Essere bravi cristiani significa essere anche bravi cittadini nel villaggio globale. È questo in sintesi uno dei messaggi presenti nella traccia di riflessione elaborata dalla Conferenza Episcopale Italiana in vista del Convegno ecclesiale di Verona. Nel documento preparatorio si legge tra l’altro che i problemi contemporanei della cittadinanza richiedono da parte dei cattolici "un’attenzione nuova sia al ruolo della società civile, pensata diversamente in rapporto allo Stato e ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, sia ai grandi problemi della cittadinanza mondiale, tra cui emergono i problemi della fame e delle povertà, della giustizia economica internazionale, dell’emigrazione, della pace, dell’ambiente".
"Cittadini attivi"
A questo riguardo, sarebbe opportuno imbastire una riflessione sulla dimensione motivazionale della cooperazione allo sviluppo, partendo proprio dalla realtà nostrana, quella italiana, alla luce di un illuminante contributo offerto dal professor Gregorio Arena. Docente di diritto amministrativo presso l’Università di Trento e presidente nazionale di Cittadinanzattiva, Arena ha pubblicato recentemente per le Edizioni Laterza una sorta di catechismo laico della Società Civile dal titolo più che emblematico: "Cittadini attivi". L’intento dell’autore è quello di rispondere alle istanze di quelle persone che vorrebbero fare qualcosa per il proprio Paese ma non sanno da dove cominciare. E propone loro un modo di essere cittadini finora irrealizzabile, perché l’idea che un semplice cittadino potesse avere la voglia e le capacità di prendersi cura dei beni comuni insieme con l’amministrazione era considerata del tutto assurda e fuori luogo. Oggi invece questo indirizzo decisamente innovativo sta scritto nella Costituzione italiana, nell’ultimo comma dell’art. 118 e si chiama giustappunto sussidiarietà. La certezza, spiega il professor Arena nel suo saggio è che le persone sono portatrici non solo di bisogni, ma anche di capacità le quali, se messe a disposizione della comunità, possono contribuire decisamente a rispondere, insieme con le amministrazioni pubbliche, alle istanze collettive.
La "res publica" dei popoli
Detto questo è chiaro che, parlando del contesto internazionale, la dimensione della sussidiarietà, soprattutto per coloro che si sentono cittadini del mondo acquista un significato tutto particolare, nella consapevolezza che l’umanità ha davvero un destino comune e che tutti, davvero tutti, debbono sentirsi responsabili della res publica dei popoli. Da segnalare a questo proposito l’intelligente campagna "Tutto il mondo è Paese", promossa dalla Focsiv , con l’obiettivo di affrontare insieme ad educatori e ragazzi, i temi della global governance e della cittadinanza attiva, per incoraggiare tra le giovani generazioni l’impegno concreto di ogni singolo cittadino e delle organizzazioni della società civile nella costruzione di un mondo più giusto e solidale.
Si tratta pertanto di prendere coscienza dell’importanza dell’azione dei singoli come "inesauribile risorsa" che può incidere fattivamente sul corso degli eventi e sul miglioramento del nuovo ordine globale. La società civile, che cresce e si organizza, acquista un ruolo sempre più di spicco e diventa un’autorevole interlocutrice che siede al fianco delle istituzioni internazionali per proporre il dialogo come unica via giusta da percorrere. Tornando però al ragionamento sulle ragioni della cooperazione allo sviluppo la sfida consiste nel coniugare la sussidiarietà con la solidarietà nei confronti dei paesi in via di sviluppo.
Pagare "in solidum"
È interessante ricordare che l’etimologia della parola solidarietà esprime una forte concretezza che forse a volte viene diluita dal nostro linguaggio, ahimè troppe volte superficiale e genericista. Pagare in solidum , alla fine del IV secolo, indicava l’obbligazione da parte di un individuo, appartenente a un gruppo di debitori, di pagare integralmente il debito. Ed è proprio per questo motivo che è dalla parola latina solidum che deriva anche il nostro soldo. Al tempo dei Romani si trattava di una moneta, originariamente d’oro, il cui valore sarebbe dovuto rimanere stabile nel tempo. Ma fu solo a partire dal 1789, in Francia, che la solidarietà (solidarité) ha assunto la valenza odierna in quanto sentimento di fratellanza che devono provare tra di loro i cittadini di una stessa nazione libera e democratica.
Oggi, il valore della solidarietà nel villaggio globale si è ampliato al punto tale da includere l’intera umanità, senza distinzioni di razze, di culture o di fedi politiche o religiose. Per questo assistiamo e partecipiamo a vere e proprie gare di solidarietà a favore di coloro che vengono colpiti da sventure o altre calamità. La solidarietà così intesa, esprime in concreto il sentimento di fraternità universale in cui si traducono varie forme di carità cristiana. Non v’è dubbio però che la solidarietà sia stata spesso fraintesa da molti e soprattutto strumentalizzata da altri.
Se da una parte, infatti, l’azione umanitaria è troppo spesso motivata dai sentimenti paternalistici del ricco Epulone che guardava il povero Lazzaro dall’alto verso il basso, dall’altra la solidarietà serve ad alcuni come scudo per celare interessi di parte. Parlare ad esempio del rilancio della cooperazione internazionale lasciando nel cassetto questioni rilevanti come quella del rispetto dei diritti umani è a dir poco fuorviante e demagogico. Un’autentica cultura della solidarietà non può prescindere dalla conoscenza di quelle realtà problematiche che determinano la frattura tra il Nord e il Sud del mondo. Riflettendo sull’esperienza di vita di tanti missionari e volontari che operano in Africa, in Asia, in America Latina e in Oceania, si comprende sempre di più l’esigenza di coniugare l’azione solidaristica con la sussidiarietà rispetto ai valori del Regno contenuti nell’insegnamento evangelico. "Lo sviluppo integrale dell’uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell’umanità" scriveva saggiamente Paolo VI nell’enciclicaPopulorum Progressio del 26 marzo 1967. Che richiamava il dovere di solidarietà, cioè l’aiuto che le nazioni ricche devono prestare ai Paesi in via di sviluppo; il dovere di giustizia sociale, cioè il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni commerciali; dovere di carità universale, cioè la promozione di un mondo dove il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri.
A quasi quaranta anni dalla pubblicazione di questo documento, purtroppo dobbiamo prendere atto che siamo ancora in alto mare.
Giulio Albanese, giornalista, missionario comboniano, ha diretto il New people media di Nairobi e fondato la Missionary service news agency (Misna) che ha diretto fino al 24. E’ stato corrispondente dall’Africa di Radio Vaticana ed ha collaborato con varie testate giornalistiche fra cuiGiornale Radio Rai, Avvenire e Vita. E’ autore di alcuni libri fra cui Soldatini di piombo (Feltrinelli, 25), Il mondo capovolto (Einaudi, 23), e Ibrahim, amico mio (Emi, 1997).