporto di fiducia dei cittadini nelle istituzioni e, quindi, si rafforza la democrazia.

Il valore di questa legge risiede nell’approccio positivo alla strategia di contrasto, per cui il bene confiscato non viene più soltanto inteso come sottrazione di risorse alla criminalità  organizzata, ma come occasione di prevenzione della criminalità  e di sviluppo economico e sociale.

La legge sulla confisca dei beni e sul loro riutilizzo a fini sociali costituisce, quindi, uno strumento importante in grado di distruggere il “capitale sociale” della mafia, vale a dire la sua capacità  di stringere rapporti di collusione e complicità  con “pezzi” della società , della politica, dell’amministrazione pubblica, dell’economia.

Il valore simbolico, educativo e culturale dell’uso sociale dei beni confiscati, produce, infatti, effetti negativi sul consenso di cui godono i mafiosi. In tal modo, tramite la restituzione alla collettività  di ricchezze accumulate illegalmente, si favorisce la costruzione di una fiducia e una rete di relazioni alternative. Per questo è importante che la destinazione sociale dei beni confiscati alle mafie riconosca e valorizzi le capacità  di privilegiare un approccio pragmatico, costruttivo e partecipativo.

Rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, attraverso il riutilizzo dei beni confiscati alla mafia per fini sociali

L’art. 3, secondo comma della Costituzione italiana sancisce l’importante principio dell’uguaglianza in senso sostanziale: “E’ compito della Repubblica, rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà  e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Possiamo trovare una nuova chiave di lettura con la quale la Repubblica può rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, anche attraverso il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie per fini istituzionali e soprattutto sociali. Il reimpiego di tali beni può divenire sinonimo di legalità , di lavoro, di senso di appartenenza, di cultura, di integrazione sociale, di voglia di riscatto e di libertà .

Sono numerosi oggi i progetti nati da diverse associazioni, come “Libera Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” e tante altre, che hanno offerto lavoro ai giovani proprio grazie al riutilizzo sociale di ville, case, appartamenti, terreni confiscati alle mafie.

Ma la Repubblica, vista nelle diverse istituzioni, non è l’unico soggetto che oggi persegue l’interesse generale, l’art. 118, ultimo comma della Costituzione stabilisce infatti: “Stato, Regioni, Città  metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività  di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà “.

Come non considerare interesse generale la lotta alle mafie?

Ecco che allora istituzioni, società  civile organizzata e cittadini attivi possono collaborare attivamente insieme per perseguire tale interesse generale.

I beni confiscati alla criminalità  organizzata in una nuova veste, quella di “beni comuni”

Con la confisca, i beni della criminalità  organizzata vengono devoluti allo Stato, diventano cosìbeni pubblici, cioè di proprietà  dello Stato, entrando a far parte del patrimonio indisponibile dello Stato. Nel caso in cui tali beni vengono trasferiti a Comuni, Province o Regioni, entrano a far parte del loro patrimonio indisponibile.

Ma tali beni possono essere considerati beni comuni?

Nel cercare di dare una definizione di beni comuni, l’autrice ha fatto riferimento ai lavori della Commissione sui Beni Pubblici, presieduta da Stefano Rodotà , istituita presso il Ministero della Giustizia, con Decreto del Ministro, il 21 giugno 27, la quale propone tra l’altro l’istituzione di una nuova categoria di beni, quella dei beni comuni appunto.

Quando pensiamo ai beni comuni molto spesso facciamo riferimento a beni del patrimonio naturale, come l’acqua e dunque laghi, fiumi, torrenti o l’ambiente, foreste, risorse del sottosuolo, montagne, parchi, spiagge, l’aria.

Beni comuni: cose che esprimono utilità  funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona

La Commissione Rodotà  propone una definizione di beni comuni molto più ampia di quella desumibile dal gergo comune, definendoli “cose che esprimono utilità  funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona”.

Leggendo tale definizione è inevitabile non pensare all’art. 3, secondo comma della Costituzione, nel quale si delega alla Repubblica il compito di rimuovere quegli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà  e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

I beni comuni come strumento attraverso il quale la Repubblica, e dunque le istituzioni, perseguono l’interesse generale. Istituzioni, che come abbiamo già  detto, oggi non sono più sole nel perseguire (e potremmo anche dire “nel definire che cosa è”) l’interesse generale.

Beni che esprimono utilità  funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali, beni come strumenti per rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, e dunque che permettono di raggiungere l’interesse generale.

In quest’ottica si possano, allora, collocare anche i beni confiscati alla criminalità  organizzata, utilizzati da soggetti pubblici o privati per fini istituzionali e sociali, beni strumentali al perseguimento dell’interesse generale, all’esercizio di diritti fondamentali, quali il diritto alla libertà , alla salute, al lavoro, e del principio di uguaglianza sostanziale.

Proprio attraverso il sequestro e la confisca dei patrimoni illeciti, è possibile in primo luogo attaccare ed indebolire la criminalità  organizzata, privandola delle ricchezze che vengono utilizzate strumentalmente per commettere altri reati, per intensificare le attività  illecite, per corrompere politici, pubblici dipendenti, imprenditori, per manovrare il mercato, la politica, la pubblica amministrazione deviando il loro fine naturale, istituzionale, ovvero il perseguimento dell’interesse generale, verso uno scopo criminale, quello stabilito e perseguito dalla mafia.

In secondo luogo attraverso l’uso sociale ed istituzionale dei beni confiscati e sequestrati alla criminalità  organizzata è possibile perseguire l’interesse generale, soddisfare bisogni collettivi.

Gli immobili possono essere utilizzati da associazioni di volontariato, cooperative, centri di riabilitazione, soggetti che offrono risposte ed aiuto a persone in condizioni di svantaggio, quali la disabilità , la povertà , la disoccupazione, l’emarginazione sociale, la carenza di istruzione, la solitudine, la malattia, che spesso comportano disuguaglianze. Ed ancora, da cittadini attivi che si prendono cura dei beni comuni, producendo a loro volta altri beni comuni. Pensiamo ad un immobile confiscato e destinato a spazi associativi, che, attraverso la musica, la cultura, lo sport, il teatro, il cinema, l’arte, il volontariato, l’associazionismo, è possibile creare coesione sociale, diffondere la cultura della legalità , offrire spazi alternativi a quelli dell’affiliazione mafiosa, sottrarre giovani alla strada e al rischio di diventare giovani reclute nello spaccio di sostanze stupefacenti e nel compimento di furti e reati di ogni genere, al rischio di divenire giovani vittime sfruttate e spesso uccise nell’interesse dei clan. Pensiamo ad un terreno confiscato e coltivato da giovani ex disoccupati, che proprio grazie a questo bene comune strumentale hanno oggi un lavoro, un’occupazione, un reddito, realizzano dunque aspettative concrete di una condizione di vita migliore, degna di un essere umano. Terre confiscate alle mafie, che oggi danno vita a lavoro, ad integrazione sociale, a sicurezza, a legalità , a prodotti alimentari biologici destinati al mercato legale, nel pieno rispetto delle leggi.

Ville, case, palazzi, adibiti oggi a strutture di recupero per tossicodipendenti, spazi di recupero funzionale e sociale, luoghi di recupero socio-lavorativo riabilitativo, comunità  alloggio destinate all’erogazione di prestazioni di servizi socio-sanitari nell’area dell’handicap e della tutela della salute psico-fisica, ecc.

Non è forse anche questo interesse collettivo, interesse generale, esercizio di diritti fondamentali e libero sviluppo della persona?

Attraverso tali “nuovi” beni comuni è possibile ridurre quegli enormi e duraturi divari che tutt’oggi impediscono il concreto e pieno realizzo del principio di  uguaglianza in senso sostanziale.

Per la definizione della categoria di beni comuni la Commissione parte da un assunto, ovvero che si tratta di beni che, al di là  della proprietà  che è tendenzialmente dei poteri pubblici, assolvono per vocazione naturale ed economica all’interesse sociale, generale, servendo immediatamente non l’amministrazione pubblica, ma la stessa collettività  in persona dei suoi componenti.

Questa è una caratteristica fondamentale dei beni comuni.



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