" …non è il luogo della nostalgia e del tempo perduto, nel quale archiviare i documenti della sconfitta di una civiltà  legata alla tradizione, ma centro di attività  e di mediazione culturali in grado di soddisfare la fame di passato, di trasmettere informazioni ed emozioni e di dare nuova forma ad una più generale esigenza di istruzione "

Conosciamo un gruppo di volontari dell’associazione che gestisce la realtà  museale, in una delle giornate dello Sponz Fest, il festival ideato e diretto  da Vinicio Capossela  che, giunto alla quarta edizione, si propone ogni anno di valorizzare le piccole realtà  territoriali dell’Alta Irpinia.
A Calitri, tra gli stretti vicoli che difficilmente  dimenticano  il terremoto, torniamo indietro nel tempo, grazie alla ricostruzione fedele delle attività  ludiche, altamente socializzanti, della tradizione popolare. E’ cosìche scopriamo che il laboratorio di giochi antichi per i bambini è solo uno degli innumerevoli scenari rievocati nel Museo Etnografico “Beniamino Tartaglia”  di Aquilonia.

La nascita del Museo

Museo Etnografico "Beniamino Tartaglia"Come nasce l’idea di creare un museo etnografico e da chi? Per rispondere a questa domanda è inevitabile dover tornare agli inizi degli anni Ottanta, quando la Regione Campania, nell’ambito dei fondi finalizzati all’istruzione, ha determinato un congruo finanziamento (vincolato) per la realizzazione di un asilo nido. L’opera, sebbene terminata, si è subito inserita nel lungo elenco delle cattedrali del deserto che costellano la regione, a causa del calo delle nascite e ad un sistema culturale che ha sempre visto, e vede tuttora, la custodia, la cura e l’educazione dei piccoli relegate a nonni o parenti stretti.
Figura chiave dell’avvio del  processo è il professor Beniamino Tartaglia, a cui, oggi, il Museo è intitolato.  Con gli occhi pieni di ammirazione, i volontari ci raccontano che ” osservava la grande difficoltà  con cui la sua comunità  d’origine aquiloniese si scontrava, nel disegnare progetti collettivi e nell’individuare obiettivi comuni di lungo respiro. Così, insieme ad altre intelligenze che gli si affiancarono, individuò il problema nel fatto che la popolazione non avesse una chiara rappresentazione della sua stessa identità ; ciò derivava, anche, dal fatto che essa stava ormai, da decenni, portando avanti un’opera forse inconscia, ma sistematica, di vera e propria cancellazione e rimozione della memoria collettiva. Si tendeva a svalutare la cultura e il percorso storico comune, considerandoli elementi insignificanti o, addirittura, di cui ” vergognarsi ” , poiché ricordavano decenni di sofferenza, sacrifici, sudore, emarginazione… E tutto ciò veniva, magari, contrapposto a un’idea piuttosto astratta di modernità  da inseguire. Ciò che il professore e i suoi collaboratori misero al centro della loro azione, allora, fu proprio la volontà  di riscoprire un valore – anzi potremmo dire il valore – di quel bagaglio storico e culturale: mantenere memoria e traccia del proprio cammino collettivo era un presupposto imprescindibile per continuare, tutti insieme, quello stesso cammino. Ridisegnare un’identità  collettiva era presupposto sia per immaginare il proprio futuro, sia per essere in grado di confrontarsi con il resto del mondo e i suoi mutamenti ” .  Ma c’è di più: ” L’attenzione e la cura verso il proprio percorso storico collettivo non vuole assolutamente significare il ritorno a un passato perduto e idilliaco: quel passato rimane pur sempre un’esperienza dura e sofferta, fatta delle tante difficoltà , piccole o grandi, delle vite che raccontiamo nel nostro Museo. Eppure sarebbe un errore dimenticarsi che quel passato c’è stato, e che ha forgiato la comunità  per ciò che è oggi (quantomeno in moltissimi dei suoi aspetti). Non si tratta di rimpiangere quel passato, ma di averne consapevolezza e rispetto, cosìda poterne trarre lezioni rispetto alla propria esperienza di vita individuale e collettiva. Ecco perché l’operazione rappresentata dal nostro Museo non vuole assolutamente essere nostalgica, bensìprogettuale ” .  Un concetto profondo, sintetizzato con maestria nelle parole di Beniamino Tartaglia che, così, lo descrive:

” …non è il luogo della nostalgia e del tempo perduto, nel quale archiviare i documenti della sconfitta di una civiltà  legata alla tradizione, ma centro di attività  e di mediazione culturali in grado di soddisfare la fame di passato, di trasmettere informazioni ed emozioni e di dare nuova forma ad una più generale esigenza di istruzione ” .

Una partecipazione allargata

Se la particolarità  che contraddistingue il Museo risiede nell’originalità  degli allestimenti (il percorso espositivo si snoda  attraverso una lunga serie di ambienti che ripercorrono la vita quotidiana che si è  susseguita nei secoli in Irpinia), l’aspetto significativo è rappresentato dalla partecipazione allargata con cui tali ambienti hanno preso vita.

Pannelli con i nomi dei donatori

I pannelli che riportano i nomi di tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione del museo

Ogni singolo oggetto in esposizione, da pentole in rame, incudini, scalpelli, fusi di legno, campanacci, a  costumi d’epoca e strumenti musicali, è  stato generosamente donato dagli abitanti di Aquilonia e dei paesi limitrofi cui, in seguito, si sono uniti visitatori provenienti da tutto il mondo.  “Ma”, tengono a specificare  i volontari, “dalla vita passata delle persone non sono venuti solo gli oggetti, ma anche i racconti, gli usi, la cultura e tutto ciò che viene narrato  attraverso  essi, sono esperienze di vita donate dalla comunità  al Museo”. Uno straordinario processo di co-creazione che ha visto “il professor Tartaglia e i suoi collaboratori come  sapienti collettori di tutti questi contributi materiali e immateriali, avendo  saputo dar loro forma di racconto compiuto, anche attraverso la grammatica degli studi socio-antropologici”. Il Museo è stato dunque, continuano i volontari, “il punto di confluenza delle vite di una comunità , a partire dalle quali si è formato. Questo afflato collettivo non va considerato come un accessorio o una curiosità  nella creazione del Museo di Aquilonia: ne è invece la fibra“.

Il patrimonio culturale come bene comune

Ancora due sono gli aspetti che denotano la portata e il senso di questa straordinaria opera di cura e conservazione della memoria collettiva.  Quando domandiamo come poter entrare a far parte dell’Associazione, scopriamo che l’iter prevede un anno di noviziato, attraverso cui si “prende atto della reale intenzione dei nuovi iscritti di partecipare alla vita associativa, condividendone i principi fondanti (sanciti da uno Statuto e da un Regolamento) e mettendo tutto l’impegno possibile affinché il Museo possa funzionare al meglio e crescere sempre più. In questo modo, ci assicuriamo che chi si unisce a noi lo faccia perché crede davvero nell’iniziativa. L’effettività  dei nuovi soci non può contemplare né leggerezza né, tantomeno, strumentalità “.
Una  politica che si riflette anche nella scelta di non far pagare l’ingresso al Museo.  “Questa è stata  una scelta attenta del nostro fondatore. Si è partiti  dall’idea – che segue una precisa concezione dei beni culturali – secondo cui chiunque dovrebbe poter accedere e beneficiare del patrimonio culturale, in quanto bene comune. Anche chi ha  mezzi economici limitati, deve poter fruire pienamente tutto quanto la nostra struttura è in grado di offrire. Ecco da cosa discende la scelta di non prevedere una soglia di accesso che potrebbe  tagliare fuori qualcuno. Poi, ogni visitatore alla fine della visita, anche in base al suo gradimento, può lasciarci un’offerta in denaro secondo la sua capacità  economica: ed è con queste offerte, unite al lavoro completamente volontario di tutti noi, che sosteniamo e facciamo crescere la struttura”.

Il laboratorio di giochi antichi a Calitri

Concludiamo la nostra piacevole chiacchierata con i volontari dell’Associazione per la Gestione del Museo Etnografico “Beniamino Tartaglia”, maggiormente consapevoli  della coerenza della scelta di essere presenti in occasione dello Sponz Fest. “C’è stato un concorso di motivi che ha portato a questa esperienza, per noi bellissima e a dir poco rigenerante. Innanzi tutto, una struttura come il Museo per vivere ha assoluta necessità  di mantenere vivo un dialogo con il territorio  e, in particolare, con tutte quelle iniziative che si fondano su una visione analoga alla sua. In questo senso, abbiamo fortemente voluto interfacciarci con lo Sponz Fest, proprio perché ormai da quattro anni questa manifestazione sta dimostrando di avere proprio la nostra stessa idea di territorio e cultura: l’importanza di conoscere le proprie radici, affinché da esse si possano alimentare nuove foglie, nuovi fiori che – perché no? – possano poi mescolare i loro pollini anche con chi è ” forestiero ” , in un dialogo con l’altro che sia sempre fecondo. Questo è ciò che lo Sponz Fest riesce a fare in maniera mirabile rispetto all’Alta Irpinia e rispecchia esattamente la nostra visione. Per noi è stato, dunque, una sorta di sbocco naturale e siamo contentissimi di essere stati parte di questo grande e splendido mosaico.
In secondo luogo, il disegno e l’azione culturale del nostro Museo ha da sempre guardato, prima di tutto, ai più giovani, e in particolare ai bambini. Parte rilevantissima dei nostri numerosi visitatori è costituita da scolaresche, per esempio. Perciò, quando dai nostri contatti con gli organizzatori dello Sponz Fest è emersa la possibilità  di lavorare con i bambini, questo per noi ha costituito, ancora una volta, uno sbocco ideale.

La Å¡cuppètta, uno dei giochi preferiti dai bambini di una volta

La Å¡cuppètta, uno dei giochi preferiti dai bambini

Infine, l’idea di lavorare proprio sui giochi di una volta è stata pressoché automatica. Da un lato avevamo il tema di quest’anno dello Sponz, rappresentato dalla pistola giocattolo che ci ha subito richiamato la Å¡cuppètta, il fucilino giocattolo che i nostri nonni si producevano autonomamente, e che nel corso di questi anni è divenuto uno degli oggetti simbolo del Museo stesso (ben conosciuto dai nostri visitatori più piccoli, ma molto apprezzato anche dagli adulti). Ma più in generale, attraverso la proposizione dei giochi di una volta volevamo suggerire, in maniera morbida, la possibilità  per i bambini di un altro modo di stare insieme e divertirsi, ben diverso dal modello di gioco che sembra si stia affermando sempre più nella nostra società : il gioco di oggi è sempre più solitario, isolato, individuale, e preconfezionato. Il gioco di allora era, invece, più creativo sotto tantissimi profili: i bambini dovevano ideare e costruire il giocattolo (come abbiamo cercato di mostrare) dovendo, quindi, mettere in gioco la propria inventiva e la propria manualità ; inoltre, era un gioco altamente socializzante, in quanto i bambini giocavano sempre insieme, e in questo modo creavano le regole di convivenza, facendo del gioco una piccola scuola di vita. E’ chiaro come tutti questi discorsi non siano stati fatti in maniera esplicita ai bambini del nostro laboratorio, eppure speriamo nel nostro piccolo di aver fatto percepire una possibilità  diversa da ciò che viene solitamente proposto, e di aver piantato il nostro piccolo seme, magari anche solo tra le righe”.

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