Il decreto sicurezza fallisce nel resto della penisola

Il decreto sicurezza sembra aver fatto presa nella piccola cittadina ligure, ma non nel resto del Paese

Il decreto ministeriale (8 agosto 29) aveva inteso disciplinare le ronde fai da te, con l’istituzione di specifici albi prefettizi a cui le associazione di volontari avrebbero potuto iscriversi rispettando, però, determinati requisiti, quali: "a) svolgere la propria attività gratuitamente e senza fini di lucro, anche indiretto; b) non essere espressione di partiti o movimenti politici, né di organizzazioni sindacali né essere ad alcun titolo riconducibili a questi; c) non essere ad alcun titolo collegate a tifoserie organizzate; d) non essere riconducibili a movimenti, associazioni o gruppi organizzati; e) non essere comunque destinatarie anche indirettamente, di risorse economiche; f) individuare gli associati destinati a svolgere attività di segnalazione (…)". Questo è quanto previsto dal decreto Maroni, ma nella realtà dei fatti sono state ben poche le associazioni che hanno richiesto alle prefetture locali l’iscrizione. E’ bene ricordare, inoltre, che lo scorso 24 giugno la Corte costituzionale ha bocciato parte delle norme sulle ronde, ovverosia quella relativa al "disagio sociale" per contrasto con l’articolo 117 della Costituzione, quarto comma. Si tratterebbe, infatti, di una materia riconducibile alla competenza legislativa residuale delle Regioni: i servizi sociali. Per cui le associazioni possono segnalare alla polizia locale situazioni potenzialmente rischiose solo "per la sicurezza urbana" e non anche situazioni di "disagio sociale". Ma ad un anno circa di distanza dal decreto cosa è successo?

I numeri delle ronde

Secondo i dati delle prefetture e dei sindacati delle forze dell’ordine, prima del decreto si registravano circa 7 ronde (di cui 17 in Lombardia e 1 in Veneto), trascorso un anno ed un mese i dati fanno parlare di una debacle per il "sistema ronde". Infatti le associazione che di fatto hanno richiesto l’iscrizione sono: una a Treviso, una a Milano e un’altra a Bolzano, mentre a Roma, il questore Francesco Tagliente, informa che non vi è al momento "alcuna costituzione di liste presso la prefettura". Mentre Varese è la prima provincia lombarda a organizzare un vero e proprio corso di formazione per rondisti che mira a fornire agli aspiranti osservatori le conoscenze base sugli "aspetti legislativi, modalità di controllo del territorio, primo intervento sanitario e aspetti psicologici". Al termine del corso obbligatorio sarà rilasciato un attestato di frequenza e l’autorizzazione ad agire sul territorio. I volontari si impegneranno a segnalare alle forze dell’ordine locale situazioni pericolose grazie ai cellulari in dotazione, l’unica "arma" concessa. Gli "Angeli urbani" (attivi da quattro anni – guarda il video) e la "Amoruso solidarietà, aiuto e sicurezza" (leggi anche qui) che opererà a Cocquio Trevisago sono, invece, le prime due associazioni autorizzate nel varesotto mentre altre cinque sono alle battute finali per l’effettivo riconoscimento (nella foto l’associazione "Angeli urbani").

Varazze fuori dal coro

Il decreto ministeriale nella piccola cittadina ligure sembra aver fatto presa. I rondisti sono stati formati con un corso ad hoc tenuto dai vigili urbani e sono regolarmente autorizzati da Comune e prefettura. Con soddisfazione Giacomo Rolletti, assessore comunale di Varazze, ricorda "Siamo gli unici in Italia a essere già operativi con l’imprinting della prefettura e il ministro Maroni ci ha fatto i complimenti". La ronda si compone di otto ex carabinieri in congedo tra cui l’ex-maresciallo della cittadina. Giovanni Delfino, sindaco di Varazze, spiega "i nostri volontari sono attivi dal gennaio 21 (…) sorvegliano l’ingresso di scuole ed asili, indicano ai vigili eventuali venditori abusivi e controllano il lungomare Europa, dove si sono verificati alcuni tentativi di violenza su donne".

Secondo lo stesso sindaco, però, il motivo per cui negli altri comuni italiani non si registrano esperienze del genere deriva, probabilmente, dal fatto che vengono richiesti requisiti troppo rigidi per l’iscrizione nonché "adempimenti formali e controlli molto complicati e questo può aver scoraggiato altri comuni". Dello stesso avviso è il presidente dell’associazione sindacale dei funzionari prefettizi, Anna Palombi che però fornisce anche una seconda motivazione. Il decreto prevedeva sei mesi di transizione fino all’8 febbraio 21, in questo lasso di tempo le associazioni già attive avrebbero potuto continuare a svolgere le proprie attività senza formale autorizzazione. Allo scadere del termine, però, la gran parte di esse non ha fatto richiesta di iscrizione pur continuando ad operare. Tra queste, ad esempio, il caso più noto è quello dei City Angels di cui Labsus ha già avuto modo di occuparsi.

Quando si parla di ronde e di sicurezza urbana il confine tra ciò che è bene comune da tutelare e ordine pubblico è labile, ed è rischioso confondere i due termini. Il pericolo è quello di perdere di vista qual è il compito delle istituzioni e quale quello dei cittadini attivi. Sono le istituzioni a dover garantire l’ordine pubblico, mentre i cittadini possono prendersi cura della sicurezza urbana, invece, che è il bene comune immateriale in questo caso (1).

Probabilmente, infine, lo scarso "appeal" della normativa deriva anche da una questione terminologica. Molte associazioni non si considerano "osservatori volontari della sicurezza", perchè questo significherebbe circoscrivere il proprio raggio d’azione ad un unico ambito. Il termine stesso "ronde" è errato. La letteratura internazionale offre vari spunti di riflessione in tal senso (2). Si distingue, infatti, tra Neighborhood watch, Citizen patrols o Vigilantes groups: nel caso del Neighborhood watch i cittadini sono disarmati e senza poteri di polizia, segnalano solo situazioni pericolose o potenzialmente tali; mentre nel caso dei Citizen patrols o Vigilantes groups, si tratta di cittadini che hanno dei veri e propri poteri di intervento, che vanno dall’identificazione di soggetti sospetti all’arresto degli stessi. Nel caso italiano, dunque, si dovrebbe parlare di Neighborhood watch e non di ronde. Tra l’altro sono gli stessi volontari a precisare di non essere dei "rambo".
A fronte dell’attuale flop delle ronde il ministro Roberto Maroni ha fatto sapere che entro la fine dell’anno sarà rivista la normativa "per valutare cosa funziona e cosa no".

(1) Cfr. Editoriale di Gregorio Arena: "La sicurezza è un bene comune di cui i cittadini possono prendersi cura".
(2) Cfr. “Oltre le ordinanze. I sindaci e la sicurezza urbana”, seconda edizione 29, Cittalia – Fondazione Anci ricerche, capitolo 6: La cittadinanza attiva e le politiche locali della sicurezza (curato dalla Fondazione Fondaca) pag. 181.