Dare forma giuridica alla partecipazione è essenziale per prevenire e comporre le contrapposizioni che possono insorgere tra cittadini e istituzioni

Riceviamo e con piacere diamo notizia dell’ultimo volume pubblicato da Viviana Molaschi, che affronta il tema articolato e complesso delle arene deliberative (Le arene deliberative.  Contributo allo studio delle nuove forme di partecipazione nei processi di decisione pubblica, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018).
L’autrice contribuisce con questo studio al “censimento” delle forme note e meno note di partecipazione dei cittadini privati nel processo di decisione pubblica. Descrive la natura delle diverse arene deliberative, le loro discipline e funzioni, i percorsi, la diffusione e gli ambiti d’applicazione in una prospettiva giuridica e dal punto di vista del diritto amministrativo.

Percorsi di partecipazione pubblica

Come si legge nella quarta di copertina, l’indagine sulle arene deliberative “muove da importanti studi sociologici e di scienza politica in materia di democrazia deliberativa, ove il fenomeno è stato arato, e cerca di inquadrarlo giuridicamente, analizzando, in particolare, il ruolo rivestito dal diritto nei percorsi di istituzionalizzazione di queste nuove forme di partecipazione pubblica”. Alle indagini sociologiche e politologiche, l’autrice affianca quindi una riflessione giuridica, che restituisce sul piano rigoroso del diritto le proporzioni di un fenomeno in espansione, responsabile di un processo di sviluppo e di innovazione della prassi democratica.
Tali esperienze deliberative prevedono che i processi decisionali siano caratterizzati anzitutto “dallo scambio e dal confronto di informazioni e argomenti” tra le parti interessate e siano poi condotti secondo modalità inclusive, in grado di allargare fino al singolo cittadino la partecipazione pubblica. In questo senso, la democrazia deliberativa va oltre la democrazia pluralistica e associativa, cercando di coinvolgere tutti coloro che sono interessati dalla decisione. Resta tuttavia una difficoltà di fondo “circa le differenze tra presupposti teorici e concreta attuazione” nello stabilire i criteri di inclusività riguardo alle arene deliberative.

Luoghi e spazi di partecipazione

La ricerca su questi istituti prende in considerazione un’ampia gamma di esperienze (giurie dei cittadini, cellule di pianificazione, conferenze di consenso, sondaggi deliberativi, assemblee cittadine, bilanci partecipativi) per poi focalizzarsi sulla diffusione di tali pratiche nel campo ambientale, dove il ricorso a questi strumenti di partecipazione è più evidente per il “progressivo consolidamento della democrazia ambientale, cornice nell’ambito della quale la democrazia deliberativa trova terreno fertile di sviluppo”. Molaschi rivolge poi la sua attenzione anche al dibattito pubblico, una particolare “arena deliberativa che oggi ha trovato anche nel nostro Paese una specifica codificazione normativa, di cui viene condotta un’analisi critica” nell’ultima parte del volume. Non mancano infine distinzioni chiare rispetto ad altre forme di democrazia come quella rappresentativa, quella partecipativa e quella diretta.
Lungo il percorso tracciato dal volume, in cui alle definizioni e classificazioni delle arene segue lo studio del loro processo di istituzionalizzazione fino al settore ambientale, l’autrice indaga l’istituto in oggetto da vari punti di vista senza trascurare i diversi contesti e livelli in cui esso si manifesta e opera. Rivolge quindi la sua attenzione allo statuto delle arene deliberative nel quadro del diritto nazionale e in quello sovranazionale. Nel primo contesto viene messo in luce il fondamento costituzionale di tali istituti e la posizione delle arene rispetto all’ordinamento italiano a livello statale, regionale e locale. Sul piano sovranazionale, invece, l’autrice descrive il quadro complesso dei percorsi della democrazia deliberativa a livello globale, internazionale ed europeo.

La sperimentazione amministrativa: orizzonti e limiti

L’attenzione rivolta all’istituzionalizzazione delle esperienze deliberative e del ruolo rivestito dal diritto in questo percorso costituisce il tratto distintivo del presente studio e l’aspetto più originale e ricco di suggestioni per chi voglia ripensare in una luce nuova il rapporto fra ambito pubblico e privato e tra cittadinanza e istituzioni politiche e amministrative. Proprio riguardo a quest’ultimo aspetto, il volume si interroga e “si sofferma su come tali meccanismi partecipativi possano essere integrati nel procedimento amministrativo e su come incidano sul processo decisionale che in esso si struttura”.
Entriamo qui nell’ambito della sperimentazione amministrativa, in cui le arene deliberative svolgono una funzione democratizzante, specie nella funzione di “consentire alla società civile di esprimere il proprio punto di vista nei processi di decisione collettiva” in un clima partecipativo e di confronto costruttivo con le istituzioni e la pubblica amministrazione. Tali istituti, nelle più diverse espressioni e manifestazioni “adattive”, rappresentano certamente una frontiera riguardo alle possibilità di sperimentare nuove forme di partecipazione democratica in un’ottica di cooperazione e inclusione sociale; ma restano, come ricorda l’autrice con le parole di Luigi Bobbio, “esperienze di scelta pubblica, che sono o cercano di essere, nello stesso tempo, deliberative e democratiche”.

Democrazia partecipativa e logica bipolare

Come evidenzia l’autrice, “uno degli aspetti più critici delle arene deliberative, così come della partecipazione in generale, è il valore condizionante rispetto alla decisione, pur sempre rimessa al soggetto pubblico”. Inoltre, resta “la delicata questione del dopo-decisione” poiché il diritto “può regolare l’ex ante di politiche e decisioni amministrative, dando loro legittimazione sostanziale attraverso la partecipazione”, ma “si occupa con difficoltà dell’ex post”, che resta “caratterizzato dal permanere di incertezze sul piano dell’efficacia e dell’attuazione di dette politiche e decisioni”, sempre e comunque di natura autoritativa. Rispetto alla prassi amministrativa, l’esperienza della democrazia deliberativa rimane quindi iscritta entro lo schema del paradigma bipolare, in cui tra i soggetti coinvolti, pubblici e privati, prevale una contrapposizione sancita dalla logica gerarchica, seppur mitigata dalla partecipazione.
Preso atto delle criticità, “il giurista si ferma”, scrive l’autrice congedando il lettore, benché avanzi alcune osservazioni e suggerisca interessanti correttivi riguardo alla disciplina generale che, a livello nazionale, si occupa di democrazia partecipativa e deliberativa. Resta comunque la consapevolezza “che il dare forma giuridica alla partecipazione, […] sia essenziale (anche se non sufficiente) risorsa ai fini della prevenzione e composizione delle contrapposizioni che possono insorgere tra cittadini e istituzioni e del positivo e fattivo realizzarsi tra questi”.

Come “vestire il re”

Tra le citazioni riportate dall’autrice a inizio volume, non possiamo non soffermare la nostra attenzione sulle parole di Paul Ginsborg che suonano come un’esortazione: “Oggi la democrazia liberale è, almeno in parte, un re nudo. Per vestirlo adeguatamente urgono dibattito teorico e innovazione pratica”. Ebbene, le arene deliberative, descritte da Molaschi in questo bel libro, scritto con rigore e con evidente partecipazione, forniscono a questo “nostro” re un buon corredo di vesti. Ed anche se le distanze tra il sovrano e i sudditi che lo aiutano ad abbigliarsi si sono ridotte, resta pur sempre un re geloso delle proprie prerogative. E ciò è evidente soprattutto sul piano dell’amministrazione pubblica.
Ecco che a supporto della democrazia partecipativa/deliberativa si fanno avanti anche altre esperienze, di cui l’autrice dà conto nel suo libro, mostrando differenze e tracciando opportune delimitazioni di campo rispetto alle arene deliberative. Tra queste si citano la concertazione, l’autogestione e cogestione, la sussidiarietà orizzontale e la cittadinanza attiva. Il nostro interesse non può che rivolgersi a queste pratiche e in particolare alla sussidiarietà orizzontale che, sulla base dell’art. 118, ultimo comma della costituzione repubblicana, suggerisce processi di innovazione amministrativa. Come ha osservato Gregorio Arena “la sussidiarietà orizzontale è un principio estremamente ricco di potenzialità sia sul piano teorico sia pratico”, ma affinché possa esprimersi al meglio le occorre il supporto di strumenti applicativi. E ciò si è verificato negli ultimi anni, da quando il Regolamento di Bologna e i patti di collaborazione hanno saputo “tradurre le potenzialità del principio in effetti pratici sul quotidiano funzionamento delle nostre amministrazioni, in particolare di quelle locali”.

Processi partecipativi e amministrazione condivisa

Come precisa Molaschi, la “partecipazione ai processi decisionali, nelle formule di deliberation” descritte nel volume, rimane “estranea al campo di applicazione della sussidiarietà orizzontale, da intendersi ora come principio o criterio procedurale ai fini della distribuzione di compiti e attività tra soggetti pubblici e privati”. La sussidiarietà è infatti un “criterio propulsivo” che promuove “il ruolo dei privati nello svolgimento di attività di interesse generale” in collaborazione con le amministrazioni, creando “sinergie e interazioni pubblico-privato”. Un criterio procedurale che grazie alla prassi dell’amministrazione condivisa ha superato il paradigma bipolare, avviando modalità cooperative tra pubblica amministrazione e cittadini su un piano di parità.
Generalmente, si pensa che nell’ambito di applicazione del principio di sussidiarietà siano i pubblici poteri “a configurarsi come subsidia” dei soggetti privati (associazioni, cittadini ecc.), quando questi manchino di autonomia; mentre nel caso della democrazia partecipativa “sono i cittadini ad operare come subsidia dei soggetti pubblici, dando maggiore legittimazione alle scelte da questi ultimi assunte”. Ciò però è vero solo in parte, osserva Molaschi, poiché nella logica della collaborazione pubblico-privato, incentivata dalla sussidiarietà, “possono dirsi sussidiati i soggetti pubblici, la cui attività è integrata da quella dei privati”. Grazie al Regolamento e ai patti di collaborazione, infatti, sono i cittadini che si attivano in accordo con l’amministrazione per la cura dei beni comuni.

Tra il dire e il fare

La principale differenza tra la democrazia partecipativa, e in particolare quella deliberativa, e la sussidiarietà orizzontale sta proprio nelle modalità espressive. La prima “comporta un dire anziché un fare, ossia un coinvolgimento nella discussione e non già di tipo operativo”. La seconda favorisce iniziative per lo svolgimento di attività concrete di interesse generale. Si tratta, come osserva l’autrice, “di un elemento di distinzione significativo, soprattutto se si pensa che a connotare la democrazia deliberativa è proprio il carattere discorsivo”, mentre nella sussidiarietà orizzontale prevale l’idea di una libertà attiva che incentiva la mobilitazione operativa. Partecipazione e sussidiarietà orizzontale sono dunque due “fenomenologie distinte, fra loro complementari e non alternative ma neppure coincidenti”, che insieme possono contribuire sul piano della riflessione teorica e dell’innovazione pratica a rafforzare la “nostra” democrazia liberale.