il Codice del Terzo Settore appare coerente con lo scopo di rendere più organica la normativa di settore, adattando contemporaneamente la normativa vigente con le necessità reali delle compagini sociali.The Third Sector’s Code has been published. It introduces the new set of rules, gathered together in a single legislative act, that is addressed to social entities. It is an important step towards the Third Sector Reform.

Come anticipato, nei suoi 104 articoli il Codice del Terzo Settore detta una disciplina organica dei vari enti coinvolti: nella descrizione degli “Enti del Terzo Settore” il testo normativo parte da una disamina delle norme di carattere generale per poi soffermarsi sulla disciplina delle specifiche tipologie di enti del Terzo Settore, quali le associazioni, con puntuali disposizioni per le associazioni di promozione sociale e per le reti associative, le fondazioni, le organizzazioni di volontariato, gli enti filantropici, le società di mutuo soccorso e le imprese sociali, indicate tra gli enti ma la cui normativizzazione è rimessa ad un successivo e specifico decreto, nonché con richiami ad ulteriori “altri enti” per alcune previsioni normative; una disciplina che va a sostituirsi alle particolari e specifiche discipline preesistenti per i singoli enti, travolgendo baluardi della normativa di settore come la legge sul volontariato n. 266/1991 e quella sulle associazioni di promozione sociale n. 383/2000, proponendo pertanto un nuovo scenario sociale in cui risalta la scomparsa delle Onlus, catalogate ora nella classe degli “enti del Terzo settore non commerciali”.

Accanto all’effetto “onnivoro” del Codice, le innovazioni più rilevanti si hanno in tema di vigilanza e trasparenza: viene creato il Registro unico del Terzo settore, volto a riunire in un’unica raccolta tutti gli enti operanti in tale ambito; vengono inoltre introdotti stringenti obblighi in capo agli enti in tema di retribuzione degli associati e nella redazione della documentazione finanziaria e di bilancio, con un palese avvicinamento agli istituti obbligatori per le imprese economiche; vengono altresì modificati gli assetti tributari e fiscali anche con riguardo agli sgravi fiscali applicabili.

Commento

Bisogna senz’altro sottolineare come il disegno di riforma del Terzo settore fosse da tempo sperato ed auspicato e come il testo pubblicato in Gazzetta appaia consono a rispondere alle (principali) necessità che tale ambito manifestava da tempo ed in coerenza con gli obiettivi indicati dalla legge n. 106 del 6 giugno 2016, anche alla luce dei recenti scandali che hanno sconvolto e travolto i virtuosismi tipici delle realtà sociali.

Fatta tale premessa, bisogna altresì indicare alcune migliorie che il Codice del Terzo Settore approvato avrebbe potuto prevedere completando il disegno di riforma proposto.

L’aspetto senz’altro più critico dal punto di vista di coordinamento riguarda l’assenza di una contestuale modifica delle norme riguardanti il Terzo settore presenti nel codice civile: un progetto di riforma che mira a dare una disciplina organica dell’intero Terzo Settore veicolandone la normativa in un solo testo legislativo, necessitava senz’altro di incidere anche sulla disciplina contenuta nel Titolo II del Libro I del codice civile.

Tale mancanza era stata altresì già sottolineata dal Consiglio di Stato, che con il parere del 14 giugno 2017, n. 1405, riguardante lo schema di decreto legislativo sotteso, sottolineava come «gli sviluppi normativi e l’evoluzione sociale hanno nel corso del tempo progressivamente reso obsoleto e marginale il sistema codicistico originario» e tutt’ora vigente, ancora maggiormente ed inesorabilmente svuotato alla luce dell’odierna riforma.

Ulteriore singolarità è la mancanza nel Codice del Terzo Settore di uno specifico richiamo a concetti quali quello di “sussidiarietà orizzontale” o “beni comuni” già sottolineate da Labsus, preferendo concetti meno “netti” o comunque differenti quali “bene comune” o “attività d’interesse generale”, quest’ultima dizione, sebbene anch’essa già censurata dal Consiglio di Stato nel parere indicato, utilizzata come titolo dell’art. 5 dove viene declinata indicando tutte le attività ordinariamente svolte dagli enti sociali ed aggiungendovi alcune peculiarità quali l’agricoltura sociale, la promozione della legalità e il commercio equosolidale.

Inoltre non appare disciplinata la figura del singolo cittadino attivo nello svolgimento di quelle attività indicate d’interesse generale descritte al predetto art. 5.

Tale mancata disciplina delle iniziative dei singoli cittadini non operanti tramite enti sociali è altresì connessa al contenuto della legge delega sottesa, disponente “il riordino e la revisione organica della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti relative agli enti del Terzo settore” (art. 1, comma 2, lett. b) della legge n. 106/2016), non prevedendo pertanto la definizione e disciplina dei singoli operanti individualmente fuori da enti precostituiti.

Ugualmente, dalla stessa indicazione tra le finalità indicate dal Codice “di sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione…” si può evincere un chiaro, seppur indiretto, riconoscimento della rilevanza e valenza che i singoli operanti individualmente (o in gruppi non riconosciuti) hanno nel Terzo settore.

In definitiva, in attesa degli ulteriori decreti attuativi della riforma del Terzo Settore, primo fra tutti quello delle imprese sociali, potenzialmente idonee, nei propositi del legislatore, a rispondere alle necessità di sostenibilità economica dei moderni enti sociali, il Codice del Terzo Settore appare coerente con lo scopo di rendere più organica la normativa di settore, adattando contemporaneamente la normativa vigente con le necessità reali delle compagini sociali.