Un nuovo modo di vivere il rapporto Stato-società  civile?

"Meno Stato più società  civile", non significa abdicazione dello Stato ma un nuovo modo di lavorare insieme

Sulle pagine di questa rivista ci siamo spesso occupati della Big Society, evidenziandone lo spirito innovatore, le criticità e le difficoltà di attuazione, ma anche i punti di contatto con il principio di sussidiarietà. Al momento è difficile dire se la Big Society sia l’ultima versione in ordine di tempo dello “Stato minimo” o una formula politica per giustificare agli occhi dei cittadini i tagli alla spesa pubblica resi necessari dalla crisi economica; è anche difficile stabilire confronti tra realtà nazionali molto diverse tra loro sia per tradizioni civiche che per cultura politica. Rimane il fatto che essa si presenta come un grande cambiamento culturale, la cui attuazione non può prescindere da un ruolo forte giocato dallo Stato nel ridefinire i rapporti con i cittadini e la società nel suo insieme.

Un paese bloccato

Nella relazione introduttiva il presidente della Fondazione Roma Emmanuele Francesco Maria Emanuele ha tracciato un quadro dell’attuale crisi economica, sottolineando che si tratta di una crisi epocale, riconducibile non solo all’economia e alla tecnologia, che non sono più in grado di dare risposte adeguate ai problemi, ma anche ai nuovi equilibri geopolitici globali.

In questo contesto l’Italia risulta essere un paese bloccato all’interno di un assetto politico, economico e sociale definito negli anni Settanta e caratterizzato in particolare da un micro capitalismo sul piano economico e dal ruolo della famiglia sul piano sociale. Allo stesso tempo, il terzo pilastro, rappresentato dal Terzo Settore ha costituito un tertium genus rispetto allo Stato ed al privato, dal forte potenziale innovativo.
Come sottolineato dal Presidente Emanuele, la classe politica italiana ha però da sempre avversato questo mondo; la cittadinanza attiva è sempre stata vista come concorrente dello Stato, e non come un’alleata.

Come ci vedono

L’intervento di Bill Emmott, economista e scrittore e per diversi anni direttore dell’Economist, si è soffermato su un’analisi del paese in rapporto allo scenario mondiale. Il punto di forza dell’Italia è, secondo l’autore, una miscela di creatività e flessibilità che in passato ha permesso al paese di reagire ai cambiamenti. Attualmente invece il sistema si è irrigidito, anche a causa di un apparato statale paralizzato e incapace di trovare soluzioni ai problemi. La ricetta consiste nel ridurre il ruolo dello Stato, ma secondo una logica diversa da quella neoliberista. Non si tratta infatti di una rivisitazione della politica del “laissez-faire”, ma di un riequilibrio dei ruoli reciproci dello Stato e della società.

Di diversa natura l’intervento del sociologo francese Michel Maffesoli, il quale ha delineato il clima culturale all’interno del quale tali cambiamenti si inscrivono. Attraverso la metafora dei cambiamenti climatici, ha parlato infatti di un “cambiamento climatico nel modo di pensare” che mette in crisi la vita delle istituzioni create nel XIX secolo, quale prodotto del processo di occidentalizzazione del mondo. Il progresso, il potere e la struttura verticale della società giungono ad un punto di saturazione nel quale gli elementi che compongono il sociale si disgregano e riaggregano secondo forme diverse.

La voce della società civile: il privato sociale e il volontariato

L’intervento di Giuseppe Cornetto Bourlot Presidente Ucid – Roma si è soffermato ad analizzare il ruolo dei tre grandi attori del cambiamento: le imprese, lo Stato e i cittadini, tutti chiamati a svolgere un nuovo ruolo nella società.
Di grande interesse l’intervento di Cristina De Luca, Presidente Coge – Lazio che ha evidenziato come il ruolo del volontariato nella società italiana sia stato quello di trovare su determinate questioni delle risposte che poi sono state fatte proprie dallo Stato. È importante pertanto che esso non perda questa sua capacità innovatrice, spesso messa in crisi da una serie di difficoltà che caratterizzano il rapporto tra lo Stato e la società civile:

  1. la trappola di diventare un sostituto dello Stato, perdendo in capacità di sperimentazione e innovazione;
  2. i rischi di instaurare un rapporto di mutua dipendenza tra Stato e società civile: il primo ha bisogno di servizi e la seconda di risorse. Non è questo il modo di vivere questo rapporto;
  3. la distorta attuazione del principio di sussidiarietà, che rischia di tradursi in una delega in bianco ai privati;
  4. lo scarso interesse dimostrato dai giovani per il volontariato, elemento questo che rischia di mettere in discussione il futuro di questo settore.

Alla luce di tutto ciò, lo slogan “Meno stato, più società civile” non significa l’abdicazione dello Stato, ma la ricerca di un modo nuovo in cui Stato e società civile possonoi lavorare insieme.

L’eccezionalità italiana

Giuseppe De Rita, forte della sua esperienza pluriennale al vertice del Censis, ha ricostruito lo spaccato di un paese che non può più essere descritto in termini di un unico modello di società, piccola o grande che sia, ma che si presenta fortemente radicato nelle sue dimensioni territoriali, caratterizzate da un forte spirito di comunità. L’eccezionalità del caso italiano, lo rende difficilmente confrontabile con altre esperienze europee, nel momento in cui i suoi punti di forza possono anche diventare le sue debolezze.

Sul fronte delle analisi comparative, Mauro Magatti preside della Facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano, ha lanciato una serie di spunti di riflessione, che aiutano a comprendere meglio la particolarità del caso italiano:

  • la Big Society segna la ricerca propria del mondo anglosassone di un’esigenza culturale di fondo: costruire un altro immaginario della libertà, in una fase di transizione che ha ridefinito il rapporto fra individuo, società, istituzioni. Su fronti politici diversi, Obama e Cameron sono entrambi impegnati in questa ricerca.
  • La ricerca nel caso italiano di un equilibrio nuovo tra particolare e universale a partire da una tradizione di fondo che ha da sempre valorizzato la dimensione locale dell’agire, ma che ha prodotto anche due patologie: l’ottusità localistica e il familismo amorale.

Politica e imprese: la capacità di progettare il futuro

In un convegno sul futuro assetto della società italiana non potevano mancare le esperienze del mondo imprenditoriale nella persona di Luca Cordero di Montezemolo e della politica, rappresentata dal senatore Francesco Rutelli. Entrambi hanno sottolineato la necessità da parte dello Stato di fare un passo indietro, ma non prima di aver fissato le regole e dato stabilità alla società civile.

Da questo punto di vista, la riduzione del 5×1 è un segnale controcorrente da parte di uno stato che abdica al suo ruolo di guida, privando la società civile di un importante strumento di progettazione.
Forte il richiamo di Montezemolo all’attuazione del principio di sussidiarietà, da molti invocato, ma poco praticato, davanti all’invadenza di una politica che mai come ora ha occupato ogni sfera della società.
Interessante anche il richiamo all’interesse per la cosa pubblica: “in questo paese – ha dichiarato – si dovrebbe parlare della cosa pubblica, senza che la politica pensi che la cosa pubblica le appartenga in maniera esclusiva”.