La sentenza

La questione oggetto della statuizione la cui massima è proposta in epigrafe è stata originata da una convenzione in affidamento diretto di servizi in favore di un consorzio privato di cooperative (nella specie, servizi di informazione e consulenza per i diversamente abili), in un primo tempo, in via sperimentale, per il periodo giugno-novembre 2000 ed importo di £. 276.330.000, e poi, per il periodo novembre 2000 – gennaio 2001, per un importo di £. 436.000.000. La reiterazione della convenzione con lo stesso soggetto sarebbe stata giustificata, secondo l’ente pubblico, dallo ” scopo di evitare soluzione di continuità  nell’offerta del servizio ” .
La controversia, sottoposta al T.A.R. Lazio quando i contratti in contestazione avevano già  avuto completa esecuzione, offre l’occasione per soffermarsi su alcuni temi connessi all’attuazione del principio di sussidiarietà , ed in particolare sulle procedure di selezione dei soggetti chiamati a collaborare con le amministrazioni per la realizzazione di servizi di interesse generale.
Le argomentazioni utilizzate dalle parti e dal Tribunale nella propria decisione, infatti, attraverso la lettura della vicenda dell’affidamento diretto di attività  di servizi in favore di un consorzio privato di cooperative e la possibilità  di frazionamento degli appalti di servizi, mettono in luce le tensioni fra la discrezionalità  dell’amministrazione e l’applicazione delle regole dell’evidenza pubblica.

 Il commento

L’evidenza pubblica, come previsione di procedure formali per la selezione del soggetto privato interessato a diventare aggiudicatario di un appalto (nel nostro caso, di servizi), come noto, è strumentale all’attuazione di valori fondamentali, quali il buon andamento e l’imparzialità  dell’amministrazione e la libertà  di mercato.
Rispetto alle procedure ad evidenza pubblica, lo strumento convenzionale viene inteso, generalmente, come strumento più immediato e snello, se non altro perché nei casi in cui è ammesso risparmia all’amministrazione sia i passaggi formali, sia le scansioni temporali previste per le gare di appalto.
Tuttavia, proprio per bilanciare gli interessi contrastanti delle formazioni sociali – for profit e non profit – che possono essere interessate a svolgere i servizi programmati dalle pubbliche amministrazioni, sussistono limiti soggettivi (chi è ammesso a sottoscrivere convenzioni con la P.A.) ed oggettivi (corrispettivo dei servizi, c.d. ” soglia comunitaria ” ) che limitano la possibilità  di ricorrere allo strumento convenzionale.
L’attività  delle amministrazioni non sempre è coerente con tali limiti; inoltre, spesso il carattere non formale dello strumento convenzionale viene impropriamente utilizzato come un’occasione per sottrarsi ai principi costituzionali che regolano l’azione della pubblica amministrazione, sia essa di diritto pubblico o di diritto privato.
Al contrario, il legislatore ha predisposto lo strumento convenzionale per semplificare l’approccio, in particolare, del non profit alla P.A., ma pur sempre nel rispetto dei principi di trasparenza, buon andamento e di pari trattamento di tutti i soggetti interessati.
L’articolo 5 della legge n. 381 del 1991 prevede, infatti, una deroga all’applicazione della disciplina dei pubblici appalti, ma solo in favore delle cooperative sociali di tipo ” b ” , quelle, cioè, che si occupano dell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, e purché siano rispettate di tre condizioni: che si tratti di fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi; che l’importo dell’appalto sia sotto la soglia che obbliga gli stati membri ad applicare la disciplina comunitaria; che le convenzioni siano effettivamente finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. La norma, peraltro, cosìcome modificata dall’articolo 20, legge 6 febbraio 1996 n. 52, prevede la possibilità  di inserire la c.d. ” clausola sociale ” dell’inserimento lavorativo dei disabili anche negli appalti sopra la soglia comunitaria, anche se, in tali ipotesi, la partecipazione non può essere limitata alle sole società  cooperative d’utilità  sociale.
Nel commento che viene proposto in allegato, l’autore evidenzia, appunto, tali tensioni, illustrando, attraverso l’esame della decisione, come esse possano trovare soluzioni rispettose dei valori di riferimento, proponendo anche alcune indicazioni in ordine alla controversa questione del c.d. danno da perdita di chance.