Quale forma di partecipazione alla vita politica vuole l’amministrazione di una città che ha firmato il Regolamento dei beni comuni e si vuole ergere a simbolo dell’amministrazione condivisa?

Sono ormai cinque gli anni trascorsi dall’occupazione dell’ex caserma Masini, in via Orfeo n. 46, uno dei tanti stabili rimasti per anni abbandonati al degrado. L’ edificio, grande circa 9 mila mq, è stato oggetto più volte di aste da parte dell’Agenzia del Demanio, titolare della vendita di questi beni, senza che mai ai concretizzasse realmente la volontà di qualche compratore di acquistare l’area e riqualificare la struttura. Lo stabile è dunque finito nelle mani di una controllata di Cassa Depositi e Prestiti, la Cassa Depositi e Prestiti investimenti Sgr, appunto. Nel 2012 il collettivo politico Làbas, costituito da un insieme di comitati, gruppi, persone, ha occupato lo stabile completamente fatiscente e pericolante, per svolgere i lavori utili a metterlo in sicurezza e svolgere attività di carattere politico, sociale, ludico e assistenziale, divenendo un punto di riferimento non solo per il quartiere, uno dei centralissimi e “borghesi” di Bologna, ma per la città intera, moltiplicando iniziative di qualità e di interesse per tutta la comunità.

Làbas e la città

La direzione del centro è basata su un modello partecipativo che vede nelle assemblee il momento di discussione principale e fa del contributo che ogni individuo riesce a mettere nella gestione delle iniziative la discriminante per partecipare ai processi decisionali. Un luogo dunque, che è diventato possibilità di azione per tanti che sono esclusi dalla politica istituzionale e che aveva tolto dal degrado un bene restituendogli valore per la società. Tante le iniziative e i progetti che chi è passato per Bologna in questi anni ha potuto osservare: “Làbiopizza”, la pizzeria nata all’interno del centro occupato, nata come progetto di formazione e professionalizzazione per gli occupanti, basata sul coworking, sia come pizzeria di qualità, che utilizza prodotti provenienti da “Campi Aperti, realtà contadina del territorio bolognese che da anni sviluppa e porta avanti un diverso concetto di agricoltura e distribuzione, dal produttore al trasformatore, fino al consumatore, senza ulteriori passaggi intermedi”.

La ciclofficina, in cui riparare o addirittura creare un veicolo unico di valore per la mobilità a Bologna, il “Làbimbi”, un progetto di educazione rivolto ai bambini, cercando di coniugare l’aspetto ludico a quello dell’apprendimento, che tratta tematiche spesso sconosciute ai più piccoli, dalla sostenibilità ambientale al valore dell’integrazione. Il progetto di “Accoglienza Degna”, capace di ripensare dal basso uno dei temi politici maggiormente discussi quotidianamente, quello dell’accoglienza, costruendo un dormitorio di circa 20 persone nei locali dell’ex Caserma. È recente la nascita di “Schiumarell – Birrificio Sociale”, divertente e formativa iniziativa volta all’ autoproduzione di birra fuori dalle catene della grande distribuzione. Sono poi incalcolabili le serate del famoso “mercoledì di Làbas” dove tutte queste iniziative si incontrano nel piazzale della caserma e, tra prodotti tipici provenienti dalle campagne emiliane, si può godere dell’accompagnamento musicale fino ad orari moderati (nessuna serata organizzata ha suscitato l’ira dei residenti del quartiere). Sono innumerevoli inoltre le iniziative organizzate, dai concerti rap alle conferenze degli agricoltori, dalle serate jazz a discussioni con esperti sull’America Latina, senza contare la serie di artisti che ha ospitato il centro.

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Bandiera ideata dal fumettista Zerocalcare. Dal profilo Instagram dell’autore

#RiprendiamociLàbas

È facile capire come ben presto il “temuto” centro sociale si sia rivelato una risorsa per i residenti e per la città di Bologna e un bene comune dell’intero quartiere. Lo sgombero del 7 agosto 2017 non ha riguardato solo il Làbas, ma è stato quasi contemporaneo a quello del Crash, un altro edificio occupato in una parte opposta della città. Già da qualche sera prima girava la voce tra gli attivisti che nell’aria c’era la possibilità che l’ordine di sgombero richiesto dalla magistratura ed eseguito dalle forze dell’ordine si concretizzasse. Puntuale, alle prime luci della mattina, le camionette della Polizia e gli agenti in assetto antisommossa sono entrati per sgomberare l’edificio. Una cinquantina di attivisti accorsi lì per una “colazione sociale” hanno provato ad opporsi con lanci di pietre ed improvvisate barricate. Ben presto però, la forza delle manganellate ha avuto la meglio (sono almeno una decina i referti dell’ospedale e sei i feriti tra le forze dell’ordine). La situazione vede, ora, certamente una città più povera di un bene che tanto aveva dato alla comunità e il ripristino della legalità, con il concretizzarsi delle direttive del Piano Operativo Comunale, che prevede per quell’area la costruzione di attività commerciali e/o residenziali. Gli attivisti di Làbas sembrano intenzionati a non tirarsi indietro e lanciano un percorso di iniziative fino al 9 settembre, data di un corteo che ha in testa lo slogan #RiprendiamociLàbas. Già dal giorno seguente infatti, le iniziative previste sono riprese in altri posti, come il parco del Baraccano e hanno visto una massiccia partecipazione.

L'immagine può contenere: 9 persone, folla e spazio all'aperto

Giardino del Baraccano, “Il Mercoledi’ di Labas” del 09/08/2017. Dal profilo Facebook di Làbas

In che modo la politica, fino ad ora spettatrice ignava della vicenda, può gestire e mediare in quello che è uno scontro tra interessi privati e interessi collettivi? Quale forma di partecipazione alla vita politica vuole l’amministrazione di una città che ha firmato il Regolamento sulla collaborazione per la cura e rigenerazione dei beni comuni urbani e si vuole ergere a simbolo dell’amministrazione condivisa?

Qui le dichiarazioni pubbliche dell’assessore Matteo Lepore, che nelle ultime ora ha confermato la propria estraneità allo sgombero e ha proposto l’inserimento delle iniziative di Làbas all’interno dell’area ex Staveco, un altro stabile abbandonato, suscitando non poche critiche all’interno della maggioranza. Di seguito invece le risposte di L., attivista del collettivo Làbas, alle nostre domande.

Cinque anni di occupazione e di iniziative sono tanti, l’epilogo dello sgombero è stato inevitabile? Perché non sono state possibili trattative con le amministrazioni, nonostante queste abbiano più volte riconosciuto l’impegno e il valore delle attività messe in campo? Avete avuto rapporti al di fuori di quelli legali con la proprietà dello stabile?

Abbiamo avuto una serie di trattative con le giunte comunali, ma sono sempre state di tipo informale e senza mai la reale volontà politica di affrontare il tema dell’ex caserma Masini in modo credibile. Ricapitolando: ci sono stati una serie di incontri a inizio 2016 con l’assessore alla cultura Conte, subentrato a Ronchi dopo lo sgombero di Atlantide (un altro posto occupato nel quartiere), ma non ci sono state proposte soluzioni concrete. In seguito è partita la campagna elettorale per le elezioni comunali d giugno 2016 e la questione Làbas è stata accantonata anche da quei partiti che ammettevano il valore della progettualità messa in campo, ma non vedevano altra soluzione se non il ripristino del possesso dello stabile da parte della Cassa depositi e Prestiti, visto l’incasso del comune di 7, 5 milioni euro dalla vendita di diversi immobili, tra cui appunto l’ex Caserma. Terminata la campagna elettorale, abbiamo incontrato l’ex capo di gabinetto di Virginio Merola, Valerio Montalto, con la presidentessa del quartiere Santo Stefano, Rosa Maria Amorevole, in incontri surreali e grotteschi, tanto che siamo stati quasi minacciati di sgombero nel caso se ne fosse parlato a terzi, come surreali sono state le proposte da parte dell’amministrazione, che ci ha consigliato di cercare autonomamente dei posti, verificando inseguito la disponibilità a un’eventuale occupazione, senza incorrere in troppi problemi. La proposta definitiva è stata quella di occupare uno stanzone facente parte di un cohousing del quartiere Porto. Una soluzione inaccettabile poiché significa delocalizzare le attività di Làbas e snaturare il valore delle iniziative, che non sono individuali, ma rientrano in un ben preciso quadro generale. Dopodiché, nel corso di quest’anno abbiamo incontrato l’assessore Lepore, che ha rimandato la discussione all’ autunno, garantendoci che non vi era nessuna intenzione da parte del Comune né della questura di procedere a uno sgombero. La proprietà è invece stata sorda ad ogni possibilità di confronto, come ci si aspetta da una società per azioni che ha come unico obiettivo quello di recuperare l’area e edificare parcheggi, alberghi e abitazioni per accrescere i profitti.

Dopo lo sgombero di martedì mattina che progetti avete? Considerate chiusa l’esperienza di Làbas?

Assolutamente no, le migliaia di attestati di solidarietà arrivateci da singoli, associazioni civiche o gruppi ci spinge a continuare con il nostro progetto. Abbiamo lanciato due appuntamenti pubblici: una grande assemblea aperta prevista per il 30 agosto e un corteo nazionale il 9 settembre che ha come slogan #RiapriamoLàbas, che è il nostro obiettivo. Non vogliamo riaprire Làbas per avere il nostro centro sociale, per costruzioni retoriche o ideologiche, siamo coscienti che sia un bisogno concreto del quartiere e della città, come testimonia l’appoggio che abbiamo nella comunità.

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