La capacità di creare valore non può essere circoscritta ai confini dell'azienda

Tradizionalmente, le discipline di management si occupano di come un’azienda pubblica o privata possa creare valore per diversi soggetti che hanno un interesse specifico nell’azienda, spesso chiamati stakeholder. Gli stakeholder includono gli azionisti, i clienti, la comunità locale, i dipendenti stessi, e vari altri soggetti che possono beneficiare delle capacità e delle scelte dell’azienda ma anche, d’altro canto, esserne danneggiati (se ne scaturiscono, ad esempio, inquinamento ambientale, fragilità sociali, o cattivi risultati finanziari).

Il sistema eco-socio-tecnico come (ri)generatore di risorse

Tuttavia, sta diventando sempre più evidente che la capacità di creare (o distruggere) valore non può essere circoscritta dentro ai confini della singola azienda, ma piuttosto è una proprietà del sistema di cui l’azienda fa parte e a cui l’azienda contribuisce. All’interno di questo sistema, le componenti territoriali e di ecosistema ambientale possono essere molto importanti: ad esempio, la bellezza del paesaggio o i prodotti enogastronomici locali sono caratteristiche chiave del sistema all’interno del quale un’impresa alberghiera può creare valore. Anche le componenti tecnologiche, come le infrastrutture regionali o le piattaforme digitali globali, sono caratteristiche critiche del sistema, come pure l’insieme di aspettative e di dinamiche sociali che derivano dalle norme, dai ruoli, dalle relazioni e dalle convinzioni che regolano il contesto di riferimento. Perciò, possiamo dire che a generare valore non è tanto la singola azienda, quanto il sistema ecologico, sociale e/o tecnico in cui l’azienda è immersa e di cui è parte integrante.
I primi studi in questo campo rivelano che, nei casi di successo, i beneficiari del valore creato all’interno del sistema eco-socio-tecnico hanno spesso un ruolo attivo e insostituibile nel mantenere la capacità del sistema di (ri)generare le risorse di cui beneficiano. Ad esempio, Wikipedia è un sistema socio-tecnico in cui sono gli stessi utenti a fornire un contributo essenziale alla capacità del sistema di generare valore, in termini di risorse di conoscenza. In altre parole, i beneficiari di Wikipedia non sono soltanto degli stakeholder, cioè dei portatori di interesse, di cui Wikipedia deve tenere conto e con cui deve eventualmente negoziare; i beneficiari di Wikipedia sono anche, e soprattutto, dei (possibili) contributori del sistema di attività, che agiscono al di fuori dei confini organizzativi tradizionali, interagendo tra di loro, in una cornice di regole del gioco condivise e abilitate anche tramite la tecnologia.
Il caso di Wikipedia ci insegna che la capacità dei sistemi eco-socio-tecnici di (ri)generare risorse può essere vulnerabile ai comportamenti dei beneficiari di quelle stesse risorse. Se la percentuale di beneficiari di Wikipedia che dedicano tempo ed energie a migliorare l’enciclopedia scendesse sotto una certa soglia critica, il sistema Wikipedia morirebbe per tutti, sia per chi ha contribuito, sia per chi ha solo approfittato dei contributi altrui. Si possono trovare altri innumerevoli esempi di queste dinamiche. Se alcuni pescatori che beneficiano della capacità rigenerativa di un ecosistema marino prelevano pesce oltre una certa soglia critica, l’ecosistema collassa e la possibilità di ricavarne risorse si azzera per tutti. Se in una rete di imprese nessun partner contribuisce a sviluppare nuove idee per timore che gli altri se ne avvantaggino opportunisticamente, la rete perde tutto il suo potenziale di generare innovazione. Se troppi clienti di una società di assicurazioni truffano la società con falsi incidenti d’auto, il premio assicurativo aumenterà per tutti. Se una società che ha ricevuto l’incarico di riscuotere i tributi per un ente pubblico non si fa carico del pericolo che i cittadini che ricevono l’ingiunzione cadano in mano agli usurai, quel sistema di riscossione dei tributi vedrà prima o poi deteriorata la propria capacità di produrre i desiderati ritorni di cassa e di credibilità per l’ente pubblico committente.

La tragedia non è ineluttabile

Queste dinamiche possono tutte essere descritte nei termini della cosiddetta tragedia dei beni comuni, o tragedy of the commons. La tragedy of the commons incombe sempre, quando la capacità di un sistema di (ri)generare risorse richiede che i beneficiari di quelle risorse rinuncino a perseguire ciò che conviene nel breve periodo. Infatti, se un beneficiario pensa che altri beneficiari possano comportarsi in maniera opportunistica, tendenzialmente farà lo stesso. Ad esempio, se un pescatore ha ragione di credere che altri pescatori stiano pescando di frodo, è molto più probabile che violi, a sua volta, i limiti di legge; questo suo comportamento si verrà a sapere e, a sua volta, incoraggerà l’opportunismo di altri pescatori. In altre parole, la tragedy of the commons è la conseguenza di un circolo vizioso innescato principalmente dalla convinzione (più o meno fondata), da parte di alcuni beneficiari, che gli altri beneficiari del sistema si comportino in modo da massimizzare i propri vantaggi sul breve periodo, e che quindi l’unica cosa sensata sia fare lo stesso.
Tuttavia, la realtà dimostra che la tragedy of the commons non è un destino ineluttabile. Dopotutto, Wikipedia funziona, molte reti d’impresa sono una fonte di opportunità concrete di innovazione per i partner, e non tutte le aree di pesca sono al collasso. Cosa ha determinato questi successi? Quali fattori hanno permesso a questi sistemi eco-socio-tecnici di controllare la minaccia della tragedy of the commons, e di sviluppare e proteggere la propria capacità di (ri)generare risorse per i rispettivi beneficiari?
Le discipline di management sono state finora piuttosto silenziose su questo tema. Probabilmente, il fatto che per rispondere a questa domanda sia necessario focalizzarsi sul sistema eco-socio-tecnico, piuttosto che sulla singola azienda, ha dato a molti l’impressione che il tema della (ri)generazione delle risorse comuni sia al di fuori dei confini disciplinari delle scienze di management. Tuttavia, nella maggior parte dei casi in cui le risorse comuni sono state sviluppate e protette con successo, tale successo è dipeso anche da soluzioni di management, quali ad esempio meccanismi di coordinamento, procedure di misurazione e reporting, processi strutturati di decision-making, tecniche di ottimizzazione dei processi, progettazione di organizzazioni a rete, o sistemi integrati per la gestione delle informazioni.
In altre parole, è sempre più chiaro che l’utilizzo di approcci di management efficaci può essere determinante anche a livello di sistema eco-socio-tecnico, e non solo di singola azienda. Per questa ragione, è molto importante che anche le discipline di management scendano in campo per occuparsi di risorse comuni, al fianco delle altre discipline che già se ne occupano da anni, come le scienze giuridiche e le scienze politiche.

La necessità di nuovi strumenti

Per queste ragioni, il Dipartimento di Management dell’Università di Torino ha fondato nel 2018 lo Smart Commons Lab, in seno alla SAA School of management. Lo Smart Commons Lab si pone l’obiettivo di catalizzare la creazione di una nuova generazione di strumenti dinamici per migliorare i processi di policy-making, sperimentazione, partecipazione, formazione, monitoraggio, misurazione, organizzazione, gestione, decision-making e sviluppo economico che ruotano attorno ai commons nel mondo complesso e iper-connesso di oggi.

Lo Smart Commons Lab si concentra sui sistemi eco-socio-tecnici che

  • Possono fornire risorse a beneficio di una comunità anche vasta, aperta, diversificata e dinamica, e
  • richiedono lo sviluppo adattivo di cooperazione e competenze da parte dei beneficiari affinché la capacità del sistema stesso di fornire tali risorse possa essere (ri)generata e protetta.

La cooperazione necessaria da parte dei beneficiari delle risorse create dallo smart commons può consistere in un impegno diretto nello sviluppo delle capacità (ri)generative del commons e/o nell’astensione dallo sfruttamento eccessivo o improprio di tali risorse.
Le competenze richieste per proteggere e rigenerare gli smart commons, d’altro canto, includono sempre più spesso anche l’integrazione di avanzate capacità di connessione, raccolta dati e adattamento “smart”. Infatti, l’innovazione cambia continuamente lo scenario e pertanto è assai improbabile che l’equilibrio ottimale per il sistema eco-socio-tecnico possa essere raggiunto una volta per tutte: in ottica smart commons, l’obiettivo principale del management è la resilienza sostenibile del commons, cioè il mantenimento adattivo e dinamico della capacità del sistema eco-socio-tecnico di (ri)generare risorse per i suoi beneficiari, senza danneggiare in modo inaccettabile altri commons.

Francesca Ricciardi è professore associato di Organizzazione Aziendale presso il dipartimento di Management dell’Università di Torino e Visiting Lecturer in Organizations and Communities presso l’Università di Lund, Svezia. È referente dello Smart Commons Lab presso la SAA Business School (Scuola di Amministrazione Aziendale) di Torino.