Un piano nazionale per coordinare le esperienze di cura condivisa dei beni comuni
Ripubblichiamo, 10 anni dopo, un nostro editoriale del 2008 intitolato La manutenzione civica dei beni comuni, in cui lanciavamo una proposta che all’epoca poteva apparire utopistica, nel senso corrente di proposta irrealizzabile, ma che oggi invece si sta concretizzando con modalità che allora non potevamo nemmeno immaginare.
Nel 2014, sei anni dopo la pubblicazione di quell’editoriale, presentammo insieme con il comune di Bologna l’ormai “mitico” Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni. E il suo successo e la sua diffusione in tutta Italia hanno finito con il realizzare, sia pure in modi diversi da quelli allora prefigurati, l’obiettivo che ci eravamo posti con quell’editoriale.
Grazie al Regolamento e ad un diverso atteggiamento dei cittadini nei confronti dei beni comuni le attività di cura condivisa dei beni comuni si sono ormai moltiplicate e diffuse ovunque, dimostrando con i fatti che quella che 10 anni fa sembrava un’utopia oggi è realtà in molti borghi e quartieri delle nostre città.
Ma se oggi, a Ferragosto del 2018, ripubblichiamo quell’editoriale non è certo per attribuirci improbabili capacità profetiche, perché la verità è che 10 anni fa nessuno avrebbe potuto prevedere l’esplosione nel nostro Paese di un fenomeno sociale come la cura civica dei beni comuni, di cui noi di Labsus siamo al tempo stesso attori e strumento. No, lo ripubblichiamo per dare fiducia, per testimoniare con la nostra esperienza che non è vero che le utopie non possono realizzarsi. Se l’idea apparentemente utopistica rappresenta invece una credibile e praticabile risposta ad un bisogno, quell’idea si realizzerà. Ci vuole determinazione e pazienza, perché le idee camminano sulle gambe delle persone, ma prima o poi si realizzeranno. Basta visitare il nostro sito per averne la prova.
C’è però anche un altro motivo per cui abbiamo pensato di ripubblicare quell’editoriale. Perché la proposta che facevamo allora è ancora valida e attuale. Le centinaia di migliaia di cittadini attivi che in tutta Italia si stanno prendendo cura dei beni comuni sono come i puntini luminosi che si vedono dall’aereo quando si sorvola di notte il territorio. Ognuno di quei puntini fa un po’ di luce, ma se tutti i puntini luminosi fossero collegati fra di loro la luce sarebbe tale da illuminare tutto il Paese.
In altri termini, quel grande piano nazionale per la manutenzione civica dei beni comuni che proponevamo nell’editoriale del 2008 oggi sarebbe ancora più utile. Il fenomeno della cura condivisa dei beni comuni si è sviluppato oltre ogni aspettativa e un coordinamento a livello nazionale sarebbe prezioso per consentire all’amministrazione condivisa dei beni comuni di sviluppare tutte le proprie potenzialità in termini di miglioramento della qualità della vita e della democrazia nel nostro Paese.

La manutenzione civica dei beni comuni

Siamo relativamente “ricchi” quanto a beni privati, ma poverissimi, soprattutto nel confronto con gli altri paesi europei, per quanto riguarda i beni pubblici. Se non si interviene, il divario fra ricchezza privata e povertà  pubblica è destinato ad accrescersi, danneggiandoci tutti.
Alla politica il tema non sembra interessare, ma ai cittadini dovrebbe invece interessare parecchio, perché dallo stato dei beni pubblici dipende il nostro benessere complessivo.
E qualcosa possiamo fare anche noi.

In Italia, dice Luciano Gallino, esiste un divario immenso fra ricchezza privata e povertà  pubblica. “Con 29.2 dollari di reddito pro capite, calcolati a parità  di potere d’acquisto, l’Italia è uno dei paesi più ricchi del mondo. Il suo reddito è quasi uguale a quello di paesi sicuramente benestanti, come la Svezia, la Francia, il Regno Unito e la Germania. Ed è appena duemila dollari sotto il ricco Giappone, tremila sotto la ricchissima Svizzera.
E’ vero che a causa delle forti disuguaglianze nella distribuzione del reddito disponibile un quinto della popolazione italiana se la passa piuttosto male; ma i quattro quinti restanti se la passano piuttosto bene, e il quinto più ricco di questi se la passa magnificamente.

Poveri beni pubblici

Se tutto ciò distingue in meglio l’Italia, in peggio la distingue il povero stato dei beni pubblici. Fare confronti tra noi ed i paesi sopra nominati è persino umiliante. Abbiamo le peggiori autostrade dell’Unione Europea, insieme con servizi ferroviari di serie B. Le metro di Genova, Milano, Napoli, Roma, Torino non arrivano in totale a 13 chilometri di lunghezza, meno di un terzo della metro della sola Parigi. Siamo gli ultimi della Unione europea a Quindici quanto a spese in ricerca e sviluppo, numero di ricercatori, brevetti per milione di abitanti. Metà  dei nostri edifici scolastici sono fatiscenti. L’università  è strozzata dalla mancanza di risorse. Oltre metà  del territorio corre un elevato rischio idraulico. Lo stato dei parchi cittadini è in media penoso. In assenza di una politica del territorio, il paesaggio viene distrutto a ritmi senza paragoni nella Unione europea. In un terzo del paese, chiunque gestisca un’attività  economica deve includere le tangenti alla criminalità  come voce normale del bilancio d’esercizio. Non riusciamo nemmeno a smaltire i rifiuti che produciamo. Quanto ai processi civili o penali, la loro durata è ormai materia da geologi”.

Alla politica i beni pubblici non interessano

In astratto, prosegue sempre Gallino, “lo scarto esistente tra ricchezza privata e povertà  pubblica dovrebbe apparire scandaloso a tutti noi, e impegnare allo spasimo la politica nel tentativo di ridurlo. In pratica non si verifica una cosa né l’altra. Il messaggio che lancia la destra è qui chiarissimo: se il prezzo della difesa dell’ultimo centesimo di ricchezza privata è il degrado crescente dei beni pubblici, noi scegliamo la prima. Inutile nascondersi che almeno metà  degli elettori condivide questa posizione”.
D’altro canto la proposta di “mettere la riduzione del divario tra ricchezza privata e povertà  pubblica al centro della politica del centrosinistra si presta ovviamente a varie obiezioni. Tra le prime che vengono a mente: l’Unione europea ci chiede anzitutto di ridurre il debito pubblico e dei nostri beni pubblici le importa poco; migliorare le condizioni di questi costa, e lo stato non ha più un euro […]; il solo argomento che gli elettori capiscono è meno tasse per tutti, altro che parlare loro di povertà  pubblica da diminuire”.
In realtà  invece, dice Gallino “gli elettori magari non lo sanno, ma l’ottanta per cento di essi hanno un interesse materiale, oggettivo, diretto, alla riduzione della povertà  pubblica. Infatti lo stesso stipendio può valere molto di più, o molto di meno, a seconda che i beni pubblici siano abbondanti o scarsi” (La Repubblica, 8 novembre 2007, p.26).

Un rimedio ci sarebbe

L’analisi di Gallino è spietata, ma assolutamente realistica. E’ vero che, a parità  di reddito e di condizioni di contesto, una famiglia italiana è più povera di una famiglia francese o tedesca, perché la qualità  e quantità  di beni pubblici di cui può disporre la famiglia italiana è incomparabilmente inferiore. Ed è anche vero che non ci sono risorse pubbliche da destinare al miglioramento dei beni comuni.
E allora? Dobbiamo rassegnarci ad accettare come inevitabile la povertà crescente dei nostri beni pubblici e, di conseguenza, di noi tutti? Non c’è dunque rimedio possibile a quella che i sociologi chiamano la “tragedia dei beni comuni”, vittime di un uso predatorio da parte degli (assai spesso) incivili abitanti dell’ex Bel Paese?
Forse un rimedio c’è, ma richiede un’iniziativa dei poteri pubblici, perché difficilmente potrà  realizzarsi senza un impulso ed una regia complessiva da parte dello stato, delle regioni e degli enti locali.

La manutenzione civica dei beni comuni

Si tratta, in sostanza, di mobilitare i cittadini nell’ambito di un piano nazionale per la cura dei beni comuni, che dovrebbe svilupparsi in tre fasi.
Nella prima fase avrebbe un ruolo cruciale l’uso sapiente della comunicazione pubblica per lanciare due messaggi.
Da un lato far comprendere ai nostri concittadini che, come dice Gallino, “l’ottanta per cento di essi hanno un interesse materiale, oggettivo, diretto, alla riduzione della povertà  pubblica” in quanto “lo stesso stipendio può valere molto di più, o molto di meno, a seconda che i beni pubblici siano abbondanti o scarsi”.
Dall’altro informare sul principio costituzionale di sussidiarietà e sulla legittimazione che ne deriva nei confronti delle iniziative dei cittadini volte a prendersi cura dei beni comuni. Si tratta insomma di far sapere ai nostri concittadini che, se vogliono, possono essere cittadini in un modo nuovo, che comporta nuove responsabilità, ma anche nuove ed importanti gratificazioni, sia materiali sia morali.

L’esempio convince più delle parole

Dopo che un certo numero di cittadini avrà  dato la propria disponibilità  si tratterà  di passare alla seconda fase, quella operativa, in cui cittadini, imprese e amministrazioni si prenderanno cura di alcuni fra i beni comuni presenti sul territorio.
In questa fase non è infatti necessario che le iniziative riguardino tutti i beni comuni bisognosi di manutenzione e di cura in quel territorio. Almeno all’inizio è possibile, anzi probabile, che i beni coinvolti siano soltanto una piccola parte di quelli che avrebbero bisogno di interventi, in quanto non saranno molti i cittadini attivi in questa fase. L’importante è che i beni presi in cura abbiano un alto valore simbolico sia in termini di vantaggi immediati per la comunità, sia in termini di visibilità, perché si tratta di convincere il maggior numero possibile di cittadini ad attivarsi. E nulla è più convincente dell’esempio dato da altri cittadini.

Monitoraggio e diffusione delle esperienze migliori

Mentre si realizza questa fase operativa, dovrebbe in parallelo partire la terza fase del piano per la manutenzione civica dei beni comuni. In particolare, questa terza ed ultima fase dovrebbe da un lato monitorare i risultati ottenuti da cittadini, imprese e amministrazioni dal punto di vista della riduzione della povertà  dei beni pubblici e del conseguente miglioramento della qualità  della vita di tutti i soggetti coinvolti. Dall’altro lato, anche in questa ultima fase, come nella prima, si dovrebbe usare capillarmente la comunicazione, in questo caso per informare sui migliori risultati ottenuti al fine di convincere il maggior numero possibile di cittadini ad attivarsi per prendersi cura dei beni comuni.

Un’utopia possibile

Questa, in estrema sintesi, la nostra proposta per cominciare a ridurre il divario denunciato da Gallino fra ricchezza privata e povertà  pubblica, divario che in assenza di interventi è destinato a crescere, non a rimanere stabile né certamente a ridursi.
A molti potrà sembrare una proposta utopistica, nel senso corrente di proposta irrealizzabile. Ma la verità è che oggi in Italia ci sono già  migliaia di persone che, senza nulla sapere della Costituzione né della sussidiarietà, si stanno dando da fare per prendersi cura dei beni comuni presenti sul loro territorio, sia esso un quartiere cittadino o uno dei tanti borghi che costellano il nostro paese.
Dunque l’idea di un grande piano nazionale per la manutenzione civica dei beni comuni non è affatto utopistica, anzi. Si tratta semmai di dare un coordinamento ed un’organizzazione a ciò che già  esiste, moltiplicando le iniziative autonome dei cittadini attivi e inserendole in un progetto complessivo per l’arricchimento dei beni comuni.

Foto in anteprima di Ruggero Arena