Cultura di genere e non discriminazione: un patto al femminile

La città attiva di Ravenna colpisce ancora, e stavolta mira dritto al “cuore delle donne”.
Dopo l’approvazione del Regolamento per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani, il Comune ravennate arricchisce il suo corredo di esperienze di amministrazione condivisa con un nuovo patto di collaborazione, stipulato con l’associazione Liberedonne e volto alla gestione condivisa delle attività promosse nell’ambito della Casa delle donne di Ravenna.
Al patto stavolta si affida la promozione di un valore sociale declinato al femminile e che si traduce in una finalità di esaltazione dell’attenzione alle donne.
I soggetti protagonisti del progetto di collaborazione sono cittadini associati, da un lato, e l’amministrazione comunale, dall’altro. Il patto tra loro stipulato diviene il punto d’incontro per avviare una comune linea d’azione: la promozione della cultura della non-violenza, dell’accoglienza e della partecipazione paritetica delle donne alla vita pubblica.

Una biblioteca per una cultura di genere

Sono diverse le azioni d’intervento collaborativo previste dal patto. Una tra queste riguarda la gestione condivisa della biblioteca “Malala Yousafzai”, un patrimonio in continuo arricchimento di narrativa e saggistica, di manifesti e fotografie, di riviste storiche del femminismo che, attraverso l’azione volontaria delle socie dell’associazione e la collaborazione dell’amministrazione, diventano una risorsa aperta alla fruizione e al prestito per diverse ore settimanali; una fonte preziosa di consultazione e scambio per insegnanti, studenti e studentesse e per la comunità accademica; uno spazio fisico di riferimento culturale per tutta la collettività impegnata nella sensibilizzazione e nell’educazione alla parità di genere.

Le cento sfumature del patto

Attraverso lo strumento del patto di collaborazione, le risorse materiali che arredano la biblioteca diventano quindi un bene comune, perché gestite in uno spirito di condivisione, di partecipazione e di diffusione da parte e a favore della comunità.
Eppure la natura dei beni comuni coinvolti nel patto di Ravenna sembra assumere sfumature ancora più sottili, che sconfinano nel carattere dell’immaterialità.
Nelle insenature di un ‘archivio di carta’ dedicato alle donne scorre e si innesta un movimento culturale volto a promuovere valori-specchio di una comunità attiva, che riconosce ai principi di non-discriminazione di genere, di autodeterminazione, di libertà, di emancipazione delle donne il significato di beni comuni meritevoli di una cura partecipata e concreta.
La biblioteca, da bene comune immobile si eleva così a laboratorio comune di pensiero, dedito alla trasmissione, alla valorizzazione e all’affermazione del patrimonio culturale femminile.

La parabola dell’amministrazione condivisa…

Oltre alla gestione condivisa di raccolte bibliografiche e archivistiche, il patto di Ravenna diviene anche la sede prescelta per co-progettare, promuovere e realizzare in forma collaborativa attività ed eventi in onore della memoria storica femminile e dell’affermazione dei diritti fondamentali della donna.
Nel contenuto del patto sembra così scorgersi la parabola perfetta del modello emergente di amministrazione condivisa. Nel caso di Ravenna, la collettività riunita in forma attiva e associata ha trovato piena identificazione con il bene comune della parità di genere e dell’eguale dignità fra i sessi. Decide di prendersene cura e di mettere in campo energie e attività che favoriscano la creazione di strumenti di accoglienza, di aggregazione e di attenzione rivolti alle donne; che aiutino a prevenire e abbattere pregiudizi e stereotipi sessisti, e che contribuiscano a contrastare l’uso della violenza e delle discriminazioni. Il bene comune così individuato incontra il favor dell’amministrazione, che concorre alla sua cura e rigenerazione. Il patto di collaborazione sugella le responsabilità delle parti e sposta su un piano più ampio il significato dei valori sociali che sono in gioco. La promessa comune è quella di elevare il movimento culturale di genere ad una lotta universale contro le discriminazioni di ogni forma e tipo, di fare della diversità un valore assoluto da mantenere, e di promuovere l’inclusione sociale come un bene comune possibile e duraturo.

Monitoriamo il patto: la voce del “funzionario-attivo”

A due anni dalla sottoscrizione del patto ci siamo rivolti alla referente del Comune di Ravenna, Barbara Domenichini, che, dal suo duplice ruolo di funzionaria comunale e di cittadina attiva nell’associazionismo femminile, ha soddisfatto alcune nostre curiosità sullo stato di avanzamento e di attuazione del patto di Ravenna.

Tra le azioni previste nel patto di collaborazione, ci ha colpito in modo particolare l’idea di una gestione condivisa della biblioteca della Casa della Donne. Com’è nata questa proposta?

La biblioteca nasce come archivio storico dell’UDI (Unione Donne In Italia) di Ravenna ancor prima della fondazione della Casa delle Donne e, quindi, della stipula del patto di collaborazione. La sua ricchezza e la sua continua espansione hanno però, via via, reso difficile la gestione da parte delle sole volontarie dell’associazione che, quindi, ad un certo punto, hanno pensato di mettere in comune le proprie forze con quelle di altre realtà femminili e femministe, nel frattempo emerse nel tessuto sociale ravennate. Insieme, quindi, è stato individuato un progetto di gestione condivisa della biblioteca, poi presentato all’amministrazione comunale, che da subito è risultata sensibile e interessata alla proposta.
L’aggregazione delle risorse ha consentito in primis di migliorare la qualità dei servizi bibliotecari, arrivando fino ad un’apertura di 19 ore settimanali, grazie all’azione dalle volontarie delle ormai plurime associazioni coinvolte. La nuova sede è un luogo pubblico, da tempo non utilizzato, che quindi è stato riqualificato, e la biblioteca è ormai largamente conosciuta sul territorio grazie anche all’attività di informazione e comunicazione che l’amministrazione si impegna a realizzare.

A due anni dall’inizio dell’esperienza, quanto ha inciso la stipula del patto di collaborazione sulle attività della biblioteca?

La grande sorpresa è stata una crescita sensibile dell’utenza che, oltre ad essere aumentata, si è anche diversificata. Sono moltissimi gli studenti universitari che frequentano la biblioteca per svolgere ricerche, approfondimenti, tesi di laurea sui temi di sensibilità della Casa delle Donne; ma un dialogo fruttuoso è stato instaurato anche con insegnanti di scuole superiori e docenti universitari, con i quali sono stati organizzati convegni e seminari aperti a tutta la comunità in un’ottica di sensibilizzazione e di educazione alla cultura di genere. Un’altra categoria di utenti affezionate sono poi le donne pensionate e neo-pensionate; donne, quindi, che si ritrovano improvvisamente con del tempo “liberato” e che decidono di impiegare dedicandosi alla lettura e alla cura socio-culturale di se stesse. La gestione condivisa della biblioteca attraverso il patto di collaborazione ha permesso, in sostanza, di fare della biblioteca un luogo più accogliente, in cui si stabiliscono legami, confronti, e in cui si esprimono e si accolgono bisogni e desideri che altrimenti rimarrebbero inesplorati e difficili da conoscere per l’amministrazione e gli attori istituzionali.

Oltre alla gestione della biblioteca, il patto ha previsto anche altre forme di attività. Quali sono state le iniziative culturali più rilevanti che ad oggi avete realizzato e quale il loro impatto sull’impegno dell’amministrazione comunale nella lotta alle discriminazioni di genere?

Il Comune di Ravenna, in particolare l’Assessorato alle Politiche e Culture di genere, promuove ogni anno una rassegna di attività, lungo tutto il mese di novembre, intitolata “Una società per relazioni”.
Nel 2018 la Casa delle Donne ha contribuito all’iniziativa realizzando una mostra fotografica collegata all’indagine sul tema dello sfruttamento delle lavoratrici nella raccolta dei frutti rossi, svolta dalla giornalista e fotografa Stefania Prandi. La mostra, piuttosto che presso la sede della Casa delle Donne, è stata allestita presso la Coop, il supermercato più grande della città di Ravenna. In questo modo è stato possibile realizzare un’opera di sensibilizzazione verso l’esterno, agganciare un partner commerciale – solitamente fuori dalle tipiche alleanze della Casa – e, al contempo, far conoscere questa realtà politica a persone assolutamente non politicizzate (i clienti comuni del supermercato). L’evento è stato un’occasione sui generis per promuovere, allo stesso tempo, la cultura dell’acquisto socialmente sostenibile e, insieme, la cultura della non violenza e della lotta allo sfruttamento di genere. La partecipazione e l’interesse dei cittadini sono stati elevati e il sostegno dell’amministrazione si è rivelato fondamentale.

Foto di Stefania Prandi

Il Comune di Ravenna ha adottato il Regolamento per l’amministrazione condivisa già nel 2015. A tre anni dalla sua approvazione quanto è cambiato il rapporto tra amministrazione e cittadini attraverso lo strumento dei patti? Quanto è cambiato, se è cambiato, il suo lavoro da quando ha iniziato ad occuparsi di amministrazione condivisa? Quali le criticità riscontrate? E quali invece, secondo lei, i possibili sviluppi?

In questi anni ho notato molta sensibilità e serietà dei cittadini e un loro grande desiderio di mettersi a disposizione. Sono state scoperte delle energie prima nascoste, tanto da riuscire a realizzare tredici patti nel giro di poco tempo. Senza nemmeno la necessità di una grande promozione, all’amministrazione sono sopraggiunte tantissime richieste progettuali, tutte mature e già strutturate, pur provenendo molto spesso da gruppi singoli e informali che, solitamente, rispetto alle associazioni, hanno meno canali e meno strumenti per essere sostenuti.
Spesso, però, la spontaneità di queste iniziative e la loro tendenza ad aumentare si scontra con un eccesso di burocratizzazione dell’amministrazione che, a causa delle sue procedure ancora troppo rigide, va ad interferire con la flessibilità che è invece insita nel modello di amministrazione condivisa.
In questi anni, il mio lavoro da funzionaria è molto cambiato e anche grazie all’esperienza della SIBEC, che ho frequentato personalmente, sono arrivata a saper guardare da una prospettiva più ampia tutta la complessità del fenomeno e le sue incontrollabili ricadute.
Per questo, credo che una possibile soluzione alle criticità che spesso si riscontrano è certamente un’amministrazione più formata all’evoluzione culturale dell’amministrazione condivisa ma, allo stesso tempo, il confronto inter-territoriale e la condivisione delle best practice tra città, amministrazioni, comuni affini costituiscono una risorsa imprescindibile per sostenere questa rivoluzione culturale.
Ad oggi, comunque, grazie ai patti di collaborazione realizzati e in progetto, Ravenna si presenta come una città più sveglia, più attiva, che ha senza dubbio liberato nuove energie.

Foto in anteprima di Stefania Prandi