Una sussidiarietà  molto tradizionale nei programmi di PDL e PD

La sussidiarietà  nei programmi elettorali non è quella della Costituzione

A differenza di quanto è successo nel 26 in questa campagna elettorale si parla anche di sussidiarietà. Non se ne parla molto e soprattutto non sempre se ne parla in modo corretto. Ma è già significativo il fatto che questa volta il tema sia considerato politicamente rilevante, sia pure solo dai maggiori schieramenti politici.
Salvo errori, di cui ci scusiamo in anticipo, abbiamo infatti trovato riferimenti espliciti alla sussidiarietà soltanto nel programma e nella Carta dei valori del Popolo della libertà e nel programma e nel Manifesto dei valori del Partito democratico.

Il Popolo della libertà

Per quanto riguarda il programma del Pdl il riferimento alla sussidiarietà è nella parte che tratta del sostegno alla famiglia e di migliori servizi sociali, dove si afferma la necessità di una “revisione del sistema di assistenza sociale in base al principio di sussidiarietà, dando un ruolo maggiore ai comuni e garantendo la libertà di scelta tra i vari servizi offerti dal pubblico, dal privato e dal privato sociale”.

Si aggiunge poi che “il ‘cinque per mille’ dovrà essere stabilizzato e applicato a favore di volontariato, non-profit, terzo settore, ricerca” e che sarà necessario riformare “il libro primo del Codice Civile, per riconoscere il ruolo fondamentale assunto nella nostra società dal ‘terzo settore’”. Tutti temi connessi comunque con il principio di sussidiarietà.

Sempre per quanto riguarda il Pdl, anche la Carta dei valori fa riferimento alla sussidiarietà, affermando nella prima parte che “I valori nei quali ci riconosciamo sono in specie quelli condivisi dalla grande famiglia politica del Partito popolare europeo: la dignità della persona, la libertà e la responsabilità, l’eguaglianza, la giustizia, la legalità, la solidarietà e la sussidiarietà”.

Più avanti nella stessa Carta si afferma che “Noi crediamo che la società e lo Stato debbano servire la persona ed il bene comune. Le persone e le comunità devono avere il diritto di realizzare ciò che possono grazie alla loro iniziativa. Ciò che le organizzazioni di dimensioni più piccole non sono in grado di realizzare deve essere affidato ad organizzazioni di livello più alto: gli enti locali, la regione, lo Stato, le organizzazioni sopranazionali.
La sussidiarietà è infatti la formula base del decentramento, del federalismo, e dell’integrazione europea. Ogni attività sociale è infatti per sua natura sussidiaria.

Noi crediamo che la politica abbia il compito di sostenere la vita e l’attività delle persone, delle famiglie, e delle comunità intermedie, non di distruggerle o di assorbirle. Per permettere alle singole persone ed alle loro libere associazioni di svilupparsi al massimo grado nel campo del sociale lo Stato deve sostenere una politica di deduzioni fiscali ed una politica di destinazione fiscale, come è quella del cinque per mille, nei confronti di quei cittadini che sostengono finanziariamente il volontariato, il non profit, le associazioni private senza scopo di lucro, tutto ciò che opera nell’ambito dell’assistenza sociale e della solidarietà, della ricerca scientifica e della cultura”.

Il Partito democratico

Per quanto riguarda invece il programma del PD c’è un sintetico riferimento alla sussidiarietà nella prima parte, dove si afferma che “il progetto del PD … se vuole risultare credibile ed efficace deve poggiare su dieci pilastri”, l’ultimo dei quali richiede “Una politica che decida e pubbliche amministrazioni che funzionino. Nel rispetto del principio di sussidiarietà: Stato forte, nel suo core business”.
Decisamente più articolato il riferimento nel cap. 5 del Manifesto dei valori, che afferma che “L’equità sociale non va considerata un onere da sostenere, ma un fattore sinergico di sviluppo umano ed economico e di partecipazione autenticamente democratica.

Il welfare è la garanzia di condizioni dignitose di vita e di attività per tutti i cittadini, e in particolare per le classi e le persone più vulnerabili. Non deve essere una forma di assistenzialismo, bensì un insieme di servizi sociali, sanitari e formativi e uno strumento che renda più snella ed efficace l’azione pubblica, anche valorizzando l’apporto dei corpi della società civile, secondo il principio della sussidiarietà. Non tutto ciò che è pubblico, e che dunque svolge una funzione sociale, deve essere necessariamente statale. L’impresa sociale, il non profit, la cooperazione, il volontariato, l’iniziativa delle persone e delle comunità, devono essere messe in condizione, attraverso scelte politiche ed economiche adeguate, di collaborare con lo Stato per garantire i servizi necessari e la loro qualità”.

Sintonie fra Pdl e Pd sulla sussidiarietà

Dal confronto fra i documenti dei due principali schieramenti politici emerge una sostanziale sintonia fra centrodestra e centrosinistra su come intendere la sussidiarietà, nel senso che entrambi ne danno un’interpretazione assai tradizionale e sostanzialmente riduttiva, per cui da un lato il principio di sussidiarietà viene utilizzato soprattutto per delimitare i confini fra le attività svolte dai soggetti pubblici e quelle svolte dai soggetti privati; dall’altro, di sussidiarietà si parla unicamente con riferimento ai servizi sociali e, in generale, al welfare.

Uno Stato "essenziale"

Per quanto riguarda il primo punto, ovvero la sussidiarietà intesa come criterio per delimitare i ruoli rispettivi dei soggetti pubblici e dei privati, abbiamo da un lato il PDL che sostiene che bisogna rivedere “il sistema di assistenza sociale in base al principio di sussidiarietà, dando un ruolo maggiore ai comuni e garantendo la libertà di scelta tra i vari servizi offerti dal pubblico, dal privato e dal privato sociale”; dall’altro il PD, che afferma che ci vuole “Una politica che decida e pubbliche amministrazioni che funzionino. Nel rispetto del principio di sussidiarietà: Stato forte, nel suo core business”.

Non è per la verità molto chiaro cosa si intenda per “Stato forte, nel suo core business”, anche perché non è chiaro quale sia il “core business” dello Stato. Comunque si capisce che secondo gli estensori del programma del Pd rispettare la sussidiarietà significa limitare lo Stato al suo “core business”, qualunque cosa si intenda con questa espressione (fra l’altro, trattandosi di un programma di un partito politico che si rivolge agli elettori italiani, sarebbe stato meglio usare termini comprensibili da tutti).

Il Pdl, a sua volta, afferma che rispettare la sussidiarietà significa da un lato dare “un ruolo maggiore ai comuni” (sussidiarietà verticale), dall’altro garantire “la libertà di scelta tra i vari servizi offerti dal pubblico, dal privato e dal privato sociale” (sussidiarietà orizzontale). Collocando i servizi offerti dai soggetti pubblici sullo stesso piano di quelli offerti dal privato e dal privato sociale (terzo settore, cooperative, imprese sociali…), anche il Pdl riduce implicitamente all’essenziale (il “core business”?) il ruolo dello Stato e dei soggetti pubblici in generale.

Sussidiarietà solo nel welfare

Anche sul secondo punto si registra una convergenza totale fra i due schieramenti. Entrambi limitano esplicitamente il ruolo del principio di sussidiarietà al settore del sociale, ovvero al welfare.

Per quanto riguarda il Pdl, da un lato nel programma postula una “revisione del sistema di assistenza sociale in base al principio di sussidiarietà”. Dall’altro nella Carta dei valori afferma che “Ogni attività sociale è infatti per sua natura sussidiaria …. Per permettere alle singole persone ed alle loro libere associazioni di svilupparsi al massimo grado nel campo del sociale lo Stato deve sostenere una politica di deduzioni fiscali ed una politica di destinazione fiscale, come è quella del cinque per mille, nei confronti di quei cittadini che sostengono finanziariamente il volontariato, il non profit, le associazioni private senza scopo di lucro, tutto ciò che opera nell’ambito dell’assistenza sociale e della solidarietà, della ricerca scientifica e della cultura”.

Per quanto riguarda invece il Pd, nel Manifesto dei valori si afferma che “Il welfare è la garanzia di condizioni dignitose di vita e di attività per tutti i cittadini… Non deve essere una forma di assistenzialismo, bensì un insieme di servizi sociali, sanitari e formativi e uno strumento che renda più snella ed efficace l’azione pubblica, anche valorizzando l’apporto dei corpi della società civile, secondo il principio della sussidiarietà”.

E la Costituzione?

Nessuno dei due schieramenti fa mai riferimento, nei propri documenti programmatici e valoriali, alla formulazione del principio di sussidiarietà contenuta nell’articolo 118, ultimo comma della Costituzione, secondo la quale “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

Nessuno, in altri termini, parla della sussidiarietà come di un principio che legittima i cittadini ad occuparsi dell’interesse generale, sullo stesso piano delle pubbliche amministrazioni e con il loro sostegno. I cittadini attivi non esistono, per i due principali schieramenti politici che si confrontano in questa campagna elettorale. Certamente non i cittadini attivi di cui si occupa il Laboratorio per la sussidiarietà, cioè quei cittadini che autonomamente decidono di prendersi cura, in maniera solidale e responsabile, dei beni comuni.

Non esistendo per loro questo tipo di cittadini, i due schieramenti coerentemente nemmeno si pongono il problema di un possibile ruolo della politica per valorizzare le risorse, capacità e competenze dei cittadini attivi in tutti i settori della vita pubblica.

Uno spunto nel Manifesto del Pd

Per la verità nel Manifesto dei valori del PD c’è forse un riferimento che consentirebbe a questo partito, se lo volesse, di affermare un proprio ruolo come soggetto che valorizza politicamente la cittadinanza attiva, laddove si dice che “Non tutto ciò che è pubblico, e che dunque svolge una funzione sociale, deve essere necessariamente statale”.

Affermare che può essere “pubblico” anche ciò che non è dello Stato, che non attiene allo Stato, è infatti un’affermazione importante, che apre la strada a possibili interventi “pubblici” (nel senso di interventi nell’interesse generale) di cittadini attivi, singoli e associati.

Altrettanto importante, almeno potenzialmente, è la frase successiva del Manifesto dei valori: “L’impresa sociale, il non profit, la cooperazione, il volontariato, l’iniziativa delle persone e delle comunità, devono essere messe in condizione, attraverso scelte politiche ed economiche adeguate, di collaborare con lo Stato per garantire i servizi necessari e la loro qualità”. L’elenco è quello tradizionale: l’impresa sociale, il non profit, la cooperazione, il volontariato.
Ma si riconosce un ruolo anche “all’iniziativa delle persone e delle comunità”, cioè a quelli che nella Costituzione sono invece chiamati “cittadini, singoli e associati”. E tutti questi soggetti (dunque anche i cittadini attivi, sia pure chiamati in altro modo), “devono essere messi in condizione, attraverso scelte politiche ed economiche adeguate, di collaborare con lo Stato per garantire i servizi necessari e la loro qualità”.

Volendo, qui si può sentire un’eco di quel “favoriscono” che costituisce uno dei punti essenziali dell’art. 118, ultimo comma della Costituzione. Ma è un’eco lontana, perché qui si parla di mettere questi soggetti "in condizione di collaborare con lo Stato", rimanendo dunque pur sempre all’interno del vecchio paradigma bipolare, mentre nella Costituzione si prevede che i soggetti pubblici sostengano le autonome iniziative dei cittadini volte alla cura dei beni comuni. Sono due prospettive ben diverse, culturalmente e politicamente.