L’esempio italiano dell’amministrazione condivisa è parso ai catalani un mezzo valido per rispondere con efficacia, come scrive Arena, al “enemigo común, representado por la complejidad del mundo en que vivimos”

Presentiamo volentieri questo lavoro che descrive al pubblico spagnolo e “rinfresca” a quello del nostro paese la situazione italiana rispetto all’introduzione del nuovo paradigma dell’amministrazione condivisa, tradotto in spagnolo come administración compartida. Il saggio è in lingua, ma la scrittura è scorrevole e invita ad addentrarsi nel testo ricco di piacevoli assonanze sonore con il nostro italiano. Arena si rivolge ai lettori spagnoli partendo dal principio costituzionale che consente ai cittadini attivi italiani di intraprendere la strada dell’amministrazione condivisa, stabilendo con i pubblici uffici, grazie al Regolamento di Bologna, una nuova alleanza per la cura e la rigenerazione dei beni comuni (Patti di collaborazione). I cittadini, singoli e associati, possono, attivandosi, promuovere iniziative per lo svolgimento di attività di interesse generale che i soggetti pubblici (Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni) sono tenuti a “favorire”, secondo il principio di sussidiarietà (art. 118, ultimo comma). Il saggio si sofferma su tutti gli aspetti, i passaggi e gli strumenti che hanno segnato e permesso l’affermarsi del nuovo paradigma, il quale ha avviato una vera e propria rivoluzione nei rapporti tra amministrazione pubblica e “società responsabile”.

Oltre l’Italia, la Spagna

L’esperienza italiana descritta da Arene si rivela un esempio suggestivo per gli studiosi iberici di diritto amministrativo che si confrontano con l’ordinamento costituzionale spagnolo e con una realtà variegata di statuti di autonomia, in cui la sussidiarietà trova un suo spazio. La costituzione spagnola del 1978 non esprime con chiarezza pari a quella italiana l’idea della sussidiarietà orizzontale e i diritti sociali si trovano ancora confinati entro concetti più generali che fanno capo all’idea dello Stato sociale, della dignità della persona e delle pari opportunità, della solidarietà collettiva nella logica consueta che riconosce all’iniziativa pubblica la prevalenza in ambito sociale ed economico. Si tratta quindi di una costruzione verticale in cui lo Stato ha il monopolio dell’iniziativa e procede dall’alto verso il basso (sistema assistenziale e deresponsabilizzante), fedele al paradigma tradizionale che pone l’amministrazione su un piano di superiorità rispetto alla cittadinanza e alle formazioni sociali.

Tuttavia la costituzione spagnola (art. 9, comma 2), come quella italiana (artt. 2 e 3) prevede principi “negativi”, diretti a rimuovere eventuali impedimenti e a garantire le condizioni generali perché la sussidiarietà possa trovare un terreno fertile. Secondo la carta fondamentale “compete ai pubblici poteri promuovere le condizioni affinché la libertà e l’eguaglianza dell’individuo e dei gruppi cui partecipa siano reali ed effettivi”. Lo Stato ha il compito di “rimuovere gli ostacoli che impediscono o rendono difficile la loro realizzazione e agevolare la partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica, economica, culturale e sociale”. I cittadini quindi sono tutelati nei loro diritti civili, politici e sociali, ma non è riconosciuta loro alcuna prerogativa d’azione che possa coinvolgerli direttamente nell’attività amministrativa ai vari livelli. E qualora si presentasse un caso di applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale, la sua promozione sarebbe affidata ai pubblici poteri secondo uno schema tradizionale. In altri termini, manca nella costituzione spagnola l’equivalente del nostro art. 118, ultimo comma, in cui è previsto un principio “positivo” che consenta ai cittadini di prendere l’iniziativa in accordo con l’amministrazione pubblica su un piano di pari responsabilità e in un clima di cooperazione.

Oltre la Spagna, la Catalogna

Differente invece è il caso della Catalogna, nel cui ordinamento statutario la sussidiarietà orizzontale è intesa come uno strumento avanzato nel processo di riconoscimento e promozione dell’autonomia sociale. Nel panorama dello “Stato autonomico” spagnolo, secondo cui la costituzione del regno (art. 137) riconosce – senza esplicito riferimento al principio di sussidiarietà verticale – ampi gradi di autonomia alle regioni e alle nazionalità storiche iberiche, i municipi, le province e le stesse comunità autonome che si costituiscano “godono di autonomia per la gestione dei rispettivi interessi”. In particolare, lo statuto catalano, contiene un chiaro riferimento alla sussidiarietà orizzontale, nel cui preambolo si afferma che “i poteri pubblici sono al servizio dell’interesse generale e dei diritti dei cittadini, nel rispetto del principio di sussidiarietà”.

Tuttavia anche in questo caso sembrano ancora mancare meccanismi normativi in grado di attivare in maniera esplicita e diretta, come nel caso del 118, ultimo comma della nostra costituzione, un sistema virtuoso di interrelazione e cooperazione fra cittadinanza e pubblica amministrazione, consentendo ai gruppi sociali di prendere l’iniziativa dal basso. La sussidiarietà orizzontale resta iscritta nel sistema delle autonomie e derivata in parte da un moto discendente che va dallo Stato spagnolo alle realtà regionali e municipali (attribuzione di competenze). Ad ogni modo, gli statuti riformati di recente sono caratterizzati da una propensione a riconoscere, implicitamente (Andalusia) o esplicitamente (Catalogna), il valore intrinseco della sussidiarietà orizzontale e hanno accolto principi sociali funzionali alla sua applicazione con il riconoscimento di diritti, obiettivi e valori che la cittadinanza rivendica ed esprime.

Catalogna: ritorno alla Spagna e all’Europa

La Catalogna resta una realtà dinamica, attenta ai cambiamenti e volta a ricercare strumenti che possano liberare le energie e la creatività di cui la sua società e ricca. Barcellona in particolare resta un laboratorio di innovazione civica, attenta a modelli di economia sociale e solidale che comportano forme di partecipazione e di cooperazione nel recupero e nella gestione dei beni comuni. In questo senso, l’esempio italiano dell’amministrazione condivisa è parso ai catalani un mezzo valido per rispondere con efficacia, come scrive Arena, al “enemigo común, representado por la complejidad del mundo en que vivimos”.

Resta da chiedersi se il dramma che in questi giorni sta vivendo la Catalogna, e con essa la Spagna e l’Europa, sia davvero espressione di questa società pluralista, responsabile e con un alto senso civico, o piuttosto il risultato di manovre politiche irresponsabili e certo non rappresentative dei sentimenti dell’intera società catalana. Anche in questo caso la questione che riguarda la rivendicazione del governo catalano di una piena indipendenza dalla Spagna suscita quantomeno un dubbio di coerenza rispetto all’idea di sussidiarietà e al principio di interesse generale, questa volta, in senso verticale. Se la Catalogna infatti muoverà verso la secessione dalla Spagna e al conseguente divorzio dall’Unione europea sarà per “eccesso” o “presunzione” di sussidiarietà. Le conseguenze andranno nella direzione opposta all’interesse generale della società catalana che, per logica naturale e consequenziale e senza perdere il punto di vista del singolo cittadino, rientra nell’interesse generale della stessa Spagna e in quello più ampio ancora dell’Europa intera.

A questo punto e sperando in una soluzione positiva del problema catalano, sorge spontanea la domanda: un’indipendenza “fiera” e solitaria nel marasma dei processi di globalizzazione è davvero la scelta più appropriata per rispondere alla “complejidad del mundo en que vivimos”?

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