Il convegno del 26 settembre punta il dito sulle regole

I laboratori territoriali sono stati il luogo per esercitare una nuova forma di democrazia
Pochi mesi per mettere in piedi laboratori misti tra cittadini e amministratori locali da ‘formare’ alla sussidiarietà orizzontale, con l’obiettivo di produrre project work incentrati non tanto su servizi effettivamente erogabili, quanto su un modello possibile di partecipazione attiva dei cittadini alla definizione delle politiche. È questa la sfida con la quale – nell’ambito del protocollo d’intesa tra dipartimento della Funzione pubblica e Cittadinanzattiva – si sono misurati operativamente il Formez, cui è stata affidata la realizzazione dell’iniziativa, e Labsus, che ne ha curato il coordinamento scientifico.

Il II municipio di Roma, il comune di Carbonia e la regione Puglia hanno rappresentato il terreno della sperimentazione e tutti i soggetti locali coinvolti si sono incontrati a Roma per discutere gli esiti del progetto ‘Obiettivo sussidiarietà’. Un principio, quello della sussidiarietà orizzontale, che – come sottolineato in apertura dal presidente del Formez Carlo Flamment, è portatore di un cambiamento radicale del rapporto tra cittadini e amministrazione pubblica in una fase particolarmente delicata di sfiducia verso le istituzioni. E, secondo Gregorio Arena, presidente di Labsus, il progetto presenta due aspetti fondamentali. Innanzitutto si tratta della prima iniziativa di formazione sulla sussidiarietà orizzontale che mette insieme cittadini e amministratori, rappresentando quindi un modello per futuri interventi. In secondo luogo pone l’accento sulla necessità di immaginare regole e procedure che rendano applicabile un principio altrimenti troppo ‘alto’ come quello sancito dall’articolo 118 ultimo comma della Costituzione.

L’accento sul processo

Elena Tropeano del Formez, responsabile del progetto, ha posto l’accento sul fatto che quella partecipativa è una forma nuova di democrazia rispetto a quella rappresentativa. Che implica anche maggiori responsabilità da parte dei cittadini rispetto ai propri diritti e ai propri doveri. Non solo: la condivisione rende consapevoli i cittadini della complessità dell’amministrazione. Da parte loro, le amministrazioni si trovano ‘costrette’ a coinvolgere i cittadini nell’intero processo di elaborazione, non solo nella gestione delle politiche. E sono le politiche ad essere centrali, politiche ‘buone’ solo se i cittadini sono coinvolti.

Ai laboratori sui tre territori individuati hanno partecipato circa 9 persone, come ha spiegato Donatella Spiga assistente di progetto del Formez, sottoponendosi a un percorso ‘concentrato’, fatto di poche lezioni in aula e a distanza. L’obiettivo del project work, ha sottolineato Spiga, è stato quello di immaginare le fasi di un processo partecipativo dall’individuazione del bisogno fino ai segmenti da dare in gestione diretta ai cittadini. Quello, insomma, molto più complesso, di progettare un processo, non di immaginare un servizio.

A questo punto hanno preso la parola i partecipanti ai laboratori per illustrare idee, entusiasmi e difficoltà nate dal lavoro nei gruppi misti. Una discussione vivace e ‘partecipata’, ritmata dagli interventi della platea volti ad approfondire aspetti e contenuti dei project work.

Arena, la pratica conferma la teoria

Il pomeriggio è stato invece dedicato al confronto tra esperti e amministratori, coordinato da Valeria Spagnuolo del Formez. Hanno brillato per assenza i politici, terzo soggetto necessariamente implicato nei processi di amministrazione condivisa.

“Mi sento come l’astronomo che ha dedotto l’esistenza di un pianeta da dati indiretti e ha visto poi confermare la sua scoperta dall’osservazione diretta”. Così ha esordito Gregorio Arena in apertura della tavola rotonda, sottolineando come molte idee contenute nel suo libro ‘Cittadini attivi’ hanno trovato una realizzazione nell’esperienza dei laboratori. D’altro canto la teoria è valida solo se è in grado di descrivere la realtà. Due, in particolare, i temi che hanno trovato conferma nelle iniziative territoriali. In primo luogo, si è dimostrato come i cittadini siano portatori di risorse che mancano alle amministrazioni. Ed è nell’interesse stesso delle amministrazioni far emergere questo patrimonio. Secondo, i laboratori sono stati un luogo di ‘addestramento alla democrazia’, dimostrando le difficoltà del lavorare insieme. La democrazia si impara, ma oggi c’è carenza di luoghi deputati all’apprendimento come erano in passato le scuole di partito. La sussidiarietà prefigura una nuova forma di cittadinanza, complementare, non sostitutiva, di quella fondata sulla delega. Ma c’è un terzo tema sul quale è voluto tornare Arena, quello delle regole. Un punto ancora non affrontato sul quale è necessario lavorare affinché il principio della sussidiarietà diventi effettivamente applicabile. E Labsus può essere uno spazio di elaborazione teorica nell’ambito di quello che Arena ha definito il “secondo polmone” della democrazia, dove il primo è quello rappresentativo e l’altro, appunto, quello deliberativo-partecipativo.

Le politiche partecipative dal territorio ai paesi dell’Ocse

“Il lavoro partecipativo è l’unico sguardo che l’amministratore può e deve avere se intende attuare politiche efficaci che raccolgano il consenso dei cittadini”. Questa l’opinione di Giuseppe Gerace, presidente del II municipio di Roma. “Spesso – ha continuato Gerace – gli amministratori hanno il timore di confrontarsi con le realtà presenti sul territorio, ma è un errore”.

Secondo Maria Sasso, direttore dell’assessorato alla trasparenza e alla cittadinanza attiva della regione Puglia, la partecipazione modifica i metodi e i contenuti della politica. Cambiano i luoghi e i percorsi delle decisioni: le ipotesi si assestano nei laboratori territoriali. Si crea una struttura a rete dove i nodi sono le persone e i fili il riconoscimento reciproco. Nei contenuti, determina scelte più aderenti ai bisogni della collettività. Attualmente, secondo Sasso, i cittadini sono più avanti dei politici nel chiedere responsabilità, ma il limite della cittadinanza attiva è nella scarsa consapevolezza dei vincoli delle pubbliche amministrazioni. D’altro canto, una parte dei politici teme – aprendosi alla partecipazione – l’erosione dei propri poteri decisionali. È dunque necessario far crescere insieme cittadini, amministratori e politici.

Della partecipazione si parla ormai in tutti i paesi avanzati, come sottolinea Pia Marconi, direttore del dipartimento della funzione pubblica e delegato all’OCSE nell’ambito del gruppo ‘public governance’. Una discussione che muove dalla necessità di modernizzare le politiche pubbliche attraverso un processo di ‘coproduzione’ che investe numerosi ambiti. Questo quadro concettuale è oggi proponibile anche in Italia, cercando di evitare da un lato comportamenti opportunistici da parte dei cittadini e, dall’altro, la resistenza della p.a. nel riconoscere le competenze dei cittadini. È dunque necessario, a livello centrale, un impegno nella messa a punto delle policy.

Evitare le generalizzazioni: questo chiede Mauro Bonaretti, direttore generale del comune di Reggio Emilia. Non tutte le amministrazioni sono sfiduciate dai loro cittadini, così come non tutti i cittadini sono ‘buoni’. Gli amministratori si confrontano con realtà particolaristiche e corporative. La prospettiva possibile è quella di coniugare i processi partecipati alla sussidiarietà orizzontale, cioè far convergere interessi diversi su un progetto comune costruendo politiche condivise a monte, da attuare attraverso la sussidiarietà.

Le politiche sono sempre più integrate e richiedono, quindi, la convergenza di più attori. Lo segnala Serenella Paci, esperta di politiche pubbliche e processi partecipativi. Spesso i cittadini sono coinvolti solo in una fase iniziale; bisogna invece portarli fino alla presa in carico diretta delle iniziative. Nelle esperienze passate esistono luci e ombre: spesso si è trattato di ‘falsa partecipazione’ nell’ambito di azioni già decise dall’alto. L’esperienza dei laboratori, invece, ha avuto il pregio di partire dalle criticità e di ragionare sulle metodologie per mettere insieme interessi diversi.

“La crisi della classe dirigente esige un ruolo per la cittadinanza attiva”. Ne è convinto Giustino Trincia, vice segretario vicario di Cittadinanzattiva. È necessario distinguere tra un consenso elettorale e un consenso ‘attivo’, necessario per interventi sul territorio (ad esempio per i piani di mobilità). La sussidiarietà orizzontale ha il pregio di focalizzarsi sulle azioni piuttosto che sui soggetti, riconoscendo pari dignità a cittadini e amministrazioni. Adesso però è necessario passare dalle iniziative ‘straordinarie’ agli interventi ordinari, e servono formazione, regole, concretezza. Soprattutto, quale precondizione, è necessario costruire una dimensione civica che crei il ‘clima favorevole’ per la sussidiarietà.