Producono fiducia, coesione sociale, danno coraggio e cosìfacendo incrementano il capitale sociale

Da alcuni anni nella nostra Costituzione c’è un principio che cambia radicalmente i rapporti fra amministrazioni e cittadini trasformando questi ultimi da “portatori di problemi” in “portatori di soluzioni”, che si rivolgono alle amministrazioni non per rivendicare diritti o esigere prestazioni, bensì per perseguire insieme con le amministrazioni stesse l’interesse generale.
Il principio è la sussidiarietà orizzontale ed è una novità rivoluzionaria, perché legittima un superamento del “paradigma bipolare” che ha dominato il nostro Diritto amministrativo negli ultimi duecento anni, secondo il quale spetta all’amministrazione pubblica prendersi cura dell’interesse generale, perché gli amministrati sono per definizione egoisti e incompetenti, cioè incapaci di occuparsi di ciò che esula dalla loro sfera immediata di interessi.

L’amministrazione come "macchina"

Di qui l’idea ottocentesca dell’amministrazione come “macchina” separata dalla società ma ad essa sovraordinata, in nome della superiorità di quell’interesse pubblico la cui tutela è all’amministrazione affidata in via esclusiva. Una struttura gerarchica, tendenzialmente autoritaria sia al proprio interno, sia nei rapporti con coloro che non casualmente sono chiamati “amministrati”, proprio per sottolinearne la posizione di passività e subordinazione nei confronti degli apparati burocratici.
Se questo è l’assetto dei rapporti fra amministrazioni e amministrati che deriva dall’applicazione del paradigma bipolare si capisce meglio perché è rivoluzionario affermare che invece, grazie alla sussidiarietà, i cittadini possono diventare alleati dell’amministrazione nel perseguimento dell’interesse generale.
E’ infatti tale principio, disciplinato dall’art. 118, u.c. della Costituzione (“Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”) che sostanzialmente riconosce che i cittadini non solo hanno delle capacità, ma sono anche disposti ad utilizzarle per risolvere insieme con l’amministrazione problemi che riguardano la collettività, perché i cittadini non sono affatto incompetenti e, soprattutto, non sempre sono egoisti.

Un principio per tutti

Cittadino attivo può essere chiunque, in qualunque momento della propria vita, intervenendo anche su singoli problemi di interesse generale, senza che ciò configuri l’assunzione di impegni duraturi, né l’adesione ad organizzazioni, né una formazione particolare, come accade in genere per coloro che operano all’interno di organizzazioni di volontariato o del terzo settore.
Chiunque infatti può decidere di uscire per qualche tempo dal proprio comodo “guscio” di amministrato per prendersi cura dei beni comuni, quei beni che se arricchiti arricchiscono tutti, se impoveriti impoveriscono tutti. Si tratta di beni materiali quali ambiente, acqua, aria, istruzione, sanità, infrastrutture, vivibilità urbana ma anche immateriali quali legalità, fiducia, sicurezza, sviluppo della persona e altri simili a questi, tutti per loro natura potenzialmente a rischio di usi predatori.
Nella cura dei beni comuni i cittadini attivi portano risorse preziose, uniche, che solo i cittadini hanno e che solo loro possono mettere, se lo desiderano, a disposizione della comunità, sotto forma di idee, esperienze, competenze, tempo, relazioni, saperi e sensibilità che normalmente non vengono usate nell’interesse generale.


Le risorse civiche

Il valore economico di queste “risorse civiche” può essere anche molto significativo ed è uno dei motivi che dovrebbero indurre i poteri pubblici e quelli locali in particolare, a favorire l’attuazione del principio di sussidiarietà. Ma quando si prendono cura dei beni comuni i cittadini attivi non si “limitano” a risolvere concretamente problemi che riguardano la collettività, che sarebbe comunque già un gran risultato.
Essi così facendo si prendono cura al tempo stesso anche di un particolarissimo meta-bene comune, il capitale sociale. I cittadini attivi infatti con il loro comportamento producono fiducia nei rapporti fra le persone e verso le istituzioni, sviluppano coesione sociale, realizzano forme nuove di partecipazione alla vita pubblica, danno coraggio e sono di esempio ad altri, creano occasioni di incontro e di confronto.


Padroni di casa, non ospiti

E tutto questo va a vantaggio del capitale sociale di una comunità in cui i cittadini attivi mostrano concretamente come si possa essere cittadini in modo nuovo, comportandosi come persone autonome, solidali e soprattutto responsabili, che nella Repubblica si sentono padroni di casa, non ospiti. E come tali si comportano, assumendosi la responsabilità della cura della casa comune.



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