Il nuovo saggio di Andrea Di Porto, edito da Giappichelli nell'Ottobre 2013

Continuando ad ignorare una sfera del diritto romano di tale importanza, risulterà  assai difficile divulgare i dogmi dell'azione popolare

Un silenzio, quello evidenziato dalle pagine di questo ” libriccino ” , a cui Andrea Di Porto cerca di dare una spiegazione: sebbene si possa constatare la diffusa disponibilità  delle fonti in merito e l’importanza chiara di un istituto come quello dell‘actio popularis, sembra impossibile comprendere il motivo per cui fenomeni cosìimportanti ” siano finiti nella zona d’ombra della storiografia romanistica ” . Risulta però di notevole aiuto la nota del Professor Casavola, secondo cui è fondamentale capire ” quanto possa influire sull’affezione del ricercatore ad un tema la vicenda politica del tempo in cui egli vive ” .

Quelli in cui viviamo oggi, ad esempio, sono tempi in cui, grazie anche all’impegno di illustri studiosi del calibro di Salvatore Settis, concetti come beni comuni e azione popolare sono tornati alla ribalta, a causa di una crisi socio-politica di enormi dimensioni che ha finito per tangere gli stessi assiomi del diritto; si avverte quindi la necessità  di dotare il cittadino di tutti i diritti e doveri che dipendono da una rinnovata tutela di quelle che, nella Roma repubblicana, erano conosciute come Res in usu publico e che, col tempo, hanno assunto i caratteri dei moderni ” beni comuni ” . Continuando ad ignorare una sfera del diritto romano di tale importanza, risulterà , a detta di Di Porto, assai difficile divulgare i dogmi di quell’azione popolare secondo cui ” l’attore, difendendo l’interesse del popolo, difende anche il proprio ” .

Di Porto crede quindi che ai già  citati sforzi di Settis e Rodotà  nel diffondere nella comunità  il senso del dovere civico in grado di condurre i cittadini verso l’actio popularis, debba necessariamente accompagnarsi una rilettura approfondita dei classici, fra gli altri, di Pomponio, Ulpiano e Labeone.

Nella seconda parte del libro, l’autore ripercorre la giurisprudenza sulla tutela dei beni comuni nell’Italia unita: dalla sentenza che ha riconosciuto lo ius deambulandi nei giardini di Villa Borghese, a Roma, fino a giungere alle sentenze recenti che hanno sancito la titolarità  del diritto di usufruire di un bene come quello delle Valli da pesca della Laguna di Venezia a tutti i cittadini, ad ogni individuo, alla comunità  intera.

Nella terza ed ultima parte del saggio, l’autore rivolge un elogio all’opera del giovane studioso Vittorio Scialoja che, già  sul finire dell’Ottocento, comprese la necessità  di una decisa valorizzazione degli aspetti sopracitati del diritto romano, di cui però, nella dottrina contemporanea si è persa inspiegabilmente traccia.

Andrea Di Porto scava a fondo, alla ricerca della chiave in grado di indirizzare anche la più autorevole dottrina verso una riconsiderazione di quel diritto-dovere che tocca tutti i cittadini e che li invita ad agire e ad impegnarsi nella tutela di quelle res in usu publico che, già  nell’antica Roma, costituivano un asse portante della civile convivenza tra istituzioni e singoli cittadini.

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