Il termine impresa sociale entra nel linguaggio giuridico a partire dagli anni Ottanta per identificare un nuovo fenomeno sociale ed economico in cui iniziative private di nuova costituzione, spesso avviate e gestite da volontari, erano impegnate non solo nella promozione dei diritti, ma direttamente nella produzione di servizi sociali e in attività produttive volte a favorire nella maggior parte dei casi l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.
A caratterizzare un’impresa come sociale sono non i beni e i servizi prodotti, ma gli obiettivi e le modalità con cui la produzione è realizzata. Possono quindi essere considerate imprese sociali anche le iniziative di finanza etica, di microcredito, di commercio equo e solidale e, più in generale, le iniziative produttive di beni e servizi, anche privati, che si propongono obiettivi diversi dal profitto dei proprietari, come la lotta alla povertà e alla denutrizione. Non c’è la ricerca e la massimalizzazione dei vantaggi dei proprietari, ma una modalità di governance rivolta verso l’interesse comune.
Una prima normazione nel contesto giuridico italiano di queste forme di lavoro indirizzate verso il sociale si è avuta nel 1991 con la legge 381 che regolarizzava le cooperative sociali, ma è con la riforma del Titolo V della Costituzione e con l’introduzione del principio di sussidiarietà orizzontale che l’idea dell’impresa sociale assume una nuova configurazione.
Tanto che nel 25 con la legge 118 e con il successivo decreto legislativo 155/26 si regola proprio l’istituto dell’impresa sociale che include la qualifica di impresa sociale per tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale.
Le difficoltà di applicazione della normativa
Nonostante la normativa in vigore a cinque anni dall’entrata in vigore della legge e del decreto legislativo, secondo i dati dell’IrisNetwork, sono poche ancora le imprese nate sotto la veste di impresa sociale, superano di poco le 5 unità , nonostante il panorama del no profit che vanta 15mila imprese, 35mila addetti, 5 milioni di utenti e un volume d’affari annuo di 1 miliardi di euro.
Per essere qualificata come impresa sociale è necessario assumere alcuni importanti vincoli: il settore di intervento, scegliendo tra materie di particolare rilievo sociale come servizi sociali, cultura, istruzione e formazione, turismo sociale per esempio, l’informazione e il coinvolgimento dei lavoratori e beneficiari delle attività , la destinazione degli utili non ai soci, ma a investimento per lo sviluppo dell’impresa, il rendiconto economico ed anche sociale delle attività .
L’impresa sociale è una realtà estremamente dinamica che si sviluppa grazie a una notevole varietà di forme organizzative e di beni prodotti. La sua rappresentazione è però ancora incompleta per queste difficoltà applicative della legge e per l’assenza di adeguate politiche di sviluppo.
L’impulso della riforma del Codice Civile
La riforma del codice civile annunciata dal Governo dovrebbe incardinare e rafforzare l’impresa sociale prevedendo la possibilità dell’esercizio di attività di impresa per associazioni e fondazioni, purché strumentali agli scopi sociali e quindi dare nuova forza ad un istituto che è rimane fino a ora in un limbo.
Sono infatti numerose le organizzazioni private che, senza scopo di lucro, producono e scambiano in via continuativa beni e servizi in vista di obiettivi di interesse generale superando spesso il tradizionale ambito del welfare e dei servizi alla persona per aprirsi ai settori della cultura, l’educazione, l’ambiente. Una nuova risorsa per l’economia e la ripresa del nostro Paese.