Motivo del contendere è il Magazzino centrale ricambi mezzi corazzati, il Macrico appunto, un’area di circa 325mila metri cubi piazzata in mezzo alla città, in posizione strategica.
Il Macrico è formalmente di proprietà dell’Istituto Diocesano di Sostentamento del Clero (Idsc): in realtà, è da sempre luogo deputato a fini militari. Prima sede delle esercitazioni dell’esercito borbonico e, successivamente, area utilizzata dall’Esercito Italiano come magazzino per i pezzi di ricambio di carri armati e mezzi blindati in genere.
Tra speculazione e cittadinanza attiva
La storia è complessa fin da principio: l’Idsc e il Ministero della difesa sono da anni ai ferri corti per il mancato pagamento dell’affitto dell’area da parte dei militari.
Il Macrico è ormai inutilizzato. L’Esercito l’ha dismesso anni orsono, lasciando l’area in mani imprecisate e al suo destino: poco conta che i capannoni contengano amianto e necessitino di uno smaltimento urgente e specifico. Il clero non pare avere idee precise né fretta di risolvere la questione. L’amministrazione per anni tace, impegnata tra problemi e questioni più urgenti, rifiuti e smog su tutti.
Ed allora si mobilitano i cittadini, che propongono di recuperare e far rivivere il Macrico. Si riuniscono in un comitato e provano a far sentire la loro voce. L’idea del comitato è che un’area di queste dimensioni, se opportunamente allestita e curata, potrebbe costituire il “polmone verde” della città, nonché un centro per la vita culturale, sociale, ricreativa di tutti i casertani.
Mentre l’Idsc conferma il suo sostanziale immobilismo, prima di trovarsi impantanato in problemi ancor più seri, si forma appunto il Comitato Pro Macrico: 4 associazioni, capitanate da Italia Nostra, Legambiente e Fondazione Don Diana. Il loro progetto è semplice: il Prg di Caserta prevede che tutte le aree militari dismesse diventino aree F, cioè inedificabili? Sì. Il Macrico è un’area militare dismessa? Sì. Bene, allora è possibile utilizzarlo come orto botanico della locale Università, come giardino di Caserta, come risorsa per combattere l’inquinamento e come sede per istituti ed enti a servizio di immigrati, handicappati ecc. In tre parole, il Macrico come “parco urbano vivo” di Caserta.
Niente di più lontano dalla realtà. A nulla servono le raccolte di firme, il sostegno di associazioni e personaggi famosi, il tentativo di un referendum poi fallito, la sottoscrizione da parte degli aderenti di un progetto per comprarsi un metro di parco con soli 5 euro a testa.
Entrano in campo le forze politiche che propongono di realizzare il nuovo Municipio proprio sul terreno del Macrico. Anche il clero elabora e commissiona un proprio progetto: e come se il piano, che prevede circa 5 mila metri cubi di costruzioni, non facesse abbastanza paura da solo, è forte il timore che l’obiettivo vero sia quello di rivenderlo a peso d’oro al miglior offerente. E ovviamente, i migliori offerenti in questi casi sono sempre gli imprenditori edili, i boss del mattone.
Dove sono le amministrazioni che "favoriscono"?
La morale dell’intera vicenda è molto semplice. Ancora una volta, come troppo spesso capita di leggere nelle pagine dei quotidiani, il cittadino si sente estraneo all’amministrazione, lontano, quasi avversario del potere pubblico, totalmente dimenticato nei suoi bisogni, nelle sue speranze, nelle sue necessità. Amministrazione pubblica che, dal canto suo, si trova immersa in quella strana e paralizzante commistione tra politica, vecchi poteri (Chiesa e Esercito, nel nostro caso) e relazioni poco trasparenti e clientelari. I bisogni del cittadino, anche se primari e basilari come nella situazione casertana (esiste una legge regionale che impone la presenza di almeno 1 mq di verde pubblico pro capite: a Caserta ce ne sono 2…), sono piegati e sottomessi ad interessi e priorità ben diversi dal bene comune, a logiche che spesso sfuggono alla conoscenza pubblica, a fini, spesso economici e lucrativi, quasi sempre silenziosi e sotterranei.
Cosa insegna l’esempio del Macrico? Insegna che essere cittadini attivi non è sempre facile, che a volte si corre il rischio di intervenire e provare a risolvere situazioni negative che evidentemente fanno il gioco di qualcuno o di molti, che la sussidiarietà e l’autonoma iniziativa non sempre sono supportate ed incoraggiate da “chi di dovere”, ma possono anche venir ostacolate, boicottate o, nel migliore dei peggiori casi possibili, silenziosamente accettate storcendo la bocca.
E davvero risulta ancora più incredibile pensare che un’area così vasta, inutilizzata e di proprietà quasi imprecisata, sia bloccata e lasciata all’abbandono da quasi un decennio e non venga destinata ad un ruolo che parrebbe quasi naturale e scontato. Il Macrico potrebbe (e dovrebbe) costituire il cuore ambientale e pulsante della città, capace di risolvere molti dei problemi legati all’inquinamento e alla cementificazione selvaggia della città: senza contare la sua potenziale importanza sociale, come luogo di aggregazione, incontro e socialità.
Ma evidentemente, nel nostro complicato e paradossale Belpaese, è chiedere troppo.