Cosa dobbiamo davvero illuminare per uscire da questa crisi che non è solo economica?

" Viviamo in tempi irragionevoli, nei quali la più grande miseria vive accanto alla più grande ricchezza "

La crisi finanziaria dal 2008 ha inevitabilmente portato ad una riflessione profonda di quelle che ne sono state le cause dirette e indirette. Sono stati forniti su un piatto d’argento i colpevoli di quella che è stata la più grande recessione dalla crisi del 1929, ma questi colpevoli non sono altro che specchi per le allodole.

Il falso mito dell’autoregolamentazione dei mercati

Sicuramente, la crisi finanziaria è nata all’interno del cosiddetto shadow banking system, ovvero quel segmento del sistema bancario soggetto a regolamentazioni pressoché inesistenti. Altrettanto sicuramente, le agenzie di rating hanno giocato un ruolo preminente nel porre le basi del castello di carta dei subprimes. La trappola della liquidità  che ne è conseguita ha reso inefficace qualsiasi politica monetaria e l’unica soluzione fu l’adozione di politiche fiscali, che tuttavia hanno portato a loro volta a un aumento dei deficit e debiti pubblici.

Questa però non è un’analisi delle cause, ma piuttosto la presentazione pedissequa della sequenza di avvenimenti che hanno portato sul lastrico milioni di famiglie e aggravato la bilancia dei pagamenti di molti, se non tutti, gli Stati occidentali. E’ una concatenazione di eventi priva di qualsiasi mea culpa. La critica dovrebbe spingersi oltre. Fitoussi rintraccia una delle cause più importanti della crisi nel principio di autoregolamentazione dei mercati, che negli Stati Uniti ha avuto in Alan Greenspan il più forte sostenitore. Presidente della FED dal 1987 al 2006 e osannato quale ” il più grande banchiere di tutti i tempi ” , egli è il responsabile della deregolamentazione degli anni ’90 e sostenitore del cosiddetto ” Greenspan put ” , in nome di quella mano invisibile che sembra quasi attribuire ai mercati un’acutezza onnisciente e teleologica. Ne ” Il teorema del lampione ” , invece Fitoussi riesce a scardinare la visione dominante nel mondo della finanza per sostenere che i mercati, proprio in vista delle loro debolezze strutturali, devono essere controllati e regolamentati da una politica che invece oggi è quanto mai assente soprattutto in Europa. Secondo l’autore infatti, ” l’Europa è figlia dell’economia, ma orfana della politica ” .

Democrazia e misurazione del benessere

Le ineguaglianze sociali sono sempre state la piaga del mondo moderno, ma sembra si siano acutizzate nella fase precedente e soprattutto durante la crisi finanziaria del 2008, determinando cosìun aumento diffuso della povertà  e dell’alienazione sociale. Nel corso degli anni i modelli di sviluppo si sono basati su indicatori di benessere quali il PIL e l’inflazione, ma questi da soli non ci restituiscono un’immagine realistica della qualità  della vita all’interno di una qualsiasi società . E’ opinione ormai diffusa e sostenuta da menti eccelse come l’economista Amartya Sen che gli indicatori oggettivi debbano essere accompagnati da misurazioni più soggettive e incentrate sul livello di soddisfazione del cittadino. Come riporta lo stesso Fitoussi, fino al XVII-XIX secolo  il pieno impiego era considerato il più importante [obiettivo della politica economica ndr], essendo lunico capace di dare dignità  alla società  nel suo insieme. La storia recente [] ci insegna tuttavia che questobiettivo è stato sistematicamente sacrificato negli anni Ottanta e Novanta a vantaggio della stabilità  dei prezzi.

La media matematica è sempre stato un buon metodo di sintesi della situazione di una collettività , o almeno lo è stato fino a quando il divario tra il percentile più ricco e il resto della popolazione non è aumentato drasticamente. Continuare a usare metodi cosìsterili rischia di portare alla situazione in cui nessuno, né il più ricco, né il povero, né tantomeno il cittadino medio, riesce a riconoscersi in una tale rappresentazione numerica. Da qui l’altra chimera che la politica economica rincorre ormai da decenni: l’aumento del PIL. Il lampione di cui Fitoussi ci parla illumina ciò che in realtà  non stiamo cercando. L’analisi dell’autore è semplice: affrontiamo l’avvenire con gli occhi rivolti al cono di luce che ci giunge dal passato. Ovvero, cerchiamo di reagire all’incertezza del domani con teorie che di attuale non hanno più nulla e che sono state smentite alla prova dei fatti.

E’ giunto quindi il momento di riflettere sulla sostenibilità  del modello di sviluppo economico che vogliamo applicare e soprattutto sull’impatto che questo ha sul benessere dei cittadini. La democrazia e l’inclusività  devono trovare spazio nelle logiche di mercato, affinché la crescita economica non sia il trofeo di pochi, ma il traguardo di tutti.

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