I nostri primi 50 numeri, un traguardo ed un bilancio

Come è andata nel 2009 per la sussidiarietà  in Italia? Un bilancio settore per settore

Non era affatto scontato, quando l’8 gennaio 28 pubblicammo il primo numero di NeparlaLabsus, che saremmo riusciti a mantenere regolarmente il ritmo di uscita quindicinale fino a pubblicare questi primi 5 numeri.
Il merito di questo risultato, così come degli altri traguardi raggiunti da Labsus in questi anni, è principalmente dei giovani che fanno parte della redazione, del loro entusiasmo e della serietà e professionalità con cui aggiornano quotidianamente i contenuti del sito. Senza di loro Labsus non esisterebbe e quindi meritano un apprezzamento pubblico, tutti, sia quelli che sono con noi adesso sia quelli che lo sono stati in passato.

Facciamo il punto

Ma questo cinquantesimo numero della nostra newsletter è anche l’occasione per tracciare un bilancio sull’attuazione del principio di sussidiarietà in Italia nell’anno appena trascorso, che ci possa servire al tempo stesso anche come riferimento per le iniziative da adottare nell’anno appena iniziato.
Lo abbiamo fatto utilizzando come griglia concettuale i temi delle sezioni in cui si articolano i contenuti di Labsus, cercando di individuare per ciascun settore le tendenze più significative ed i punti di debolezza più preoccupanti.

La sussidiarietà c’è, ma non si vede

Per quanto riguarda i punti di debolezza, un primo elemento su cui riflettere ce lo segnalano Filippo Ozzola e Victoria Lauri analizzando le numerose esperienze di attuazione del principio da noi riportate nel 29. Usando le loro parole, il problema sta nel fatto che “la sussidiarietà c’è, ma è senza nome. La si vede, ma non la si riconosce”.
In altri termini, i cittadini sono effettivamente “soggetti della Costituzione” perché fanno vivere con le loro iniziative il principio introdotto dall’art. 118 ultimo comma. Ma “nonostante la ricchezza di esperienze raccolte anche nel 29, è palese come quasi nessuna di esse venga etichettata dai media (o da chi concretamente la vive) come sussidiarietà”.
Perché accade questo? Da un lato, c’è un problema di mancata informazione. Pochissimi oggi in Italia conoscono il principio di sussidiarietà e sono consapevoli del ruolo che esso potrebbe svolgere nel promuovere una nuova cittadinanza, attiva, responsabile e solidale. Labsus si è dato come missione proprio la diffusione e la promozione di questo progetto di società, ma il nostro impegno non basta da solo a colmare un vuoto di conoscenza di queste dimensioni.
Dall’altro lato, sempre con le parole di Ozzola e Lauri, “sulla mancata diffusione del concetto nell’opinione pubblica pesa, a quasi dieci anni dalla sua introduzione in Costituzione, l’essere rimasto ai margini dell’agenda politica nazionale”. Laddove invece, come dimostra l’esperienza della Regione Liguria, c’è lungimiranza politica, l’amministrazione condivisa fondata sulla sussidiarietà dà ottimi risultati.

Il legislatore regionale latita

Altri punti di debolezza emergono da un lato dal bilancio della legislazione in materia, dall’altro dal bilancio della giurisprudenza.
Per quanto riguarda la legislazione, soprattutto quella regionale, Daniele Donati sottolinea con preoccupazione “la perdurante assenza di interventi consistenti e organici di implementazione della disposizione di cui all’art. 118, u.c. Costituzione, i quali, anche indirettamente, attraverso l’azione interpretativa, possano contribuire a dare sistematicità, completezza e impulso definitivo alla applicazione dello stesso. Il continuo operare in norme di settore porta infatti ad una ‘costruzione’ non univoca e saltuaria della sussidiarietà, che fa paventare un duplice rischio: da una parte la norma di cui al 4° comma dell’art. 118 della Costituzione tende a divenire, non solo nella percezione degli studiosi e nelle statuizioni della giurisprudenza, ma anche nella considerazione delle amministrazioni, un predicato evanescente, astratto e del tutto teorico, un mero esercizio di stile del costituente del 21.
Dall’altra la stessa viene ad essere piegata alle più diverse finalità e coniugata in modelli di interazione tra amministrazione e cittadini che non solo si rivelano inefficaci, ma addirittura tendono a riproporre soluzioni (quali quelle tipiche dell’antagonismo tra pubblico e privato) oramai rese obsolete dai fatti e dall’evolvere del pensiero sociale”.

I giudici sono troppo timidi

Si è visto che i cittadini applicano, sia pure inconsapevolmente, il principio di sussidiarietà. Non si può dire lo stesso per i giudici. Come osserva Fabio Giglioni “il principio di sussidiarietà fatica a entrare nelle aule giudiziarie. Se lo fa, è per merito di alcuni giudici più sensibili che lo richiamano per rafforzare altre tesi basate su altri argomenti giuridici, mentre le parti e quindi gli avvocati sono molto restii a prenderlo in considerazione. Il dato appare significativo anche in considerazione dell’atteggiamento delle componenti giudiziarie che si è registrato negli anni precedenti: l’impressione è che si faccia meno uso di questo principio rispetto al recente passato”.
Peraltro va sottolineato che “proprio a fine 29 si è registrata la sentenza che più di altre ha utilizzato il principio di sussidiarietà per la risoluzione diretta di una controversia (Consiglio di Stato, n. 694 del 29). In questa decisione il giudice ha espressamente dichiarato il carattere giuridico del principio e ha osservato che i ricorsi amministrativi possono ben utilizzare questo principio per verificare la legittimità dell’uso del potere della pubblica amministrazione. Purtroppo, il Consiglio di Stato, avendo stabilito sul caso specifico che il principio era inutilizzabile, non ha fornito ulteriori elementi su come il principio possa rendersi misura del potere pubblico”. In sintesi, dice Giglioni, “dal 29 arrivano indicazioni sull’utilizzo del principio di sussidiarietà sconfortanti: si usa poco e quando si usa, si fa in termini riduttivi”.

Almeno la dottrina è consapevole

Se il legislatore e la giurisprudenza non sembrano aver ancora colto tutta la valenza innovativa del principio di sussidiarietà, in compenso, ci dice Silvia Vitelli, la dottrina mostra “consapevolezza della forte valenza innovatrice propria del principio di sussidiarietà, il quale costituisce una garanzia per il singolo individuo e consente la creazione di una più compiuta forma di democrazia, quale è la democrazia di prossimità”.
Il bilancio dei contributi dottrinali del 29 mette inoltre in evidenza i cambiamenti intervenuti nell’approccio della dottrina alla sussidiarietà. “Se, infatti, con l’introduzione del principio in esame nella Costituzione italiana nel 21, i primi commenti e le prime forme di analisi della tematica si incentravano su singoli settori in cui la sussidiarietà aveva già trovato applicazione a livello comunitario, come la tutela dell’ambiente, o in cui la sussidiarietà apriva interessanti scenari da esaminare, come l’ambito dei servizi socio-assistenziali, la più recente dottrina rinviene nella sussidiarietà un principio che esprime un vero e proprio valore che mira a plasmare la società, e per il suo inveramento richiede che le regole che ne sono alla base siano garantite attraverso la legislazione e l’amministrazione, al fine di evitare una lettura ‘neo-liberista’ del principio stesso che riduca la sussidiarietà a regola di sistema mirante a garantire l’efficienza dell’ordinamento e a consentire la recessione dello Stato da ambiti di intervento che vengono ‘lasciati’ ai privati”.
Anche dal bilancio della sezione Documenti emerge il ruolo innovativo del principio di sussidiarietà, soprattutto nell’ambito di esperienze di democrazia partecipativa e deliberativa. Lo dimostra l’analisi di quattro importanti documenti pubblicati nel 29 e riguardanti rispettivamente un progetto dell’Emilia Romagna, il report dello European Institute of Public Participation, le politiche giovanili e la European Active Citizenship.