L'esempio della Regione Emilia Romagna

La figura del "facilitatore" come una nuova opportunità  per l'attuazione del processo partecipativo

Le esperienze e le prassi che si sono sviluppate negli ultimi anni forniscono infatti un bagaglio importante che necessita però di un ulteriore riconoscimento e codificazione. Il consolidamento degli strumenti partecipativi richiede chiarezza negli obiettivi che si intendono raggiungere, l’individuazione degli attori da coinvolgere, la conoscenza degli strumenti a disposizione e la verifica dei risultati. Il testo è rivolto a decisori pubblici, funzionari, tecnici e stakeholder interessati ai temi della partecipazione, ma anche ad associazioni di settore o no-profit a singoli cittadini.

Perché coinvolgere?

Le motivazioni che spingono alla ricerca di un coinvolgimento dei cittadini sono sostanzialmente riconducibili alla crisi della democrazia rappresentativa e alla necessità di individuare nuovi modelli amministrativi che siano maggiormente in grado di fare fronte alla complessità dei problemi socio-economici, ambientali oggetto di decisioni pubbliche, davanti ai limiti degli strumenti decisionali tradizionali. Da questo punto di vista, problemi possono emergere sia sul fronte delle istituzioni con l’insorgenza della sindrome DAD (Decido-Annuncio-Difendo), NIMO (Not In My Office – Non di pertinenza del mio settore), che su quello dei cittadini, con la tipica sindrome NIMBY (Not in My Back Yard). L’esperienza dei processi partecipati condotti in Emilia Romagna ha permesso di individuare una serie di criticità che vanno dalla confusione generata dalla molteplicità degli strumenti messi a disposizione alla “formalità” del processo partecipativo. Spesso le amministrazioni si limitano a coinvolgere i cittadini o la società civile organizzata solo dopo aver avviato un processo decisionale, generando aspettative che sono destinate a rimanere deluse.

Quando coinvolgere?

È opinione condivisa che la partecipazione può essere attivata nelle diverse fasi del ciclo di vita di un processo decisionale, assumendo, di volta in volta, un significato particolare e producendo effetti differenti.

In particolare, i diversi livelli di partecipazione possono essere individuati in:

– informazione: l’ente promotore del processo fornisce indicazioni su una politica o un progetto che intende realizzare. L’analisi, le valutazioni e le decisioni sono già state effettuate; gli attori coinvolti hanno solo l’opportunità di essere informati;

– consultazione: gli attori sono ascoltati e hanno l’opportunità di influenzare le decisioni, tramite le informazioni e le opinioni che forniscono;

– progettazione partecipata: l’analisi dei problemi e l’elaborazione di soluzioni sono definiti congiuntamente dai vari attori e dall’ente pubblico che promuove il processo/progetto. Le decisioni per la loro realizzazione sono di tipo multisettoriale in base a competenze, risorse e responsabilità: alcune da parte dell’ente promotore, altre da parte dei singoli attori che hanno partecipato, altre in partnership;

– empowerment: gli attori hanno diverse capacità per gestire autonomamente progetti/azioni a cui hanno concorso, spesso in collaborazione con l’ente pubblico, e di influenzare una decisione pubblica.

La ricerca condotta sulle esperienze partecipative in Emilia Romagna ha evidenziato che di solito il livello maggiormente diffuso è quello della consultazione.

Chi coinvolgere?

In una prospettiva ampia la gamma degli attori da coinvolgere è pressoché illimitata. In realtà, è difficile materialmente riuscire a coinvolgere “tutti”, su ogni singola decisione di carattere pubblico. In genere per individuare i soggetti da coinvolgere si utilizza il termine anglosassone “stakeholders” per indicare tutti “gli aventi un interesse in …”, dalla società civile organizzata ai singoli cittadini. Più frequentemente avviene un’auto-selezione da parte sia dei cittadini che delle associazioni di interesse settoriale o generale.

Al fine dell’individuazione degli interlocutori è di fondamentale importanza una mappatura degli attori locali/stakeholders da coinvolgere sui diversi temi.
L’individuazione dei soggetti da coinvolgere pone inoltre delle questioni sostanziali sul piano della loro rappresentatività e di conseguenza della legittimità dell’intero processo partecipativo.

Come coinvolgere?

Il “come” coinvolgere rimanda alla necessità di attuare un piano di comunicazione che accompagni tutte le fasi del processo partecipativo e che superi l’approccio unidirezionale nella ricerca di un’interazione coordinata e protratta nel tempo.

A questo proposito le figure tradizionali, politiche o tecniche non sono più sufficienti, ma diventa necessario il ricorso ad un “facilitatore”, in grado di avviare e condurre un processo partecipativo maggiormente inclusivo. “Il facilitatore ha il compito di accompagnare le attività, senza intervenire nel merito delle questioni affrontate, ma scandendo i ritmi e i tempi di lavoro, facendo rispettare l’agenda dei lavori, proponendo modalità e domande di lavoro, visualizzando in diretta gli interventi, predisponendo report con i contributi di tutti i partecipanti e garantendo a ogni persona di esprimere le proprie opinioni e di confrontarsi alla pari con gli altri partecipanti. In particolari processi, il facilitatore assume anche funzione di mediatore e negoziatore”. Il facilitatore può appartenere all’amministrazione proponente il processo partecipativo oppure può essere una figura esterna.

Democrazia partecipativa: dalla sperimentazione alla codificazione?

La descrizione analitica delle diverse fasi di un processo partecipativo e l’analisi delle diverse esperienze realizzate in Emilia Romagna contenuti nel rapporto, evidenziano l’esigenza di una maggiore strutturazione delle pratiche partecipative che, superato un periodo che si potrebbe definire sperimentale, si avviano verso una progressiva istituzionalizzazione.

Da questo punto di vista, la Regione Emilia Romagna si avvale, al pari di altre regioni italiane, di una legislazione avanzata sul tema delle pratiche partecipative. Esistono infatti strumenti previsti dalla normativa vigente (le attività delle Circoscrizioni di quartiere, l’accesso agli atti amministrativi, gli URP, i referendum consultivi, le petizioni e le istanze popolari, le iniziative di legge popolare, le consulte comunali tematiche, le sedute aperte del consiglio comunale o provinciale su singoli temi), ma anche strumenti di partecipazione volontari, promossi da Amministrazioni locali e da altri organizzazioni senza particolari procedure amministrative o tempi stabiliti da legge o normative. Entrambi possono essere più o meno codificati sul piano delle metodologie impiegate che vanno dal Town Meeting allo European Awareness Scenario Workshop (EASW), dalla Citizens Jury al World Café, solo per citare i più noti.

Partecipazione dal basso o coinvolgimento dall’alto?

La ricca analisi dei casi e delle tecniche contenuta nel rapporto sottolinea lo spostamento del punto d’osservazione dal ruolo della società civile a quello degli amministratori, evidenziando l’esigenza del cambiamento della cultura amministrativa quale elemento fondamentale per l’attuazione della democrazia partecipativa.

Tale aspetto riconduce però ad un interrogativo di fondo che da una parte chiama in causa il dibattito sul rapporto tra democrazia partecipativa e principio di sussidiarietà e dall’altra coinvolge la direzione che dovrebbero assumere i processi partecipativi (top down o bottom up). I due aspetti sono tra loro interrelati più di quanto possa a prima vista sembrare. I processi partecipativi devono essere avviati dalle amministrazioni, che restano libere di scegliere le modalità più opportune, i tempi e le aree tematiche o devono costituire un processo inclusivo che investe trasversalmente ogni processo decisionale? Il superamento di una fase pionieristica nelle pratiche partecipative sembra rivolto a dare una risposta a tale interrogativo che passi inevitabilmente attraverso la ridefinizione dei rapporti tra cittadini e istituzioni. Solo in questo modo infatti sarà possibile parlare di un nuovo modello di democrazia, capace di integrare i limiti attuali della democrazia rappresentativa.