Ma il memorandum non basta

La valutazione? Funziona se la fanno i cittadini

Nelle scorse settimane due importanti novità  hanno contribuito a riaprire il dibattito sulla riforma della pubblica amministrazione. Fornendo soluzioni differenziate al problema, ormai ineludibile in Italia, del rapporto tra cittadini e istituzioni.

Il memorandum d’intesa

Da una parte, il memorandum d’intesa su lavoro pubblico e riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche siglato dai ministri Luigi Nicolais e Tommaso Padoa Schioppa con Cgil, Cisl e Uil. Dall’altra, la proposta di legge sulla valutazione del pubblico impiego formulata dai giuristi Pietro Ichino e Bernardo Mattarella e depositata alle Camere dal deputato Lanfranco Turci e dal senatore Antonio Polito.

Apparentemente i due documenti sembrano andare nella medesima direzione: migliorare la qualità  dei servizi amministrativi e l’efficienza degli uffici pubblici valutando il rendimento di chi vi lavora come dirigente, funzionario o impiegato. Una direzione che si riconosce ormai come obbligata in un paese in cui l’amministrazione pubblica è comunemente percepita come un fattore di debolezza del sistema produttivo e la sua inefficienza come un costo per i cittadini e le imprese. Né si tratta solo di un’impressione.

Crisi tra istituzioni e cittadini

Numerosi studi internazionali confermano, infatti, l’arretratezza del settore pubblico italiano. Allo stesso modo, le segnalazioni raccolte dalle organizzazioni dei consumatori – basti pensare ai dati che ogni anno emergono dal Rapporto Pit Servizi e dal Rapporto Pit Salute realizzato da Cittadinanzattiva – illustrano una situazione di grave crisi nella relazione tra istituzioni e cittadini.

Bisogna riconoscere che molti punti accomunano le due iniziative (e in altra sede meriterebbero di essere analizzati). Proprio questa convergenza deve essere segnalata e apprezzata come espressione di uno sforzo che tutto il paese è chiamato a compiere per liberarsi di pesi ormai insopportabili, rimettendo al centro i diritti dei cittadini utenti e sviluppando quelle risorse necessarie per competere sul piano internazionale.

Tuttavia, se si utilizza il filtro interpretativo della sussidiarietà , emergono anche differenze profonde tra le due iniziative rispetto alla filosofia che le ispira, all’approccio che viene utilizzato e alle possibili conseguenze pratiche. Differenze che, se portate alle estreme conseguenze, pongono tutti gli operatori del settore di fronte ad un bivio.

Nel memorandum si legge, per esempio, che per realizzare gli obiettivi generali dell’intesa ” si è concordato che le iniziative di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche vengano attuate attraverso indirizzi e criteri generali concordati in connessione con il rinnovo dei contratti ” . Oppure che ” il riassetto deve prevedere l’autonomia del dirigente nell’individuare la migliore organizzazione della propria struttura ” e nella ” utilizzazione del proprio budget ” ma sempre ” nell’ambito del sistema delle relazioni sindacali previsto dai contratti collettivi nazionali ” .

E ancora ” l’affidamento degli incarichi di funzione dirigenziale avverrà  attraverso procedure negoziali improntate a criteri di trasparenza e di pubblicità  ” . Sul piano della valutazione, poi, la misurazione dei servizi, i parametri di capacità  manageriale, i risultati conseguiti vanno valutati ” secondo modalità  previste dal Ccnl ” .

Gli esempi potrebbero continuare, ma quelli segnalati sono già  sufficienti per provocare una serie di domande. Tra le quali: che autonomia è quella del dirigente che deve sottostare ad una contrattazione collettiva che definisce tutto in modo rigido? Come può essere valutato chi non ha reale autonomia? E, sul piano dell’impiego, come si fa a valutare i dipendenti pubblici sulla base di criteri e parametri definiti dalle proprie organizzazioni di rappresentanza? Ammesso che, risolti questi problemi, una valutazione seria si riesca a fare, quali conseguenze comporta in concreto, al di là  delle affermazioni generiche sulla necessità  che l’amministrazione funzioni davvero e sia orientata al cittadino, se premi e sanzioni sono nuovamente rimandati alla negoziazione sindacale? Infine, in questo intreccio perverso tra burocrazie e parti sociali, che spazio resta davvero ai diritti dei cittadini utenti?

Queste e altre domande non investono tanto il ministro della Funzione pubblica che, con una recente direttiva, si è sforzato di offrire qualche apprezzabile soluzione ai problemi di cui si parla. Né vogliono mettere minimamente in discussione i sacrosanti diritti dei lavoratori e la dignità  professionale dei tanti meritevoli che operano nella funzione pubblica.

La perplessità  riguarda quel metodo pervasivo della ‘cogestione’ che rende impossibile la distinzione dei ruoli di istituzioni e sindacati e delle conseguenti responsabilità . In altre parole, ‘mettere il naso’ in tutto il processo, dal management alla valutazione, non aiuta per nulla, come insegna l’esperienza, a scuotere l’eterno immobilismo amministrativo italiano.

Authority e pubblico impiego

Viceversa, l’iniziativa di legge che propone l’istituzione di un’Authority per la valutazione del pubblico impiego, pur criticabile e migliorabile come tutte le proposte manca, per esempio, la previsione di un rappresentante dei cittadini utenti nel collegio dei componenti, sembra in grado di affrontare in modo più plausibile la questione costituzionale del buon andamento dell’amministrazione pubblica.

Non soltanto perché fa leva sulla valutazione dei rendimenti operando sui tre versanti dei controlli interni, della responsabilità  dei dipendenti e delle retribuzioni. Ma anche perché riconosce un valore al metodo della sussidiarietà  (il disegno di legge ha raccolto il contributo importante di Teresa Petrangolini e di Gregorio Arena, rispettivamente segretario generale di Cittadinanzattiva e presidente di Labsus ). La legge prevede, infatti:

1.
sotto il profilo della trasparenza, la pubblicazione sul sito internet dell’autorità  delle ” informazioni sulle segnalazioni e informazioni ricevute dai cittadini ”

2.
sotto il profilo della partecipazione, ” l’organizzazione di un confronto pubblico annuale sull’attività  di valutazione compiuta da ciascuna amministrazione, con la partecipazione di associazioni di consumatori o utenti ”

3.
e, soprattutto, sotto il profilo della sussidiarietà , la ” previsione di modalità  di partecipazione delle associazioni di consumatori o utenti agli organi di valutazione e alla loro attività  ” . In altre parole, si riconosce che la valutazione è un’attività  di interesse generale che può e deve essere svolta anche dai cittadini singoli o associati.
Come modernizzare il paese

E la sussidiarietà  diventa il principio ispiratore di una governance più matura, allargata ai soggetti civili ma senza confusione di ruoli e responsabilità .
E’ questa, ne siamo convinti, la via maestra per la modernizzazione del paese. Al Parlamento, adesso, tocca il compito di imboccarla convintamente.