Probabilmente è questa la valutazione compiuta da Warren Buffett, ricco e famoso uomo d’affari americano del Nebraska, nel donare alla Bill & Melinda Gates Foundation la più grossa somma di denaro mai destinata a fini filantropici. Non è un caso che il signor Buffett si sia liberato di una parte consistente del suo patrimonio per affidarla, con una calibrata distribuzione annuale (1,5 miliardi di dollari), alla fondazione Gates anziché a una fondazione che porti li suo nome o al governo federale.
Buffett, un social venture capitalist
«L’elemento determinante per la mia donazione è stato quello dell’efficienza della fondazione Gates». Buffett dice di aver applicato nella donazione la stessa strategia che ha applicato per realizzare la sua immensa fortuna: scovare ottime organizzazioni con managers di talento e sostenerli. Buffett è convinto che i Gates sono in grado di gestire questa impresa filantropica meglio di quanto possa fare lui direttamente.
Così come siede nel consiglio di amministrazione delle società in cui investe, Buffett si limiterà a diventare un trustee della Bill & Melinda Gates Foundation. Buffett crede nei Gates e ha deciso di sostenerli. Nonostante le smentite, tutti credono che Buffett abbia posto come condizione per la sua donazione che Gates i suoi incarichi operativi alla Microsoft.
Ulteriore condizione è che i fondi di Buffet verranno convogliati verso la Gates Foundation soltanto fintantochè almeno uno dei due coniugi Gates gestirà attivamente la fondazione. Questo perché è dimostrato che il livello di efficienza di una organizzazione diminuisce con la scomparsa dei fondatori originari.
Una multinazionale della beneficenza
La Gates Foundation potrà contare a questo punto su un patrimonio di circa 6 miliardi di dollari. Questo la rende al momento la più grande organizzazione benefica del mondo. Ma gli obiettivi della Gates Foundation sono peraltro più altruistici di quelli di altre organizzazioni benefiche comparabili per dimensioni. Basti pensare che la seconda organizzazione benefica è finanziata da Ikea e ha come obiettivo la tutela e promozione dell’architettura e del design. La Gates Foundation si distingue perché ha tra i propri obiettivi lo sradicamento delle malattie e della povertà nei Paesi in via di sviluppo.
Gates è rimasto impressionato dalla generosità di Buffett e spera che arrivino donazioni simili da altri miliardari. La Gates Foundation ha già invogliato un numero crescente di persone facoltose a donare consistenti somme di denaro, tra cui la generazione dei “technology tycoons” venuti dopo Gates, come i fondatori di eBay e Google. Forse per la filantropia è l’alba di una seconda età dell’oro che supererà quella dei Carnegie e dei Rockefeller. In ogni caso questa nuova generazione di filantropi non può più limitarsi a donare i propri averi, ma deve farlo con una visione più imprenditoriale rispetto al passato.
Cos’è il “filantrocapitalismo"?
Gates e Buffett sanno bene che molti miliardi di dollari sono stati sperperati negli anni dai filantropi. Per questo motivo essi vogliono che il denaro donato sia gestito in maniera imprenditoriale e che questo tipo di gestione produca dei risultati tangibili. La loro fondazione ha avuto una partenza impressionante, richiamando l’attenzione di tutti sui problemi che l’AIDS e la povertà stanno creando nei PVS. Essa ha devoluto miliardi di dollari e mobilizzato tanti altri miliardi attingendo ad altre risorse e sta contribuendo a disegnare nuove politiche pubbliche. Grazie a Gates, essa si è affermata come una delle organizzazioni leader nella pratica del “filantrocapitalismo”, un nuovo approccio alla filantropia che si fonda sulle moderne dinamiche economiche e su uno spirito imprenditoriale per capitalizzare meglio i propri investimenti.
Alla base del successo di questo nuovo approccio, vi è anche la accurata selezione del management. Gates ha arruolato un staff di prim’ordine. L’acquisto più recente è Tachi Yamada, uno scienziato che fino al febbraio scorso era a capo del settore ricerca della GlaxoSmithKline, uno dei gruppi farmaceutici più importanti del mondo. Yamada, in qualità di capo dei programmi sanitari mondiali e del finanziamento della ricerca, gestirà un budget di 5,7 miliardi di dollari all’anno (contro i 4 miliardi del bilancio gestito per la Glaxo) da spendere nell’assistenza sanitaria gratuita e nella ricerca pura non finalizzata alla creazione di un prodotto da destinare al mercato per guadagnare un profitto.
Tra Stato e mercato
Il reclutamento di Yamada nelle fila della Gates Foundation ha sorpreso sia il settore privato, che a questo punto dovrà confrontarsi con un concorrente agguerrito, sia il settore pubblico, che sa non di poter combattere ad armi pari.
Qui sta la svolta epocale. L’ingresso di un terzo attore sulla scena. Il duopolio Stato-mercato viene rotto. Fra Stato e mercato si fa largo una “terza via” per far fronte ai bisogni della collettività. Il filantrocapitalismo per l’appunto. Gates e Buffett hanno brillantemente spiegato che Stato e mercato competono fra loro partendo da estremi opposti. Ma hanno lo stesso limite. Non possono avventurarsi in attività rischiose che comportano un’elevata probabilità di fallimento. Infatti, la politica deve rispondere agli elettori. L’imprenditore agli azionisti e al mercato. Il filantrocapitalista risponde a se stesso.
Una concentrazione benefica
Ma anche nella filantropia la dimensione conta. Il non profit è ormai un vero e proprio settore economico, con centinaia di miliardi di dollari d’affari e centinaia di migliaia di occupati. Per questo motivo anche la nascita del sodalizio Gates-Buffett assume i connotati di una vera e propria fusione. Qualcuno suggerisce persino di sottoporre l’intera operazione all’esame dell’Antitrust. Nasce infatti un agglomerato economico e imprenditoriale con una capacità di spesa di circa 3 miliardi di dollari all’anno. Nel settore delle fondazioni private la Gates Foundation assumerà senz’altro una posizione dominante. Senza voler considerare il confronto con le organizzazioni pubbliche internazionali. L’UNESCO ha un budget di “soli” 6 milioni di dollari all’anno.
Alcuni esperti di filantropia ritengono che la dimensione della Gates Foundation a questo punto potrebbe anche comportare dei rischi. In particolare, la fondazione dovrà superare due test importanti: come operare su una scala molto più grande e come affrontare la sottile complessità dei problemi che sta tentando di risolvere.
Secondo Buffett, la Gates Foundation possiede la giusta dimensione. E Gates è convinto che la dimensione industriale raggiunta dopo l’iniezione di capitali provenineti da Buffett consentirà alla sua fondazione di raggiungere risultati ancor migliori. Gates ha infatti dichiarato che “Considerata la dimensione dei problemi che noi ci proponiamo di affrontare, nel futuro potremo raddoppiare l’impatto delle nostre attività”. Nondimeno, egli nota che, sebbene la donazione di Buffett abbia raddoppiato le entrate annuali della fondazione, portandole a tre miliardi, la Gates Foundation sarà in grado di destinare solo 1 dollaro a testa ai tre miliardi di persone che appartengono alla metà povera della popolazione mondiale.
La sfida della crescita
In ogni caso, per qualsiasi organizzazione raddoppiare la taglia delle proprie attività non è mai semplice. Uno dei problemi che sta fronteggiando la fondazione è come utilizzare il 5% delle sue risorse che è giuridicamente obbligata a destinare ogni anno ad attività benefiche per mantenere i requisiti che danno accesso a uno speciale trattamento tributario. Sicuramente anche questi problemi verranno affrontati e risolti con l’approccio imprenditoriale.
Siamo dunque all’alba di un nuovo modello di aggregazione di ricchezze private per fini diversi dall’ottenimento di un profitto. Non solo ma la filantropia diviene anche una valida alternativa alle politiche pubbliche. Il filantrocapitalismo finirà per imporre modelli di efficienza anche alle grandi organizzazioni internazionali. La Gates Foundation si propone già come modello da emulare. Bill Gates ha raccontato che la sua fondazione si è impegnata nella distribuzione di vaccini contro la tubercolosi nelle regioni più povere dell’Africa. Distribuire il vaccino non basta date le condizioni di povertà assoluta in cui versa la popolazione stanziata in queste aree. Se le persone non mangiano, non riescono a sopportare la debolezza che porta il vaccino. Per la Gates Foundation, l’operazione di distribuzione dei vaccini rischia di essere vanificata se la non si accompagna con un programma di microprestiti. Con i microprestiti si ottimizza l’investimento nei vaccini perché i più poveri possono avviare coltivazioni e sostenersi fisicamente abbastanza per poter assorbire con successo le dosi del vaccino.
Generazione di venture philanthropists
Altra novità imprenditoriale introdotta dalla Gates Foundation è rappresentata dalla cd. “condizionalità”, soluzione fondata su meccanismi di incentivo-disincentivo tipica del venture capital, anch’essa applicata nella distribuzione dei vaccini fra i Paesi in via di sviluppo. I programmi nazionali di distribuzione hanno durata quinquennale, ma al secondo e terzo anno intervengono controlli sull’efficienza della distribuzione da parte di analisti indipendenti. Se il programma è indietro nella tabella di marcia concordata, i fondi vengono decurtati. Se la tempistica è rispettata, i fondi vengono confermati. Se, invece, il programma è in anticipo, viene assegnato un premio di 2 dollari vaccinato che consentirà a quel Paese di ricevere più fondi.
La gestione attenta e oculata dei fondi destinati alla filantropia è in grado di evitare sprechi e massimizzare i risultati in termine di benessere collettivo.
La Gates Foundation rappresenta un buon esempio. Proprio come i “venture capitalists” hanno finanziato lo sviluppo avanzato dell’industria americana, Gates e Buffett si presentano ora come “venture philanthropists”. Finanziano iniziative filantropiche, le valutano ed eliminano le iniziative fallimentari. Ma si tratta di un lavoro molto impegnativo. Ecco perché Gates ha deciso di dedicare tutte le sue energie a questa nuova avventura. Il filantrocapitalismo.