Con il decreto legislativo n. 112 del 3 luglio 2017 il Governo ha deciso di riscrivere interamente la disciplina dell’impresa sociale, precedentemente contenuta nel d.lgs. n. 155/2006, ora interamente abrogato.

Il testo legislativo si presenta particolarmente snello ed organico, mirando a descrivere in 21 articoli l’intero assetto normativo dell’impresa sociale.

Analizzando la struttura del testo si evince come il legislatore sia partito descrivendo le caratteristiche distintive dell’impresa sociale, soffermandosi nei primissimi articoli sulla definizione dell’istituto e sulle sue peculiarità, per poi descriverne gli elementi strutturali, di funzionamento ed organizzazione interna. Infine le norme attinenti al sostegno economico dell’istituto, tra cui, accanto alle apposite misure fiscali incentivanti tale istituto, risalta la previsione relativa al Fondo per la promozione e lo sviluppo delle imprese sociali.

Commento

Il decreto legislativo qui analizzato rappresenta un passo essenziale nel disegno di Riforma del Terzo Settore avviato dal Governo precedente: se il Codice del Terzo Settore rappresenta il corpus normativo di riferimento per gli enti no profit (sebbene, nonostante i vari aspetti positivi, risulti ancora monco alla luce della mancata contestuale riforma del Titolo II del codice civile già segnalata sulla nostra rubrica), la nuova disciplina dell’impresa sociale rappresenta l’essenziale strumento di rilancio per gli operatori non profit, ossia quegli enti che al fine di raggiungere il proprio fine istituzionale di rilevanza sociale possono operare con metodo economico.
Il carattere innovativo della nuova disciplina appare fin dalla definizione dell’impresa sociale: abbandonando la tradizionale distinzione formalistica, il legislatore ha optato per una descrizione finalistica dei soggetti rientranti in tale nozione.
Pertanto, il conseguimento della qualifica di impresa sociale delle attività imprenditoriali senza fine di lucro è vincolato allo svolgimento di precipue attività declinate all’art. 2 del decreto. Si tratta delle attività che manifestano il fine civico, solidaristico e di utilità sociale che devono conseguire gli Enti del Terzo Settore secondo un’elencazione che ricalca quella già indicata dal Codice del Terzo Settore (art. 5). La tipicizzazione indicata, tra l’altro già attenuata dall’indicazione di macro categorie potenzialmente quasi esaustive degli ambiti di rilevanza civico-sociale, è mitigata dalla previsione contenuta dall’art. 2, comma II, che stabilisce la possibile integrazione delle categorie prescelte mediante apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Detto del requisito finalistico, il decreto legislativo prosegue stabilendo i criteri distintivi della “assenza di lucro”, escludendo la possibilità di distribuzione degli utili se non per finalità assistenziali e di consolidamento della realtà imprenditoriale, nonché stabilendo che le retribuzioni delle figure che lavorano nell’impresa e il pagamento di beni e servizi acquistati dall’impresa sociale non possono esser superiore ai valori di mercato; limitazione quest’ultima auspicabile e doverosa, sebbene intrinsecamente astratta e di difficile dimostrazione soprattutto per quanto riguarda la retribuzione di figure apicali come amministratori e sindaci, per loro natura differenziate in base allo specifico ruolo svolto ed alla realtà di riferimento e che, pertanto, non si prestano ad una preventiva e rigida definizione dei salari massimi.

Continuando nell’analisi del testo risalta la precipua normativa relativa alla composizione ed agli oneri contabili e di controllo interni imposti alle imprese sociali. Dalla lettura di tali disposizione si può notare un avvicinamento con la normativa prescritta dal nostro legislatore per le società, in linea con gli unanimi indirizzi conseguiti dalla Riforma nonché coerente con il maggior rilievo che, almeno nelle aspettative, dovrebbe assumere nell’odierna società l’istituto analizzato.
Sotto tale aspetto un ulteriore avvicinamento può evincere nella disciplina dettata per il lavoro nell’impresa sociale (art. 13), laddove non solo viene indicato il numero massimo dei volontari che possono esser impiegati all’interno dell’impresa sociale, che non può mai superare quello dei lavoratori, ma viene altresì imposto uno specifico criterio di determinazione dei compensi per i dipendenti, sia rispetto i trattamenti salariali applicati in altre realtà sia tra gli impiegati interni, contenendo le differenze retributive nel rapporto uno ad otto.
Inoltre il decreto legge richiama un tertium genus di soggetti interessati nell’attività d’impresa, ovvero i lavoratori molto svantaggiati e svantaggiati, la cui occupazione, rispettosa delle percentuali indicate, determina il conseguimento dell’interesse generale richiesto per qualificare l’impresa sociale indipendentemente dallo specifico oggetto dell’attività svolta.
Se la limitazione dei volontari utilizzabili nell’attività d’impresa appare indubbiamente positiva al fine di evitare infelici degenerazioni dell’istituto, meno netto appare il giudizio circa la retribuzione dei lavoratori: anche in tal caso può senz’altro cogliersi positivamente il tentativo del legislatore di definire a priori i confini della retribuzione, ma il mero richiamo all’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015 diluisce i diritti tra le diversificate norme della contrattazione collettiva applicabili; problematica peraltro già presente nel Codice del Terzo Settore, che comunque non appariva superabile nel presente decreto.
Infine occorre brevemente sottolineare le misure fiscali volte a promuovere la nascita e la sostenibilità dell’impresa sociale, quali l’esclusione dal reddito imponibile tutti gli utili e gli avanzi destinati al conseguimento delle finalità dell’impresa sociale nonché la possibilità del contribuente di detrarre fino al 30% della somma investita nel capitale sociale dell’impresa.

In definitiva, il nuovo assetto delineato per l’impresa sociale appare conseguire i propositi della Riforma e rispondere, in generale, alla necessità di un adeguamento della normativa idonea ad avvicinare l’impresa sociale alla disciplina societaria in tema di organizzazione interna e contabile, mediante una serie di apposite e speciali disposizioni che rafforzano i controlli sull’istituto conservandone e proteggendone contestualmente la finalità prettamente civico-sociale.

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