Alla ricerca della definizione di bene comune nella tesi di Valentina Taurini

La difesa dei Commons è un percorso che non ha ancora esaurito le sue potenzialità 

Dopo aver introdotto l’argomento, l’autrice ha strutturato la propria opera in tre capitoli, a partire dall’evoluzione delle teorie sui beni comuni, per arrivare alla ripresa di simile concetto nella contemporaneità  e, infine, nella sua applicazione all’interno di nuove realtà  emergenti anche in ambito italiano sullo spunto di quanto già  accaduto in altri contesti. Tra le conclusioni e la bibliografia, sono stati inseriti due allegati costituiti dai testi integrali delle interviste che l’autrice ha fatto ad alcuni partecipanti ad esperienze legate alla difesa ed alla riappropriazione dei beni comuni nella città  di Roma: gli spunti derivanti dalle due interviste hanno fornito la base per la redazione del terzo capitolo della tesi di laurea.
Pubblichiamo l’elaborato di Taurini arricchendo il filone di ricerca sui beni comuni; sono diverse le tesi già  pubblicate su Labsus sul tema dei commons, come ad esempio quella di Elena Taverna nel 2012 (tesi di laurea:  La riscoperta dei beni comuni: percorsi di riflessione  per un rinnovamento democratico  in allegato), redattrice della nostra rivista,  vincitrice del premio “Dario Ciapetti”. Nella tesi di Taverna, la gestione dei rifiuti del comune di Capannori ha rappresentato il caso studio analizzato.

Cosa sono i Commons

Fondamento e necessaria premessa dell’opera è il tentativo di definire i beni comuni, anche se, come avverte l’autrice, ” trovare una definizione univoca, o quanto meno un campo di studi in cui circoscrivere i Commons, risulta impossibile, oltre che riduttivo ” . Eppure, una simile esigenza si avverte per evitare un’eccessiva inflazione della terminologia ” bene comune ” e per trovare un nucleo concettuale solido al fine di non incorrere in un depotenziamento di questa espressione. Per questa ragione, grande importanza ha, nell’ambito dell’elaborato, l’analisi delle esperienze concrete in cui il vessillo dei beni comuni è stato issato per legittimare la propria azione nel corso di iniziative o manifestazioni che hanno visto il coinvolgimento di molti individui. Opporsi alla privatizzazione del servizio idrico è una battaglia in favore dei beni comuni? Ed occupare un edificio abbandonato per farne un centro di discussione? E sensibilizzare il cambiamento del modello di gestione dell’amministrazione pubblica? Cos’è che si può fare nel nome dei beni comuni e in che occasioni, invece, il millantamento di una simile ideologia ha fuorviato i cittadini portandoli ad ingaggiare battaglie inutili o, peggio, dannose?

Non è una tragedia

La ricostruzione del concetto di bene comune passa, necessariamente, anche attraverso quelle visioni che ne hanno minato l’impiego, come gli studi di Olson e, soprattutto, di Hardin, promulgatore della celebre teoria della tragedia dei beni collettivi. Servendosi di quanto sviluppato da Elinor Ostrom, già  premio Nobel, ed utilizzando la griglia schematica di classificazione dei beni in base alla loro rivalità  al consumo ed escludibilità , Valentina Taurini evidenzia come sia fuorviante ritenere che la gestione collettiva delle risorse, al di fuori della dicotomia pubblico/privato, sia necessariamente destinata al fallimento: il ruolo della comunità , infatti, è in grado di generare fenomeni di autogestione ad effetto positivo per i singoli individui. E’ troppo riduttivo definire l’essere umano come homo oeconomicus, facendo finta di ignorare i rapporti che egli instaura all’interno di una società  quale homo civicus in grado di essere sensibile a fiducia e responsabilità  da parte dei suoi consimili.

Esperienze concrete hanno dimostrato come la gestione in comune dei beni non sia inevitabilmente destinata a risolversi in una ” tragedia ” . L’autrice rammenta le esperienze sudamericane che hanno fatto da preludio alla riscoperta dei Commons nell’epoca contemporanea, quali le battaglie per l’acqua in Bolivia e per la terra in Brasile. C’è da chiedersi se il diverso ambiente, le diverse tradizioni, la diversa mentalità  intercorrenti tra il mondo latino-americano e quei Paesi da lungo tempo assorbiti dall’economia capitalista possano determinare una proponibilità  di modelli di beni comuni solo in certi contesti e non in altri, dove il sentimento di comunità  si è ormai perso forse irrimediabilmente.

Le realtà  emergenti nel contesto italiano

Come ricordato dall’autrice, l’attività  svolta da Labsus permette di segnalare come anche in Italia si stiano diffondendo casi di amministrazione condivisa. Le interviste proposte quali spunti all’interno dell’opera sono state rivolte a Paolo Carsetti, membro della Segreteria Operativa del Forum Italiano dei Movimenti dell’acqua e sostenitore della campagna di sensibilizzazione ” deLiberiamo Roma ” , e a Fernando M. e Miranda A., due attivisti dell’assemblea gestionale del nuovo Cinema Palazzo, un vecchio stabile trasformato in spazio culturale comune. I soggetti intervistati non solo hanno presentato le iniziative che li hanno visti coinvolti, ma hanno anche espresso il loro punto di vista sulla fortuna dei beni comuni in Italia.

I pareri raccolti non sono risultati coincidenti sotto ogni aspetto: all’opinione di chi ritiene necessario che il legislatore apporti ordine alla tematica ed identifichi i campi d’applicazione dei beni comuni, si contrappone il pensiero di chi ritiene che il bene comune sgorghi naturalmente laddove i cittadini adottano forme di collaborazione. In bilico tra queste due posizioni, i Commons dimostrano di essere ancora alla ricerca di una propria definizione, ma, forse proprio grazie alla plasmabilità  ed adattabilità  a diverse situazioni, sono potenzialmente in grado di apportare cambiamento ed innovazione all’interno di meccanismi sociali ormai logori.

In allegato la tesi della Dott.ssa Valentina Taurini.

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