L'ex Opg rientra nella delibera 446 del giugno 2016 dell'Amministrazione De Magistris che regolamenta quegli spazi ritenuti capaci di generare capitale sociale, di promuovere comportamenti di cittadinanza attiva. Di fare aggregazione, di generare sistemi di autogoverno ispirati alla libertà  di accesso e rispondenti a quel sistema di valori sanciti e tutelati dalla Costituzione della Repubblica italiana

La struttura di Via Imbriani 218, rione Materdei è stata tante cose: prima un convento, poi un Ospedale Psichiatrico Giudiziario chiuso nel 2008 e oggi è uno spazio restituito alla città  da una rete di collettivi partenopei  coordinati in un ‘ assemblea unitaria e aperta che ha deciso di occupare questo luogo abbandonato da sette anni. Era il 2 marzo del 2015 quando sono entrati per non uscire più, nonostante le minacce di sgombero, quello che li ha resi forti e convinti che la direzione contraria fosse quella giusta, è stata l ‘ immediata solidarietà  dell ‘ intero quartiere in cui l ‘ ex Opg si trova.

Dov’era prigione abbiamo fatto libertà . Di sicuro è questa la frase che meglio descrive la passione e l’impegno della rete di collettivi che ha dato vita all’ex Opg ” Je so’ pazzo ” di Napoli. La struttura di Via Imbriani 218, rione Materdei è stata tante cose: prima un convento, poi un Ospedale Psichiatrico Giudiziario chiuso nel 2008 e oggi è uno spazio restituito alla città .

Una rete di collettivi partenopei coordinati in un’assemblea unitaria ha deciso di occupare questo luogo abbandonato da sette anni. Era il 2 marzo del 2015 quando sono entrati per non uscire più, nonostante le minacce di sgombero, quello che li ha resi forti e convinti che la direzione contraria fosse quella giusta, è stata l’immediata solidarietà  dell’intero quartiere in cui l’ex Opg si trova. Oggi quelle centinaia di metri quadri che sono stati proprietà  del demanio prima e affidati alla soprintendenza della polizia penitenziaria poi, sono un bene comune che cresce insieme alla partecipazione popolare.

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Siamo entrati nel pieno dei lavori di pulizia e manutenzione, alla fine di una prima fase di attività , anche se all’interno dell’ex Opg niente è mai fermo. All’ingresso c’è colore, ci sono colori tutt’intorno e dentro, murales di Blu e di Carlos Atoche, dipinti realizzati alla fine dei corsi di pittura: è questa la testimonianza più forte, il segno di qualcosa che ricomincia, delle celle aperte, delle strutture liberate: l’ex Opg rientra nella delibera 446 del giugno 2016 che regolamenta quegli spazi ritenuti capaci di generare capitale sociale, di promuovere comportamenti di cittadinanza attiva. Di fare aggregazione, di generare sistemi di autogoverno ispirati alla libertà  di accesso e rispondenti a quel sistema di valori sanciti e tutelati dalla Costituzione della Repubblica italiana.

Si aprono le porte pesanti e non si vede più il gabbiotto che serviva al controllo degli accessi, svoltando l’angolo c’è subito lo sportello medico popolare, in cui diversi medici volontari effettuano visite e fanno attività  di informazione e prevenzione, in modo particolare sulla contraccezione e sull’interruzione volontaria di gravidanza. All’interno dell’ambulatorio ci sono due ecografi che sono stati donati alla struttura. Il principio è quello per cui la vita di un essere umano vale – sempre e sicuramente – più di tutto l’oro del mondo, soprattutto in Campania dove il sistema sanitario è ormai quasi inaccessibile, fatto di lunghissime liste d’attesa e sovraffollamento degli ospedali, quella dell’ex Opg è una risposta per quanti non possono rivolgersi ai privati: la salute è un dritto e cosìpuò essere rispettato, sono in tanti ad usufruire di questo servizio, dalle persone del quartiere ai migranti, per visite generiche, specialistiche e la maggior parte della volte ginecologiche.

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La struttura è fatta a chiostri, ce ne sono tre. Ne attraversiamo uno e ci troviamo di fronte alla prima parete per l’arrampicata chiusa, dove maestri di climbing tengono le loro lezioni settimanalmente, un corridoio lunghissimo e scopriamo che l’aula riservata ai colloqui tra le famiglie e gli internati oggi è diventata una biblioteca e un’aula studio, per sopperire ad un’altra mancanza: quella dell’assenza di spazi per studiare. C’è un tavolo lungo inchiodato al pavimento e ai due estremi le sedie, solo il vetro divisorio è stato smontato. A sinistra c’è una parete dipinta da artisti giapponesi in visita a Napoli che hanno voluto lasciare il loro personale contributo dopo essere passati in questo luogo: ” Todo para todos, nada para nosotros ” si legge in mezzo ai corpi di uomini e donne che si stringono insieme in quella che sembra una danza.

Nel cortile dell’ora di libertà  il campo da calcio è rimasto, ma è stato risistemato, con un messaggio contro il razzismo. Il calcio è inteso nel senso pasoliniano del termine, uno sport che ti fa sentire parte di un tutto, senza limiti territoriali e culturali, un gioco sano e pulito che vive di valori e di emozioni.

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Torniamo all’interno continuando a chiacchierare, siamo davanti alla Camera Popolare del Lavoro che affianca lavoratori italiani e migranti, offre supporto e formazione, combattendo ogni giorno contro la piaga del lavoro nero: fino ad ora sono cinquanta le vertenze seguite dagli avvocati volontari, due sono state vinte. Questa è una delle attività  itineranti dell’ex Opg Je so’ pazzo, presente in diverse zone della città  per raccogliere le testimonianze sullo sfruttamento.

Siamo passati attraverso lo spazio gioco autogestito e l’asilo condiviso da un gruppo di mamme del quartiere che si organizzano per far crescere e giocare insieme i figli. C’è il doposcuola sociale, il Castello Pazzo, dove gli educatori volontari aiutano i ragazzi nei compiti, avviano piccoli laboratori creativi e supportano le famiglie, cercando di porre un limite alla dispersione scolastica attraverso l’aiuto quotidiano sia nella burocrazia che nello studio. Siamo passati attraverso un altro chiostro, siamo entrati nella palestra popolare creata dove c’erano le vecchie cucine, oggi si tengono corsi di danza, di pugilato, di kung fu, tutti organizzati in maniera volontaria. Nello stesso spazio, poco più avanti c’è la cucina, inaugurata a marzo di quest’anno, sotto la spinta della rete di solidarietà  popolare, si è attivata per offrire pasti ai senza fissa dimora che sono stati ospitati all’interno della struttura durante l’emergenza freddo, facendo dell’ex Opg un centro di lotta alla povertà , con la distribuzione di abiti e di beni primari. Il teatro, sempre popolare, è in fase di ristrutturazione: il palco e i camerini sono stati rifatti e manca poco per alzare il sipario.

Scale ripide e alte ci hanno portato al braccio di contenzione dove il tempo sembra essersi fermato. Nelle celle potevano essere ospitati al massimo 150 internati, ma spesso si arrivava ad oltre 250 persone sorvegliate a vista dalla polizia penitenziaria, senza il sostegno medico adeguato. Qui resta la memoria del posto: le scritte sui muri – fede e libertà  sono le parole più ricorrenti – i racconti di chi lo ha vissuto e lo ha odiato. Qui si vede la trasformazione messa in atto da uomini e donne che sono diventati la chiave per aprire questi cancelli e rendere l’ex Opg uno spazio di confronto e discussione, che si sono fatti voce e megafono di una realtà  che – cosìcome la conosciamo – non può andare più bene. Gli oblò di controllo, le finestre saldate devono restare per dire che questo era un carcere ma oggi è stato sottratto ad ogni tipo di speculazione, diventando la casa di tutti.

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L’amministrazione è in continuo dialogo con il presidio di collettivi, riconosce l’uso civico dello spazio e il lavoro politico e sociale che si porta avanti, ma resta la piena autonomia e l’autorganizzazione del tempo e dello spazio. Sono permanenti e aperte le assemblee, le giornate di lavoro. A settembre – dal 7 al 10 – ci sarà  il festival di quattro giorni con dibattiti, workshop, cene, mostre, stand, teatro e concerti, che porterà  all’ex OPG persone di diverse età , percorsi e  storie, accomunate però dalla voglia di cambiare e costruire, dal basso, qualcosa di serio, di incisivo, che possa da subito ottenere dei risultati tangibili sulla comunità  e sulle città .

Qui si realizzano ideali, si esercita la democrazia diretta e partecipativa. Qui il potere appartiene davvero al popolo. «Je so’ pazzo perché in un mondo dove la normalità  è fatta da disoccupazione, precarietà , discriminazioni razziali e di genere, culturali, religiose, vogliamo dichiararci pazzi anche noi, e osare organizzarci per riprendere parola e costruire un’alternativa al mondo grigio e disperato che vediamo quotidianamente ». Come cantava Pino Daniele, dove esisteva solo oppressione, autorità  e reclusione, sono stati realizzati spazi di condivisione, socialità  e libertà : è Napoli che ha ripreso coraggio e adesso sa che le forze unite possono farcela.

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