Il nuovo welfare deve far leva sul principio di sussidiarietà 

"Il nuovo welfare deve ripartire dalla famiglia"

A detta dello studioso “l’aver messo ai margini la famiglia è stato uno degli errori più gravi (…) del vecchio welfare assistenziale e paternalistico (…) un modello che guardava all’individuo come portatore di bisogni”; per questo è necessario ripartire dalla famiglia, la prima comunità naturale in cui si forma l’individuo.

Un nuovo welfare

Il modello da implementare deve far leva sul principio di sussidiarietà e sulla più serrata collaborazione tra soggetti for profit e non profit. Il vecchio modello paternalistico e assistenziale degli anni Quaranta, è entrato in crisi dinnanzi alla zavorra del debito pubblico. A ciò si aggiunge l’insoddisfazione dei cittadini a fronte di un’accresciuta presenza statale nel mondo della finanza. Le motivazioni del fallimento vanno rintracciate, non solo nel peso del debito pubblico che grava sul Paese, ma anche nella mancanza di politiche di co-progettazione dei servizi a partire dai cittadini e dalla famiglia, chiarisce Stefano Zamagni (1).

I tempi di lavoro, poi, mal si conciliano con i tempi familiari, scarsa flessibilità che intirizzisce la “macchina familiare” e fa dell’Italia la cenerentola europea in fatto di politiche familiari (anche se sembra vi sia una inversione di rotta; vedi "I Comuni e le politiche familiari"). Contrariamente a quanto si è portati a pensare, è stato proprio il mondo dell’impresa ad aver risposto all’SOS “lanciato” dalle famiglie attivando forme di corporate family responsibility per migliorare il rapporto con dipendenti e comunità locale (leggi anche qui).
“Questo perché – commenta lo studioso – dove i servizi di welfare funzionano sono più alti sia la produttività, sia il tasso di innovazione” (nella foto, a sinistra, Stefano Zamagni; fonte: benecomune.net).

Stato, mercato e non profit: possibile alleanza?

Non abbandonare il privato sociale a sé stesso, dunque, avviare, piuttosto, forme di collaborazione tra profit e non profit incoraggiate dallo Stato. Per questo diventa decisivo il dibattito sulla revisione del Libro I – titolo II del codice civile per uscire dall’attuale regime concessorio e per “riconoscere e regolamentare queste espressioni della società civile”. La soluzione per Zamagni è quella di una mutua collaborazione tra Stato, mercato e mondo del non profit in cui l’associazionismo familiare giochi un ruolo decisivo nell’attuazione di un nuovo modello di welfare. I soggetti non profit dovrebbero acquisire lo “status di parte sociale come è avvenuto tempo fa per i sindacati”, perché si pone la necessità di dare “un assetto istituzionale, fiscale e civilistico che consenta all’associazionismo familiare di giocare un ruolo oggi non ammesso”, chiosa lo studioso (2).

E’ doveroso aggiungere, altresì, che non tutti i soggetti espressione del mondo non profit condividono la posizione dell’economista Zamagni.
La critica che viene fatta riguarda la presunta trasformazione di questi ultimi in “impresa sociale”.
E’ giusto rivedere la propria strutturazione interna puntando ad un ruolo maggiormente incisivo sul piano politico, ma si tratta, pur sempre, di realtà diametralmente opposte a quelle delle imprese sociali, ribadiscono gli scettici (ndr).

(1) Docente di economia politica all’Università di Bologna e di economia politica internazionale alla Johns Hopkins University nonché presidente dell’Agenzia per le Onlus: authority che svolge funzioni di indirizzo, monitoraggio e controllo sul Terzo settore. Si deve allo studioso, inoltre, la legge del 1996 che introduce la definizione di Onlus (organizzazioni non lucrative di utilità sociale).
(2) Si veda “E’ la sussidiarietà l’unica vera risposta” di Elio Silva, Il Sole 24ore (anche in allegato).



ALLEGATI (1):