La legge realizza un circuito virtuoso tra tutela dei diritti fondamentali e gestione dei rifiuti, attribuendo un ruolo decisivo alle «formazioni sociali » senza scopo di lucro

Attesa la pervasività  delle disposizioni specificamente riguardanti gli sprechi alimentari (artt. 2-12 e 17), idonee, forse più di quelle ” comuni ” (artt. 1, 2, lett. b), e), 16, 18), a fondare i principi generali della materia, conviene in questa sede analizzare la disciplina legislativa evidenziandone le linee generali di tendenza che la caratterizzano.
L’obiettivo della legge in commento è quello di realizzare un circuito virtuoso tra le esigenze di tutela di diritti fondamentali della persona sottesi al principio di dignità , quali il diritto alla salute e il diritto al cibo (sul riconoscimento, nel nostro ordinamento, di un diritto al cibo di rango costituzionale, espressione del principio di dignità  ex art. 3 Cost., cfr. C. cost., 15 gennaio 2010, n. 15), e la gestione dei rifiuti, nell’ottica del conseguimento della loro «prevenzione » (cfr. art. 179, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 152/2006, che pone la prevenzione all’apice della gerarchia delle priorità  nella gestione dei rifiuti).
A tal fine, il legislatore, accanto ai tradizionali strumenti economici di carattere volontaristico, atti ad incidere sulle condotte delle organizzazioni imprenditoriali, predispone un sistema di regolazione tale per cui si individuano nelle «formazioni sociali » senza scopo di lucro, i soggetti che, affiancando Stato ed enti locali, appaiono i più idonei a realizzare un dialogo sinergico tra le esigenze sopra descritte.

Il perseguimento del duplice obiettivo della cura dei soggetti deboli e della protezione dell’ambiente

Dalla lettura delle finalità  generali della disciplina, appare evidente la stretta correlazione, cui si è fatto cenno, tra gli obiettivi solidaristici (art. 1, lett. a, b) e quelli di «limitazione degli impatti negativi sull’ambiente e sulle risorse naturali » (art. 1, lett. c, d), sottesi al recupero e alla donazione di eccedenze alimentari, prodotti farmaceutici ed altri prodotti. E’ questo un aspetto che qualifica la legge in commento rispetto alla previgente applicazione legislativa, offerta dal nostro ordinamento, di quella che nel mondo anglosassone viene chiamata good samaritan rule (l. n. 155/2003). Precedentemente, infatti, mancava in materia un riferimento alla valorizzazione della capacità  dei comportamenti spontanei, oltre che di quelli indotti, di contribuire al conseguimento dell’obiettivo prioritario della disciplina di gestione dei rifiuti, ossia la loro prevenzione.
D’altronde, la promozione della prevenzione dei rifiuti e della solidarietà  sociale, non si esaurisce in mere petizioni di principio, enunciate solo nelle finalità  generali della disciplina, ma si ritrova in puntuali prescrizioni, alcune cogenti, altre bisognose di attuazione da parte delle amministrazioni competenti.
Ecco, allora, che la legge, una volta distinte le «eccedenze alimentari » (art. 2, lett. c) dallo «spreco alimentare » (art. 2, lett. d), dispone che le prime, ove idonee al consumo umano, debbano essere destinate «prioritariamente a favore di persone indigenti » (art. 3, comma 2).
Sintomatiche del descritto approccio sinergico, sono, poi, le prescrizioni riguardanti specificamente le amministrazioni pubbliche (artt. 8-12, 16-18). Tra queste, spicca la disposizione, di cui all’art. 17, ai sensi della quale il Comune ha la facoltà  di applicare, a favore delle «utenze non domestiche relative ad attività  commerciali, industriali, professionali e produttive in genere, che producono o distribuiscono beni alimentari, e che a titolo gratuito cedono, direttamente o indirettamente, tali beni agli indigenti e alle persone in maggiori condizioni di bisogno, ovvero per l’alimentazione animale », un coefficiente di riduzione della tariffa della tassa sui rifiuti, proporzionale alla quantità , debitamente certificata, dei prodotti donati (corsivo aggiunto).
La norma da ultimo ricordata è emblematica del cennato approccio volontaristico e ” incentivante ” , fatto proprio dalla disciplina in esame (nello stesso senso, si vedano gli artt. 16 e 18, l. n. 166/2016), che la caratterizza rispetto alla sua omologa francese, connotata, piuttosto, da tendenze coercitivo-sanzionatorie. Per altro verso, essa costituisce un esempio di come la disciplina in materia di rifiuti sia idonea ad evidenziare la possibile indipendenza dei profili dominicali dei beni dalla loro funzionalizzazione a fini pubblicistici.

Sussidiarietà  orizzontale ed estensione dell’ambito soggettivo

Dunque, il duplice scopo della normativa è perseguito attraverso misure volte a favorire, in varie forme, il coinvolgimento degli enti privati nella cura degli interessi. Si tratta di una tendenza, peraltro, già  presente nella previgente disciplina della materia, di cui alla l. n. 155/2003.
La novità  maggiore recata dalla legge 166 è, invece, costituita dall’allargamento della platea dei soggetti privati considerati. Se, infatti, l’art. 1, l. n. 155/2003, faceva riferimento esclusivo alle organizzazioni non lucrative di utilità  sociale, riconosciute come tali ai sensi dell’art. 10, d.lgs. n. 460/1997, l’attuale normativa, da un lato, come si è visto, prevede strumenti di mercato idonei ad orientare i comportamenti degli operatori economici; dall’altro, ed è forse l’aspetto realmente innovativo e più significativo, ricomprende tra i «soggetti donatari », di cui all’art. 2, lett. b), oltre alle ONLUS, anche gli enti pubblici e «privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità  civiche e solidaristiche e che, in attuazione del principio di sussidiarietà  e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività  d’interesse generale anche mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità  sociale nonché attraverso forme di mutualità  ».
L’aspetto di maggiore interesse della disciplina in esame consiste, dunque, nel fatto che l’allargamento del suo campo applicativo, anche ad enti privati non riconosciuti come organizzazioni non lucrative di utilità  sociale, è operato senza far venir meno i requisiti, da un lato, di sussistenza delle «finalità  civiche e solidaristiche » e, dall’altro, di assenza del perseguimento di un profitto. Va, tuttavia, rilevato a margine che con riferimento alla donazione di medicinali, attesi i particolari rischi per la salute che impongono la predisposizione di un’adeguata organizzazione, i soggetti donatari continuano ad essere identificati esclusivamente nelle ONLUS, le quali devono, inoltre, disporre di locali ed attrezzature idonei, oltre che di personale qualificato (art. 15).
I «soggetti donatari », cosìdefiniti, sono equiparati, al pari delle ONLUS e nei limiti del servizio prestato, ai consumatori finali. Conseguentemente, e coerentemente con l’approccio ” promozionale ” di cui si è parlato, essi non sono onerati di tutti i gravosi adempimenti burocratici previsti dalla disciplina consumeristica né soggiacciono al relativo rigoroso regime di responsabilità  (art. 13; in tema di farmaci, v. art. 15 cit.). Tale trattamento di favore è integrato dalla previsione di deroghe alle rigide regole in materia di etichettatura, imballaggio e conservazione degli alimenti da distribuire gratuitamente, al fine di procrastinarne il più possibile la qualificazione come rifiuti (art. 3, comma 4; art. 4, comma 1).
Ciò non significa, peraltro, che la salute dei consumatori venga messa a repentaglio. La responsabilità  della sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti continua, infatti, a gravare sugli operatori del settore alimentare (art. 5).

Conclusioni

In conclusione, si può rilevare come, al fine di coniugare, in un circuito virtuoso, diritto al cibo e prevenzione dei rifiuti, esigenze non sempre positivamente componibili, il legislatore ha fatto ricorso ad una pluralità  di strumenti giuridici – prescrizioni a carico delle amministrazioni, strumenti di mercato a favore degli operatori economici del settore -, sebbene tutti orientati ad una logica volontaristica piuttosto che autoritativa. In tale contesto, le formazioni sociali senza fine di lucro sono state reputate, a partire dai principi di solidarietà  e di sussidiarietà  orizzontale ex artt. 2 e 118, quarto comma, Cost., i soggetti maggiormente idonei a coniugare gli obiettivi solidaristici sottesi al soddisfacimento del diritto al cibo con quelli di tutela dell’ambiente.

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