Sulla competenza legislativa statale e sulla concorrenza nel SII

La Corte asseconda la logica statale omologante e pro-concorrenziale

La sentenza

La Corte costituzionale ha pronunciato la seguente sentenza nel giudizio di legittimità  costituzionale dell’articolo 49, commi 1 e 4, della legge regionale 18 della Lombardia dell’ 8 agosto del 26, che ha apportato alla legge regionale 26 del 12 dicembre 23 alcune modifiche ritenute illegittime dal Governo.
Il comma 1 dell’articolo 49 della legge regionale, dispone che «l’Autorità  organizza il servizio idrico integrato a livello di ambito separando obbligatoriamente l’attività  di gestione delle reti dall’attività  di erogazione dei servizi. Tale obbligo di separazione non si applica all’Autorità  dell’ambito della città  di Milano, che organizza il servizio secondo modalità  gestionali indicate dall’articolo 2 ».
La difesa erariale ritiene che la previsione della obbligatoria separazione dell’attività  di gestione delle reti da quella di erogazione dei servizi sia in contrasto con gli articoli 114, 117, secondo comma, lettera p), e 119 della Costituzione, in relazione ai principi fondamentali di cui all’articolo 113 del decreto legislativo 267 del 18 agosto 2, ” Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali ” ed agli articoli 143, 147, 148, 15, 151, 153 e 176 del decreto legislativo 152 del 3 aprile 26, ” Norme in materia ambientale ” .
L’Avvocatura richiama, tra gli altri, l’articolo 153 del medesimo decreto legislativo. Tale disposizione comproverebbe il principio della unità  della gestione delle reti e del servizio idrico. Unità  che, per l’Avvocatura, sarebbe «di fondamentale importanza, in quanto l’obbligo, a carico del gestore, della manutenzione ordinaria e straordinaria delle reti » sarebbe «posto a tutela della qualità  della risorsa idrica fornita e quindi della salute pubblica oltre che di ciascun utente, prevenendo qualsiasi ipotesi di trasferimento della relativa responsabilità  dal soggetto obbligato alla manutenzione all’ente proprietario della rete »
L’altra norma impugnata e cioè il comma 4 dell’articolo 49 della legge regionale, nel testo risultante dall’impugnata legge di modifica, prevede che «l’affidamento dell’erogazione, cosìcome definita dall’articolo 2, comma 5, avviene con le modalità  di cui alla lettera a) del comma 5 dell’articolo 113 del decreto legislativo 267 del 2. Il Presidente del consiglio dei ministri ritiene che la disposizione, nello stabilire che l’affidamento del servizio di erogazione possa avvenire solo con la modalità  della gara pubblica, escludendo, pertanto, che possa avvenire anche secondo le modalità  della società  a capitale misto pubblico-privato ovvero della società  a capitale interamente pubblico, previste dalle lettere b) e c) del medesimo comma 5, violerebbe la disciplina dettata dallo Stato, nell’esercizio della sua competenza legislativa in materia di tutela della concorrenza ex articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.
La Regione individua profili di inammissibilità  del ricorso richiamando i principi affermati dalle sentenze numero 29 del 26 e n. 272 del 24 della Corte costituzionale, ravvisando la competenza residuale delle Regioni, in materia di servizi pubblici locali di cui all’articolo 117, quarto comma, della Costituzione. Sostiene, quindi, che l’impugnato articolo 49, comma 1, non sarebbe in alcun modo lesivo dell’autonomia degli enti locali né eccederebbe la competenza legislativa regionale.
La separazione della gestione della rete da quella dell’erogazione del servizio sarebbe pienamente legittima, in quanto, il principio della unicità  territoriale della gestione sarebbe da intendersi come unitarietà  della stessa all’interno di ciascun ambito ottimale e, pertanto, come necessità  di superamento di ogni frammentazione orizzontale tra gestioni all’interno dell’ambito ottimale.
Si aggiunge, per la Regione, la previsione dell’articolo 49, comma 1, come sostituito dall’art. 6 della legge regionale 1 del 29, per il quale, in caso di affidamento congiunto della gestione della rete e della erogazione del servizio ad unico soggetto, questo viene individuato, ai sensi dell’articolo 49, comma 3, della medesima legge. Questa prevede che tra «società  partecipate esclusivamente e direttamente dai comuni o altri enti locali compresi nell’ambito territoriale ottimale, a condizione che gli stessi esercitino sulla società  un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società  realizzi la parte più importante della propria attività  con l’ente o gli enti locali che la controllano » ovvero tra «imprese idonee da individuare mediante procedure a evidenza pubblica ». Vi sarebbe, perciò, perfetta compatibilità  (ed anzi sovrapponibilità ) tra la disciplina regionale e quella invocata dallo Stato, quale norma interposta asseritamente violata, di cui all’articolo 113 del decreto legislativo 267 del 2.
In ordine alla censura relativa al comma 4 dell’articolo 49, la difesa regionale sostiene che la legislazione statale di settore non imporrebbe affatto tutti e tre i modelli di affidamento astrattamente prefigurati dal comma 5 dell’articolo 113 del decreto legislativo 267 del 2, rimettendo, invece, al legislatore regionale la scelta su quale opzione seguire. Peraltro, per la Regione, la previsione contestata sarebbe comunque legittima, in quanto tesa ad introdurre un regime, quello della gara pubblica, più concorrenziale rispetto alla corrispondente norma di legge statale. La limitazione delle modalità  di affidamento della erogazione del servizio idrico integrato alla sola gara pubblica non sarebbe per la Regione neppure lesiva dell’autonomia degli enti locali né toccherebbe le loro funzioni fondamentali.
La Corte osserva che la relativa disciplina statale è stata dettata, essenzialmente, dal decreto legislativo 152 del 26, il cui articolo 141 evidenzia come lo Stato, per regolare tale oggetto, abbia fatto ricorso a sue competenze esclusive in una pluralità  di materie: funzioni fondamentali degli enti locali, concorrenza, tutela dell’ambiente, determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni. Il decreto legislativo 152 del 26, non prevede né espressamente né implicitamente la possibilità  di separazione della gestione della rete idrica da quella di erogazione del servizio idrico, ma, secondo il parere della Corte, sono riscontrabili chiari elementi normativi nel senso della loro non separabilità . Le Regioni devono osservare, in sede di modifica delle delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per migliorare la gestione del servizio idrico integrato, oltre i principi di efficienza, efficacia ed economicità , soprattutto quello di «unicità  della gestione e, comunque, del superamento della frammentazione verticale delle gestioni.
Secondo la Corte, l’espressione «unicità  della gestione » deve essere sostituita con quella di «unitarietà  della gestione ».E’ infatti evidente che parlare di «unitarietà  », anziché di «unicità  » delle gestioni, non consente l’interpretazione del principio nel senso della separazione delle gestioni stesse. Le due gestioni, quella delle reti e quella dell’erogazione, alla luce della sopravvenuta disciplina statale, potranno anche essere affidate entrambe a più soggetti coordinati e collegati fra loro, ma non potranno mai fare capo a due organizzazioni separate e distinte
La disciplina statale di settore, non consentendo la separabilità , è riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato in materia di funzioni fondamentali dei comuni (articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione). Infatti, le competenze comunali in ordine al servizio idrico sia per ragioni storico-normative sia per l’evidente essenzialità  di questo alla vita associata delle comunità  stabilite nei territori comunali devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali, la cui disciplina è stata affidata alla competenza esclusiva dello Stato dall’articolo 117 della Costituzione.
Ciò non toglie, ovviamente, che la competenza in materia di servizi pubblici locali resti una competenza regionale, la quale, risulta in un certo senso limitata dalla competenza statale suddetta, ma può continuare ad essere esercitata negli altri settori, nonché in quello dei servizi fondamentali, purché non sia in contrasto con quanto stabilito dalle leggi statali.
Le questioni sollevate in ordine al comma 4 del medesimo articolo 49 sono, invece, non fondate per la Corte.
Le modalità  di affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica sono regolate, in via generale, dall’art. 113 del decreto legislativo 267 del 2 e dall’articolo 23-bis del decreto-legge numero 112 del 28, convertito nella legge numero 133 del 28. Norme entrambe emanate nell’esercizio della competenza statale in materia di tutela della concorrenza di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione (cfr. sentenza numero 272 del 24). Secondo la Corte, la regolamentazione di tali modalità  non riguarda un dato strutturale del servizio né profili funzionali degli enti locali ad esso interessati ma concerne l’assetto competitivo da dare al mercato di riferimento. In conseguenza, al fine di garantire una maggiore concorrenzialità  dei relativi mercati la successiva disciplina recata, ha previsto la necessità  della gara pubblica per l’affidamento del servizio pubblico locale a rilevanza economica, limitando ulteriormente e sempre con il rispetto delle norme comunitarie il ricorso a forme di affidamento differenti. La Corte sostiene, infine, ” Le norme statali, tanto quelle vigenti all’epoca dei fatti, quanto le attuali, sono, come si nota, meno rigorose di quelle poste dalla Regione. Al riguardo, deve considerarsi che la Costituzione pone il principio, insieme oggettivo e finalistico, della tutela della concorrenza, e si deve, pertanto, ritenere che le norme impugnate, in quanto più rigorose delle norme interposte statali, ed in quanto emanate nell’esercizio di una competenza residuale propria delle Regioni, quella relativa ai ” servizi pubblici locali ” , non possono essere ritenute in contrasto con la Costituzione ” .

Il commento

La sentenza in commento stabilisce che il servizio idrico integrato ricade fra i servizi pubblici locali a rilevanza economica e il legislatore regionale può intervenire in termini di ” promozione ” della concorrenza.
Per ciò che attiene alla separazione della gestione del servizio idrico integrato, la Corte affronta il problema sotto il profilo della materia attinente alle funzioni fondamentali degli enti locali, ex articolo 117, comma secondo, lettera p, della Costituzione, richiamando il c.d. ” criterio storico ” , affermando che «sia per ragioni storico-normative sia per l’evidente essenzialità  di questo alla vita associata delle comunità  stabilite nei territori comunali devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali ». Il problema rimane quindi legato al riparto di competenze tra Stato e Regioni, stabilendo, con la decisione in commento, un limite al legislatore regionale di assoggettamento alla disciplina statale di natura organizzativa. Il principio di ” unitarietà  ” della gestione del servizio, è considerato dalla Corte fondamentale per «unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell’intero Paese … che, in definitiva, esprimono un carattere unitario », non ammettendo quindi alcuna possibilità  di separazione della gestione ed erogazione del servizio idrico integrato.
La Corte ha precisato che la regolamentazione delle modalità  di affidamento del servizio idrico integrato non concerne i profili strutturali del servizio né i profili funzionali degli enti locali, ma «l’assetto competitivo da dare al mercato di riferimento », secondo la disposizione costituzionale dell’articolo 117, comma secondo, lettera e, quindi alla tutela della concorrenza. La tutela della concorrenza, in linea con il diritto comunitario «giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali ». La potestà  legislativa delle Regioni può continuare ad esplicarsi, quindi, solo se l’intervento è di tipo ” pro concorrenziale ” .
Questa impostazione, secondo la quale è la competenza statale a prevalere, sembra, però, contraddetta nel momento in cui la Corte argomenta la legittimità  del comma 4 dell’articolo 49 della legge regionale.
La norma, con riferimento all’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, compreso il servizio di erogazione idrica, consente, in parziale difformità  dalla disciplina statale, solo l’affidamento mediante gara pubblica, essendo consentito alla Regione dettare norme che tutelano più intensamente la concorrenza, rispetto a quelle poste dallo Stato.
E` pertanto ritenuta irrilevante, secondo la Corte, la competenza statale di cui all’articolo 117, comma 2, lettera p), concernente le funzioni fondamentali.
Le considerazioni da farsi a questo punto sono di duplice natura, la prima relativa alla competenza tra Stato e regioni in materia di gestione del servizio idrico, quindi di un bene comune e non commerciabile quale l’acqua. La sentenza in commento si pone in netto contrasto con questo principio nel momento in cui, ammettendo competenza statale (nello specifico alla tutela della concorrenza) e lasciando solo in via residuale la potestà  regionale, asseconda la logica del ” pro concorrenziale ” .
In secondo luogo, la decisione in commento riconosce la legittimità  di una disposizione regionale che, in deroga alla legge statale, ammette, per l’affidamento di un servizio pubblico di rilevanza economica, unicamente il ricorso alla gara pubblica. Escludendo sia l’affidamento cd. in house sia quello alla società  mista, la Corte asseconda, anche se indirettamente, la logica privatistica ad operare secondo l’obiettivo del mero profitto.
In conclusione si può sostenere che in questa sentenza viene confermata una posizione che sposta l’ago della bilancia nel senso della gestione privata del servizio idrico, negando quelle che sono le possibili soluzioni c.d. di ” gestione civica ” della risorsa (vedi caso Mezzana Montaldo in questa rivista), pregiudicando anche le politiche volte all’uso sostenibile della risorsa con il coinvolgimento del cittadino.
Il punto è che oltre alla affermazione del bene acqua come bene comune, la sua gestione comprende una serie di problematiche che si riflettono sulla vita dei cittadini. E’ necessario quindi considerare il problema sotto il profilo del modo in cui la risorsa viene gestita, al fine di garantire l’attivazione di meccanismi di controllo per assicurare la qualità  del servizio. Infatti se si tratta di un bene economico da gestire, l’interesse del privato sarà  quello del ” più acqua vendo più guadagno ” e non della garanzia di una gestione oculata.
La Corte ha confermato, col suo giudizio di omologarsi alla logica del mercato, oltre che i timori e le critiche in merito al decreto Ronchi.



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