Il resoconto dell ' incontro del 18 gennaio

Labsus considera la sussidiarietà  come una nuova forma di cittadinanza attiva autonoma, responsabile e solidale, che può orientare nel riordino del settore guardando agli interessi comuni e non ai singoli soggetti

Erano questi gli argomenti messi al centro del dibattito da Labsus approfondimenti che ha raccolto esponenti dell’uno e l’altro mondo per entrare nel merito delle convergenze e divergenze tra questi universi paralleli ma non coincidenti.

Ha aperto i lavori Laura Froner, parlamentare e sindaco di Borgo Valsugana. “Quello della sussidiarietà (verticale e orizzontale) è un tema caro ai piccoli comuni – ha spiegato – perché riguarda i nodi dello sviluppo economico e sociale. I diritti sociali – istruzione, lavoro, salute, ambiente – si fanno sempre più numerosi e pregnanti e, affinché siano realmente esigibili, necessitano di una distribuzione dei compiti tra pubblico e privato”. E, secondo Froner, “la partecipazione attiva della società dà compiutezza alla cittadinanza”. “Volontariato e associazionismo – ha continuato – sono le condizioni per il dispiegarsi della sussidiarietà. L’ente pubblico deve fare un passo indietro, ma solo se il privato è in grado di intervenire garantendo equità e, nell’ambito di interessi ‘deboli’, non economicamente importanti, è un compito che svolgono solo i volontari”.

Lo sa bene chi vive in un territorio come quello trentino dove “un abitante su cinque è socio di una cooperativa e esistono circa 4mila associazioni. È un tessuto molto ricco – ha concluso la deputata – che può creare le condizioni per la responsabilizzazione della cittadinanza”.

L’articolo 118 può ispirare la riforma del volontariato

Il quadro entro il quale si muove la discussione è stato disegnato, nella sua introduzione, da Gregorio Arena, presidente di Labsus. “La sussidiarietà – ha spiegato – è, dal 21, un principio costituzionale. Il volontariato è invece un fenomeno sociale ormai molto strutturato. Eppure il concetto di sussidiarietà è passibile di diverse interpretazioni. Labsus la considera come una nuova forma di cittadinanza attiva autonoma, responsabile e solidale”. Secondo questa visione, “ i cittadini sono portatori di competenze e, in quanto tali, possono mutare il vecchio paradigma bipolare della pubblica amministrazione in un paradigma paritario, fondato su rapporti di collaborazione e di fiducia”. Il volontariato, in Italia, è un fenomeno composito: ne esistono almeno cinque tipi. Quello di welfare (33 percento) quello specialistico (16 percento), quello gestionale (21 percento), quello relativo ai beni comuni (23 percento) e un’ultima parte residuale (5 percento). “La quarta forma – ha sottolineato Arena – è in forte emersione e riguarda precisamente la partecipazione civica. Il fenomeno nella sua complessità è regolato dalla legge 266 del 1991, oggi fortemente messa in discussione: di fatto essa si basa ancora sul paradigma bipolare.

 Si guarda ai volontari come a persone che fanno cose che non dovrebbero fare, c’è diffidenza verso l’attivismo civico. Inoltre la legge pone principi farraginosi sulle associazioni che privilegiano le grandi entità”. In questo quadro, “l’articolo 118 della Costituzione, che data dieci anni dopo, opera un’apertura verso le attività che si legittimano da sole, in una logica opposta a quella della legge 266. La nuova normativa sul volontariato deve partire da qui, ispirandosi al principio di sussidiarietà”. Se è vero che i volontari sono cittadini attivi, non è detto che sia vero il contrario. “L’articolo 118 legittima anche singoli o gruppi non strutturati. Spesso si tratta di interventi ‘one shot’, legati a un problema specifico: i cittadini si attivano volontariamente e si assumono la diretta responsabilità. Sotto l’ombrello del 118 ultimo comma si può comprendere la cittadinanza attiva in entrambe le forme, quella della sussidiarietà e quella del volontariato”. Questo approccio può aiutare il mondo del volontariato ad attrarre nuove leve. “I cittadini attivi – ha detto il presidente Labsus – stanno ai volontari come gli atleti dilettanti ai campioni olimpici, per cui è proprio la diffusa partecipazione attiva dei cittadini che può creare il clima migliore per lo sviluppo del volontariato”.

Guardare alle attività e non ai soggetti

La relazione complessiva sul tema è stata affidata a uno dei padri del 118, Giuseppe Cotturri. “La scelta di Labsus di accostare due termini eterogenei – ha sottolineato – porta a intervenire in un processo che registra tensioni e incomprensioni. Non tutto il mondo della sussidiarietà è volontariato, e viceversa. Oggi vediamo una crisi di espansività el volontariato e lo spostamento dell’accento sulla sussidiarietà non fa superare le difficoltà. La cultura cattolica è stata protagonista di entrambi i fenomeni, ma le soluzioni normative non possono essere vincolate a principi di fede. L’articolo 118 cambia radicalmente l’ottica: non sostiene le organizzazioni in un’ottica corporativista, ma pone l’accento sulle attività di interesse comune. Non è necessaria la forma associativa, non esiste un regime autorizzativo. Il focus è sui beni comuni”. Come dice Cotturri, “si è, insomma, fissata una politica: favorire il dispiegarsi dell’autonoma iniziativa. È un’idea che nasce da lontano: è già presente, di fatto, negli articoli 2 e 3 della Costituzione. Il 118 li traduce in indirizzo. In precedenza si era tentato di agire attraverso la legislazione ordinaria, senza successo. Alla fine l’articolo 118 ha coniugato la sussidiarietà verticale con quella orizzontale, introducendo un’innovazione rispetto al panorama europeo, dove la sussidiarietà è relegata a norme astratte ma di fatto non ‘vive’.

Per questo le iniziative italiane hanno molto ascolto in sede europea. Il 118 introduce una politica di sostegno alle attività e sembra chiedere all’universo del volontariato di essere meno eticamente rigido e più ‘politico’. Anche le imprese ‘profit’ possono intervenire. Piuttosto quello che ancora manca è un catalogo esaustivo dei beni comuni che sia oggetto di pressione sul governo”. Un obiettivo ancora lontano, se è vero che “è peggiorata l’attenzione pubblica nei confronti dei beni comuni e si stanno producendo mali permanenti se non addirittura mortali (inquinamento, disgregazione del tessuto solidale). Il terzo settore non si è assunto questo ruolo e il riordino normativo procede per provvedimenti. Ma le leggi speciali creano differenze, mentre sarebbe necessaria una riforma complessiva, un testo unico. Si è invece prodotto uno sviluppo ‘a canne d’organo’ attraverso una legislazione minuta, regolamentare che impegna una burocrazia miope in un’applicazione che tende a ridurre e interferire. Ma la riduzione delle associazioni porta a un impoverimento del Paese. Siamo di fronte a un ribaltamento del rapporto dove la politica intende riprendersi il suo primato sul movimento sociale”. Cotturri ha tracciato un po’ la storia del fenomeno: “è negli anni ’7 che nasce il volontariato e, via via, le associazioni che riuniscono più soggetti: Movi, Fivol, Convol e così via. Inizialmente gli elementi identitari dei soggetti sono stati importanti, adesso si dovrebbe assistere a una fase di empowerment. Nel momento in cui nasce lo stato sociale si assiste ai primi conflitti tra assistenza e servizi. Vi è una richiesta di supplenza che ricade sul terzo settore. Ma per superare questo modello tripartito serve un modello di governo complessivo. In Italia l’unica organizzazione riconosciuta di per sé è il sindacato, nemmeno i partiti lo sono. Non c’è spazio per altre realtà che non siano quelle economiche.

 Quando nel ’99 il governo propose l’apertura della concertazione al terzo settore, la Cgil si oppose. La spinta è verso la rappresentanza di stampo politico piuttosto che verso la partecipazione basata sui valori. Anche la normativa è oggi in sofferenza e, complessivamente, in via di revisione. Si creano lotte interne, per esempio quella tra le associazioni di consumatori, che oggi possono avvalersi anche dello strumento della class action”. In questo panorama c’è poi il problema del servizio civile che “rientra anche se il tentativo è sempre quello di tenerlo fuori: in fondo i progetti nei quali sono impegnati 95mila giovani rientrano proprio nell’ambito del ‘favoriscono’ dell’articolo 118. Ma questo campo è lasciato molto alla progettualità delle associazioni e alla volontarietà dei giovani, mentre la parola volontariato viene riservata a un ambito di presunta ‘purezza di intenti’. Bisogna invece distinguere la sussidiarietà dalle politiche soggettive guardando piuttosto alle attività. Occorre una strategia complessiva che punti su un approccio promozionale e non regolamentare: passare dai controlli gerarchici ai controlli cooperativi”. Secondo Cotturri, “la materia del testo unico dovrebbe essere il disegno di un nuovo welfare, dove il 118 rappresenta già un modello di intervento. L’interesse della sussidiarietà risiede nell’individuare quelle attività che necessitano della collaborazione della pubblica amministrazione con i cittadini”.

Tempo e denaro: la spina nel fianco del volontariato di cura


Francesco Marsico, della Caritas nazionale, ha affrontato direttamente il tema delle difficoltà del volontariato. “Il mondo cattolico – ha spiegato – ha partecipato da protagonista alla storia del vlontariato. Oggi i progetti di riforma sociale sono condizionati dalle risorse. Il volontariato contemporaneo è diverso da quello di vent’anni fa, bisogna proiettarsi sul futuro. La scelta del volontariato oggi è più fragile anche perché le culture di riferimento non hanno la stessa presa. Il contesto sociale è indebolito sul piano della rete e dei valori, che rappresentano le precondizioni della sussidiarietà. Assistiamo a una rarefazione del tessuto sociale che è frutto della vittoria del mercato. Il precariato e la flessibilità hanno cancellato la differenza tra tempo di lavoro e tempo libero. Il tempo sociale è divorato e meno alla portata dei soggetti. La questione del tempo e quella economica sono precondizioni per la partecipazione. Il lavoro di cura nasce nell’ambito familiare e nel rapporto intergenerazionale, ma se i tempi sociali sono divorati è impossibile che si dispieghi. E il lavoro di cura non può essere ‘one shot’, bisogna garantire una relazione”. Anche in questo caso, il servizio civile pone due problemi: “difficoltà a mantenere l’impegno per l’intera durata (il 1 percento non termina spesso perché trova occasioni di lavoro); inoltre, da tre anni, l’impegno nel sociale è stato superato da altre forme. Senza moralismi, la riduzione dell’impegno nel sociale porta a un impoverimento generale. Finirà che in questi ambiti dovrà intervenire il mercato: il fenomeno delle badanti indica che il problema del welfare si ripercuote anche sulle famiglie.

Volontariato e sussidiarietà non solo vanno affrontati in termini politici, ma anche sociali. Bisogna lavorare sulla praticabilità del volontariato che ormai è lasciato in larga misura agli anziani e non c’è ricambio generazionale. Il servizio civile ha funzionato come spazio di formazione alla sussidiarietà. La Caritas voleva introdurre l’obbligatorietà: oggi facciamo un po’ di autocritica rispetto a questa posizione, ma il nodo degli spazi della sussidiarietà e del volontariato è ancora vivo”. “Il consumerismo – sottolinea Marsico – conferma che la sussidiarietà non è solo positiva. La riflessione deve essere congiunta: normativa ma anche tutela degli spazi (come il servizio civile) per avvicinare al volontariato persone di tutti i ceti sociali. Servono poi politiche sociali complessive per non impoverire il Paese”.

La tutela dei diritti tra rappresentanza e ruolo politico


Teresa Petrangolini, segretario generale di Cittadinanzattiva, ha affrontato il tema del volontariato di advocacy. “Anche il mondo della sussidiarietà è variegato. Come soggetti attivi nella sussidiarietà siamo attenti a come cambia il ruolo politico. La fiducia dei cittadini si è ridotta. Eppure la Finanziaria 28 introduce emendamenti che incoraggiano la partecipazione dei cittadini nei servizi pubblici locali per la valutazione e l’individuazione degli standard qualitativi: è un grande elemento di sussidiarietà. Inoltre gli enti devono prevedere fondi per favorire questi soggetti. Un altro esempio è la convenzione sottoscritta dal ministero della Sanità e da Cittadinanzattiva sull’audit civico. Attraverso questo accordo la valutazione dei cittadini entra nella definizione dei budget e nella valutazione dei dirigenti delle Asl, anche rispetto all’individuazione degli obiettivi. Un accordo di questo tipo cambia il sistema di governance”. I cittadini coinvolti sono tutti volontari ma, secondo Petrangolini, la parola volontario va ridefinita in termini di sussidiarietà. “I ruoli civici, quindi politici, sono diversi.

 Si pone forte il problema della formazione: i cittadini volontari devono diventare cittadini civici. Questo porta a una maggior rilevanza della società civile: nasce una grandissima attività che resta fuori dall’arena politica e che riguarda tutto l’attivismo civico, parte di una nuova classe dirigente del paese. Siamo in una condizione di superiorità morale e inferiorità politica? No, ma non c’è dubbio che oggi l’unica strategia è quella della cooptazione politica. Occorre quindi una riflessione sulla rappresentanza, così come è necessario declinare meglio l’articolo 118 per portare avanti la battaglia della rilevanza politica”. Esiste poi “una dissonanza cognitiva tra il legislatore e la cittadinanza. Le organizzazioni civiche sono viste o come sindacati o come un pezzo dello Stato: questo è un segnale di grande difficoltà. Il punto di riferimento deve essere il 118 per ricostruire la fiducia da parte dei cittadini. Meno burocrazia e più libertà di associazione. La legittimazione ad agire deriva dalla capacità di compiere azioni, non dal soggetto che le compie. Questo passaggio è un pezzo della riforma complessiva dello Stato”.

Capovolgere il rapporto tra istituzioni e associazioni

Il tema della rappresentanza è tornato nell’intervento di Maria Guidotti, portavoce del forum terzo settore. “Le precondizioni per la sussidiarietà sono difficili: manca il tempo liberato dal lavoro, la cura del bene comune e la solidarietà. Si assiste a un ripiegamento sul privato, e la politica ha una grandissima responsabilità. Occorrono poi conoscenze e competenze, ma non si investe in questi valori. Sembra che sia un’incapacità del terzo settore, ma esso paga le difficili condizioni ambientali. Nella sussidiarietà è fondamentale il rapporto pubblico-privato che trasforma la relazione tra pubblica amministrazione e cittadino utilizzando tutte le risorse in campo. Questo ridefinisce anche il profilo del terzo settore.

 Le associazioni sono sentite come il braccio operativo delle istituzioni; serve un capovolgimento di rapporto che, pur spingendo sulla promozione, non elimini del tutto la regolamentazione, puntando anche sulla formazione”. Per la Guidotti, “le reti associative aiutano la cultura della sussidiarietà. La rete è tenuta insieme da valori comuni che raccolgono piccole associazioni. Eppure esiste una negazione ideologica contro le reti associative. Per il forum è fondamentale la battaglia contro la riforma del codice civile nel rispetto della democraticità delle associazioni. Molti vedono nel terzo settore una zona grigia, ma questo è vero solo in parte. Certamente occorre una regolamentazione: spesso la sua assenza fa comodo anche agli enti locali, e bisogna denunciarlo”. Guidotti porta l’esempio della battaglia sul cinque per mille “che è – afferma – un’esperienza di sussidiarietà fiscale”.

Si discute del controllo su come questi fondi vengono utilizzati; può anche essere giusto, ma non in termini vessatori e punitivi. Inoltre non c’è alcuna attenzione alla qualità delle azioni. Anche parlare dello sbarramento per le piccole associazioni è assurdo. La scelta del cittadino è giusta, non deve diventare terreno del marketing da parte associativa. La sussidiarietà implica la centralità del cittadino competente che diventa soggettività politica. Ma le grandi culture politiche e sindacali sono cadute o si sono arroccate in senso corporativo, e tutto questo non aiuta la sussidiarietà. C’è un tentativo – denuncia Guidotti – di mantenere l’esclusiva rappresentanza nelle mani delle tre dimensioni economiche”.

La pluralità delle voci

Diversi gli interventi che hanno animato lo spazio del dibattito. Tra questi, Franco Bagnarol del Movi. “Le grandi associazioni di volontariato sono in crisi per una confusione rispetto all’impresa sociale, ma le piccole sono molto vitali. Il loro problema è quello della rappresentanza. In Italia esistono diversi volontariati: il pluralismo va accettato e indagato. Sono le attività che devono qualificare le associazioni, anche se di fatto decide la legge 266. Forse è più opportuno ragionare nei termini delle riforme regionali”.

Per Elena Tropeano del Formez, “la formazione è una priorità strategica per accrescere la consapevolezza della sussidiarietà nella pubblica amministrazione. Sono stati realizzati laboratori importanti, come quelli nella regione Puglia. Le pubbliche amministrazioni devono diventare competenti integrando i cittadini nella progettazione ma anche nella gestione delle politiche pubbliche, nonché nella valutazione, integrando le tre fasi. Ma il nodo non è solo quello dello sviluppo di competenze interne alle amministrazioni; bisogna sviluppare le virtù civiche operando un miglioramento nella stessa società civile”.

La voce del ministero della Solidarietà è stata affidata a Teresa Rosito che ha spiegato come “la riforma della legge 266 è complessa e la valutazione delle diverse istanze è complicata dal problema della rappresentanza, soprattutto dei piccoli soggetti. Il problema non può risolverlo il ministero. È vero, poi, che le difficoltà sul fronte del tempo e del denaro complicano il quadro: se sono disperato difficilmente sono in grado di vedere l’altro. Per questo il servizio civile è strategico e le stesse imprese, nell’ambito della responsabilità sociale, possono intervenire in ambito sussidiario”.

I cittadini attivi per fronteggiare le nuove sfide

È stato Franco Bassanini, presidente Astrid, a concludere la mattinata proponendo una riflessione. “È vero – ha detto – che le condizioni ambientali non favoriscono la sussidiarietà: la svolta che ci aspettavamo con il 118 è ancora aldilà da venire. Di fatto l’occupazione politica dei servizi pubblici è legittimata. Un meccanismo che garantisca la scelta sulla base della qualità non è passato in finanziaria per l’opposizione di chi è portatore di interessi. Ci si era in parte illusi con il 118 che non era il prodotto di una riflessione del tutto consapevole, ma una svolta culturale che parte dalla nostra Costituzione. Inizialmente la dialettica era solo quella tra Stato e cittadino, poi si sono ‘aggiunti’ partiti e sindacati. È rimasta fuori tutta la rete delle comunità intermedie.

Nella costituente è emersa una cultura diversa da quella liberale o marxista dominanti: l’articolo 2 riconosce le entità sociali. La sussidiarietà orizzontale e verticale è già negli articoli 2 e 5 della Costituzione, così come l’articolo 3 è necessariamente visto in connessione. Si sanciva un pluralismo istituzionale e sociale, ma questa ispirazione è scomparsa negli anni. Il pluralismo sociale si è dovuto affermare ai margini”. Ricostruendo le tappe storiche, Bassanini ha evidenziato come “il modello di Stato invadente comincia ora a cedere e avanza un’idea più moderna di rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini. Le privatizzazioni – non sempre positive – ci hanno però costretto a ragionare nei termini della qualità. Nella cura dei beni comuni emerge il ruolo del pluralismo sociale, e il 118 nasce in questo clima”. Ma dopo cosa è successo? “La politica è sempre meno legittimata, trasversalmente ai due schieramenti, è difficile sperare in un cambiamento.

L’arroccamento del potere è una reazione. Eppure emergono elementi in controtendenza, da vedere ora alla prova dei fatti, sapendo che la qualità è la chiave di una pubblica amministrazione efficiente. Certamente i problemi economici e di tempo sono drammatici e rendono difficile impegnarsi nel volontariato. Ma pesa anche la nuova ingerenza del sistema politico che sembrava essersi ritratto almeno in parte. Il quadro richiede di mettere in campo tutte le risorse”. “Altro che fine della storia: siamo di fronte a grandissime sfide e a forti minacce ai nostri beni comuni – ha affermato il presidente Astrid – e a queste sfide non possono rispondere politica e mercato da soli, servono altre risorse. Bisogna rimettere in circolo le energie della sussidiarietà come sistema di controllo e limite alle ‘sbandate’ della politica. Ma con attenzione: bisogna reagire al tentativo di trasformare il modello tripartito in quadripartito. Vanno portate in campo le risorse e le energie dei cittadini competenti”.