Convegno di Fondazione Etica sull ' attuazione dell ' art 49 Cost.

Legge sui partiti: garanzie, responsabilità  e controlli per un necessario miglioramento.

Scopo dell’incontro era quello di riaccendere il dibattito sulla introduzione di una legislazione per la disciplina dei vita interna dei partiti e del loro finanziamento pubblico in attuazione dell’art. 49 della Cost..

I partiti e la Costituzione

Nella prima parte i lavori sono stati presieduti dal pres. Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale. Il pres. Onida ha introdotto la discussione ricordando che la legislazione sui partiti è sempre stata fuori dall’agenda politica e questo è accaduto soprattutto perchè i partiti hanno un doppio volto: da un lato, essi sono delle mere associazioni private; per altro verso, essi sono organizzazioni che operano a ridosso delle isituzioni e, dunque, finiscono con l’interferire sull’esercizio delle funzioni pubbliche.

La Corte costituzionale si è occupata dei partiti in due occasioni. Nella prima essa ha affermato che i partiti interferiscono non nella formazione degli organi collettivi, bensì sulla fase preliminare della formazione delle liste che deve riteneresi libera (vd. il caso della legge elettorale della Valle d’Aosta che introduceva quote rosa). Nella seconda occasione, la Corte ha chiarito che i partiti non hanno funzioni pubbliche e che dunque non possono essere "parti" nel procedimento di conflitto di attribuzioni (vd. il caso della Rosa nel Pugno).

Ma i partiti di oggi sono diversi da quelli di 6 anni fa. Non ci sono più le ideologie, il radicamento e il collateralismo che ha caratterizzato la forma partiti nei primi sessanta anni di storia della Repubblica italiana. Oggi i partiti sono qualcosa di diverso. E dunque si deve riproporre il problema della forma partito, nel momento in cui si registra un soffocamento della democrazia, della spontaneità e della dialettica sociale all’interno dei partiti.

Occorre pertanto domandarsi se i partiti meritino ancora una garanzia costituzionale e conseguentemente se essi possano ancora godere di questa protezione dalla intrusione della legge di cui hanno goduto finora.

Dopo la breve introduzione del pres. Onida si sono avvicendati i tre relatori.

Quale democrazia, quali partiti

Il prof. Leonardo Morlino (Istituto di alta formazione Sum) ha dato inizio alla sua riflessione politologica su partiti e qualità della democrazia, affermando che si può iniziare a rispondere ai quesiti proposti dal presidente Onida, solo se si comincia con l’analizzare le diverse tipologie di democrazie contemporanee e il ruolo che i partiti svolgono in esse.

Il punto di partenza comune è comunque che nessun grande paese libero opera senza partiti. Essi creano ordine dal caos della moltitudine di opinioni (Breiss). Ed è grazie ai partiti che i governati possono svolgere, sebbene in minima parte, un controllo sui governanti.

Poi, si possono avere diverse concezioni di democrazia: per alcuni può essere partecipativa, per altri rappresenta uno strumento di giustizia, può inoltre darsi una concezione deliberativa , e può infine essere intesa, come tradizionalmente è intesa, in senso liberale-rappresentativo.

Tuttavia, non considerando le differenti interpretazioni date, se ci si deve riferire ad un quadro normativo dato, bisogna analizzare ogni singolo sistema democratico secondo tre parametri di qualità democratica: gli aspetti procedurali; il contenuto, inteso come ideali di libertà, uguaglianza e solidarietà; il risultato da ottenere, inteso in termini di responsiveness.

In questo periodo storico l’analisi dovrebbe, peraltro, concentrarsi non sulla qualità, bensì sulla sovversione della qualità ad opera dei leaders. Secondo Morlino, vi sono una serie di dimensioni procedurali rilevanti, da cui non si può prescindere per meglio comprendere come sia possibile il rovesciamento di taluni aspetti della democrazia che riguardano il rapporto fra leaders ed elettori. Si tratta

In primis la supremazia della legge, quella che con terminologia anglosassone chiameremmo "rule of law”, cioè lo Stato di diritto. Un leader virtuoso dovrebbe evitare evitare la manipolazione nella applicazione della legge.

Non meno rilevante la responsabilità degli eletti nei confronti degli elettori. È su tale piano che si collocano sia la giustificazione alle azioni dei leader, che le informazioni ed i giudizi degli elettori stessi, spesso manipolati dall’uso distorto dei media.

Poi c’è la responsabilità interistituzionale, il cuore del discorso che gravita intorno alla democrazia è dato dall’opposizione parlamentare, la quale risulta inutile, qualora non venga esercitata in maniera equa e continua.

Interessante risulta anche il livello di partecipazione, che si differenzia fra i diversi schieramenti politici: nel centro-sinistra adesione ed interventi sembrano essere maggiori rispetto al centro-destra, caratterizzato da demotivazione e poca speranza nei confronti di possibili cambiamenti. Da qui la difficoltà dei leader nel trovare allineamenti disciplinati e leali.

Tale livello di interessamento e coinvolgimento è subordinato alla competizione politica che si viene a creare fra le parti e che dunque non può prescindere dal risultato.

Per concludere, Morlino afferma che i problemi principali della democrazia sono da una parte la capacità di comunicare i contenuti della politica e dall’altra la percezione che si ha di questi, dunque, solo mediante un atteggiamento normativo è possibile identificare e rispondere meglio ai bisogni dei cittadini e far emergere condizioni realmente funzionali alla collettività.

Rompiamo l’ipocrisia del finanziamento pubblico

Nella seconda relazione, il Prof. Angelo Maria Petroni (Università Sapienza di Roma) ha sottolineato che i partiti nella nostra democrazia di tipo rappresentativo non possono essere messi alla stregua delle istituzioni. Cioè, condizione necessaria affinché sussista la democrazia è la capacità dei partiti di concorrere e cogliere l’opinione pubblica durante il momento elettorale. Il ruolo delle istituzioni deve tendere invece alla rappresentazione di tutti i cittadini, e quindi presentarsi come momento comune.

Dunque, risulterebbe davvero inutile la semplice ratifica delle decisioni prese dai partiti, oggi ancora privi di una regolamentazione, e quindi di responsabilità, ma dotati di grande potere ed influenza a causa dell’“inganno” dei finanziamenti ai gruppi parlamentari. Pertanto, come uscire da una tale ipocrisia? Mediante l’adozione di una forma di finanziamento pubblico simile al modello tedesco. Tuttavia, poiché non esistono sistemi ottimali, anche quello tedesco non è perfetto, in quanto il finanziamento ai partiti è monopolio della mano pubblica, che deresponsabilizza i cittadini.

Dal finanziamento al rimborso

Il Prof. Valentino Larcinese (London school of economics) ha illustrato nel suo intervento il sistema inglese del rimborso pubblico per i parlamentari, affermando che quelli britannici ne fanno abuso. Mentre il salario lordo di un parlamentare italiano è sei volte maggiore rispetto al reddito procapite. Tuttavia, in Italia, chi più si fa rimborsare è più presente in Parlamento. Semplice dedurre che la democrazia ha dei costi.

Larcinese si chiede quanto rispetto al Pil di un paese si spenda in politica. Facendo un’analisi sugli Stati Uniti d’America l’economista ha individuato una serie di rischi: il finanziamento pubblico tende agli sprechi, a limitare la libertà d’espressione, all’immobilismo; quello privato causa corruzione, fa si che si dedichi troppo tempo alla raccolta fondi e crea disuguaglianza di accesso e opportunità per ipotetici rappresentanti. Pertanto, è preferibile un sistema misto in quanto buona parte delle democrazie liberali consolidate prevede forme di finanziamento pubblico affiancate alla raccolta privata di fondi.

Circa il rimborso ai partiti nell’anno 26, l’Italia ha erogato 2.. €, la Francia 73.. €, la Germania 133.. €, la Spagna 6.. € ed il Regno Unito 9.. €.

Per quanto riguarda la ripartizione dei fondi pubblici l’Italia ottiene 1 € all’anno per ogni potenziale elettore (minimo 1%), la Germania ,7 € per ogni voto effettivamente ricevuto (minimo .5 %) e nel Regno Unito i finanziamenti sono concessi prevalentemente all’opposizione (short money, minimo 2 parlamentari).
In rapporto a donazioni e qualità dei parlamentari non vi è alcuna correlazione fra la qualità dell’attività parlamentare e l’ammontare totale ricevuto in donazione. Al contrario vi è una correlazione molto alta fra qualità dell’attività parlamentare e ammontare ricevuto in piccole donazioni.

Larcinese ha messo a disposizione anche i dati relativi ai contributi privati illustrando le differenze nella regolazione in termini di soglie per l’obbligo di dichiarazione e gli incentivi di
Italia Nessuno 5 € detrazione 19 %
Germania Nessuno 1 € deduzione (165 € max) + matching grant
Francia 73 15 € detrazione 6 %
Regno Unito Nessuno 5 sterline nessuno
Stati Uniti Vari 2 dollari primary

In conclusione, rispetto ai valori analizzati, lo studioso ha affermato che in Italia vi è un sistema di finanziamento ai partiti costoso e poco chiaro, e che quindi bisognerebbe fare maggior attenzione alla trasparenza e alla concorrenza, così come si tende a fare nei mercati. Pertanto, sarebbe opportuno limitare le spese e ripensare il concetto di partecipazione incentivando le piccole donazioni private (matching funds come in Usa e Germania) ponendo dei limiti e rendendole più evidenti.

Riannodare il filo tra partiti e società civile

Antonio Gaudioso (Cittadinanzattiva) ha svolto un’analisi del rapporto di fiducia tra cittadini e politica che può rappresentare lo strumento per consentire la “capacità di render conto” (accountability), e quindi solo mediante un lavoro di coesione e collaborazione si può rendere il sistema partitico più comprensibile alla società civile.

In sostanza, offrire ai cittadini la possibilità di scegliere mediante una corretta e completa informazione attraverso due semplici meccanismi: un solido e chiaro sistema di finanziamento (es. 8×1 o 5×1) dando la possibilità di scelte disgiunte ed una maggiore conoscibilità delle fonti da cui provengono i sussidi.

Di fronte ad una mancanza di regolazione c’è il rischio che si vengano a creare situazioni in cui solo chi ha maggior possibilità economiche o detiene precise posizioni di potere può avanzare istanze non sempre legittime (come spesso accade a causa dei gruppi di interesse). Al contrario i cittadini debbono avere la libertà di sceglier candidati ed eletti (ad esempio introducendo il principio delle primarie) senza perdere la fiducia nella possibilità di rinnovarsi, anche mediante la mobilitazione civica.

Chi non vuole i partiti, non vuole la democrazia

Il Prof. Gregorio Gitti (Presidente di Fondazione Etica) ha concluso i lavori con una illuminante citazione di Norberto Bobbio: “Chi non vuole i partiti non vuole la democrazia”. Bobbio con questa affermazione ha voluto sottolineare tre indici che caratterizzano il nostro sistema politico: il classico principio elettivo; la verifica del consenso della responsabilità verticale, e quindi del rapporto eletto-elettore; la mobilità della classe politica.

Secondo la sua analisi, in Italia la democrazia non ha raggiunto un buon grado di evoluzione rispetto ad altri Paesi. Il suffragio universale ha implicato l’organizzazione di grandi masse, tuttavia oggi si assiste ad un mutamento del modo di operare delle forze politiche: non è tanto la struttura quanto le figure carismatiche che rappresentano il partito a creare adesione. Sorge dunque il problema della responsabilità, e cioè, la difficoltà di gestire la cosa pubblica sia da un punto di vista tecnico che politico.

Qualora gli operatori pongano in essere politiche senza oneri, allora è necessario difendere il concetto stesso di partito, e quindi la sua funzione ponderante fra attori politici e non. Solo in tal modo è possibile regolamentare mobilità e competizione interna secondo criteri meritocratici offrendo tutele e garanzie, nonché il bilancio delle risorse finanziarie necessarie per svolgere le loro funzioni.