Attraverso il dialogo e il confronto sono emerse nuove prospettive per vivere e studiare lo spazio urbano.

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

― Italo Calvino, Le città invisibili, Torino, Einaudi, p. 164

La città ha svolto un ruolo da protagonista nella conferenza annuale tenuta lo scorso 16 settembre 2017 presso il dipartimento di Giurisprudenza della Birkbeck University di Londra. Tema dell’incontro: Law and the City: Exploring the Urban Revolution in Critical Legal Studies. Fra gli ambiziosi obiettivi della conferenza, la necessità di esplorare e connettere le dinamiche urbane con l’evoluzione del diritto, cercando sempre di mantenere un atteggiamento di apertura verso la multidisciplinarietà. Il diritto della città, del resto, non è che il prodotto, o l’antidoto, dei bisogni della società e degli slanci di chi vive quotidianamente all’interno degli affascinanti, e a tratti preoccupanti, contrasti che caratterizzano lo spazio urbano. Non può quindi, necessariamente, essere impermeabile rispetto ad aspetti sociologici, economici e istituzionali dei confini cittadini. Il binomio diritto-città deriva dalla centralità degli spazi urbani nella nostra società che, circa cinquant’anni fa, il filosofo e sociologo francese Henri Lefebvre proclamò come completamente urbanizzata.

L’ideologia di Henri Lefebvre

Gli studi di Henri Lefebvre hanno rappresentato un punto di partenza per le riflessioni della conferenza. Per questo motivo ritengo sia opportuno spendere alcune parole riguardo alle idee base delle sue maggiori opere riguardanti la città (Le Droit à la ville, I, Parigi, Economica, 1968; trad. it. Il diritto alla città, Padova, Ombre Corte, 1970, Le Droit à la ville, IIEspace et politique, Economica, Parigi, 1972; trad. it. Spazio e politica: il diritto alla città II, Milano, Moizzi, 1972, La Révolution urbaine, 1970; trad. it. La rivoluzione urbana, Roma, Armando, 1973). Il progetto politico e intellettuale di Lefebvre si basava sulla critica alla società del tempo per poter aprire la strada ad un nuovo modello, al di là del capitalismo, dello stato e del consumismo. Con un nuovo contratto della cittadinanza, lo studioso proponeva un momento di epifania e risveglio dei cittadini (intesi come coloro che vivono la città, al di là dei riconoscimenti formali).

The new political contract I propose will be only a point of departure for initiatives, ideas, even interpretations. This is not a dogmatic text. What is important is that this idea of contractual citizenship gives rise to a renewal of political life: a movement that has historic roots, roots in revolution, in Marxism, in production and productive labor. But the movement must go beyond ideology so that new forces enter into action, come together, and bear down on the established order. This movement would accomplish democratically a project that has been abandoned: the dictatorship of the proletariat. It would lead, without brutality, to the withering away of the state (H. Lefebvre, “Du pacte social au contrat de citoyennete”, in Groupe de Navarrenx (ed.), Du contrat de citoyennete, Paris, Editions Syllepse et Editions Periscope, 1990, p. 37).

Il cambiamento avrebbe richiesto necessariamente degli sforzi da parte dei cittadini, al punto di divenire totalmente autonomi nella gestione della città. La città, peraltro, è un concetto distinto dall’urbano, negli studi del filosofo francese. Con il termine città egli intendeva infatti il prodotto capitalistico, i solchi tracciati sul territorio urbano da parte dell’industrializzazione. Mediante la suddetta presa di coscienza, il risveglio, i cittadini avrebbero fatto riemergere l’originale urbano, spazio comune delle persone, che necessariamente abbisogna delle persone, caratterizzato da libertà, connessione, differenza, insegnamento. Un’epifania, dunque, impegnativa per i cittadini: se da una parte avrebbe condotto a un potere di autogestione totale, dall’altra avrebbe portato con sé gli inevitabili fardelli della responsabilità, del prendersi cura ogni giorno dell’urbano per farlo fiorire liberamente nella sua natura. Un’ideologia, dunque, abbastanza radicale contenente indubbi profili di criticabilità. Nella sua essenza, però, racchiude intrinsecamente le linee ispiratrici degli odierni fenomeni di cittadinanza attiva e risveglio, per riutilizzare le parole dello studioso, della consapevolezza che la città, in fondo, siamo noi che la abitiamo e viviamo quotidianamente.

La città, protagonista odierna

I dati di oggi sembrano confermare il fondamento della centralità della città. Più di metà della popolazione mondiale vive, infatti, in ambienti urbani e difficilmente un’analisi dei maggiori fenomeni e delle problematiche dei nostri giorni può essere condotta disgiuntamente da questa grande protagonista. Nel 1991 la centralità degli spazi urbani e la loro potenzialità, anche in dinamiche internazionali, è stata analizzata da Saskia Sassen (S. Sassen, The Global City: New York, London, Tokyo, Princeton, Princeton University Press, 1991), docente di Sociologia presso la Columbia University. Dati alla mano: nel 1900 solo il 10% della popolazione mondiale viveva all’interno dei confini urbani; nel 2007 le statistiche ONU hanno sottolineato come questa percentuale avesse raggiunto il 50% e oggi gli studiosi prevedono che entro il 2050 si arriverà all’inurbamento del 75% della popolazione globale. I numeri sono chiari. Con profili di complessità maggiore è invece la comprensione del ruolo che le città stanno assumendo. L’idea della città come “creatura degli stati”, in quanto subordinata e sede di applicazione e concretizzazione di funzioni attribuite dal livello più alto (dallo Stato, in altre parole), può dirsi superata. Si tratta, piuttosto, di “creature di comunità”. Non solo applicano il diritto calato dall’alto, cioè disegnato da un livello di potere maggiore quale la regione o lo stato, ma sono esse stesse dotate di incredibili potenzialità in qualità di centri di creazione del diritto, cooperando con i propri cittadini.

Il programma della conferenza

La giornata di studio e riflessione è stata strutturata in gruppi tematici: “La povertà nella città neoliberale”, “Territorio, valore e rivendicazioni”, “Governo urbano, democrazia e diritto quotidiano” e “Approcci socio-legali nei confronti delle disuguaglianze urbane. Intrappolati nelle tragedie: povertà disuguaglianza spaziale e diritto”. I numerosi interventi, a voce bassa e in un clima di dialogo e desiderio di comprensione, hanno riguardato temi difficili, che per natura farebbero forse “urlare”. Si è affrontato il caso della produzione neoliberale dello spazio urbano nella regione metropolitana di Rio de Janeiro. Negli anni Novanta, infatti, il governo decise di promuovere l’accoglienza di grandi eventi sportivi al fine di promuovere il miglioramento dell’area. Si avviarono, da allora, importanti interventi di riqualificazione, specie nelle zone più povere e nelle favelas, andando a ledere il diritto alla città riconosciuto sia a livello nazionale che internazionale. Da quello che si definiva un passo avanti per la società, un’opera di miglioramento, derivarono fenomeni di gentrification per i quali intere fasce di popolazione furono forzate a una nuova marginalizzazione. Similmente, è stato presentato anche lo studio della criminalizzazione della povertà urbana in prospettiva comparata tra Bogotà e Rio de Janeiro. Il tentativo di valorizzazione delle zone urbane ha comportato, in queste realtà, un aumento delle politiche di sicurezza dello spazio pubblico, al fine di rimuovere i cosiddetti “indesiderabili” (senzatetto, borseggiatori ecc.). Le riflessioni in merito a questo restyling della città, che diviene un prodotto sartoriale confezionato sulla selezione di ciò che è “bello e internazionalmente allettante e spendibile”, sono inevitabili. Non può mancare, ovviamente, la connessione fra la gestione urbana e i processi di finanziamento con un complesso meccanismo di potere. Uno studio di confronto tra le favelas brasiliane e i campi di rifugiati palestinesi in Libano è stato esposto in un altro intervento. Nonostante le differenze storiche, dalla comparazione sono risultati profili di somiglianza rilevanti: condizioni di vita precarie, segregazione sociale ed etnica, disuguaglianze e violenza quotidiana. Al di là della collocazione geografica e delle situazioni socio-economiche, si tratta di spazi al margine della città e dello Stato. Un secondo gruppo tematico si è incentrato sul caso della Francia e della legge del marzo 2014, sull’accesso all’abitazione, che ha creato i cosiddetti Organismes de Foncier Solidaire (OFS). Questi organismi non profit gestiscono il territorio per dare un’abitazione e servizi di comunità. Fra i rilievi critici sollevati si è evidenziato come frequentemente gli Organismes de Foncier Solidaire abbiano finalizzato il proprio lavoro ad un pubblico medio che potrebbe comunque trovare soluzione nel mercato immobiliare, trascurando i gruppi di cittadini meno abbienti e bisognosi. Sono seguite considerazioni sulle disuguaglianze che caratterizzano i segregati per razza e classe sociale, nei quartieri marginalizzati di varie città americane. È emerso che spesso queste persone al margine fanno quotidianamente esperienze traumatiche che influiscono complessivamente sulla vita media, incidendo sulle funzioni neurobiologiche, psicologiche e socio-emozionali. Non sono mancate riflessioni sulle potenzialità di iniziative dal basso: nel caso specifico si è parlato del progetto finanziato dalla Commissione europea Caravan Next che, mediante iniziative di attivisti di arte urbana, ha consentito la decostruzione delle dinamiche del potere di determinati territori. Anche Labsus, con la sua esperienza italiana, è stato raccontato durante la conferenza. Le potenzialità dei cittadini e l’importanza del dialogo e della collaborazione con la pubblica amministrazione sono state presentate come modello efficace e innovativo di attivismo civico e di partecipazione. È trasparito l’entusiasmo per il successo del Regolamento di Bologna e la fioritura di numerosi nuovi regolamenti in Italia.

Alcune riflessioni

Nonostante gli interventi abbiano riguardato città molto diverse fra loro dal punto di vista geografico, economico e sociologico, sono stati accumunati da un forte senso di appartenenza e coinvolgimento. In ogni partecipante, nelle fotografie portate da chi vive nella realtà urbana descritta, nei casi di studio riguardanti realtà spesso marginali non è mancato un profondo senso di attaccamento e coinvolgimento per la questione trattata. Nella tendenza, e quasi ossessione, a osservare e riportare il dettaglio delle situazioni e nel modo in cui venivano presentate le problematiche (di un quartiere, di una città, di un villaggio, di una favelas ecc.) – che inizialmente sembravano sviare l’attenzione dagli obiettivi ambiziosi della conferenza – si percepiva la presenza diffusa di un forte desiderio di risveglio della cittadinanza (poco importa se di tecnici, di semplici cittadini, di professori o di burocrati) per dirla con le parole di Lefebvre. Tutti si sono impegnati durante un sabato, mattina e pomeriggio, per condividere buone pratiche, problemi e difficoltà che caratterizzano le nostre città, raccontando cosa funziona e che cosa invece necessita di “manutenzione” all’interno delle realtà urbane.
Dal confronto delle percezioni particolari dei problemi e dal procedere induttivo delle singole riflessioni si è pervenuti a un sentimento condiviso di passione e compassione, intesa quest’ultima nel senso etimologico del termine (cum-pati), di sofferenza condivisa, di preoccupazione comune che oltrepassa le barriere disciplinari e attraversa le diverse esperienze professionali. Vorrei dunque riportare l’attenzione al frammento di Calvino posto in apertura per invitare il lettore a vedere la città come una straordinaria opportunità di rinascita o meglio di risveglio individuale e collettivo. L’inferno che abitiamo tutti i giorni, che noi stessi contribuiamo a generare più o meno inconsciamente, può essere affrontato con passività, ignorando ciò che non funziona per divenire noi stessi disfunzionali al punto di perdere la consapevolezza di vivere l’inferno; oppure, possiamo scegliere di affrontarne le fiamme da acrobati, in equilibrio tra utopia e criticismo fine a se stesso. L’invito di Calvino è chiaro, nonostante sia la scelta più difficile: cerchiamo di riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, impegnandoci a farlo durare e a dargli spazio.

Enrica Rocca

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