Il decreto legislativo 150 del 2009 alla prova dei fatti

Ancora una volta la crisi della politica depotenzia l'azione delle istituzioni

Peccato. A vedere sotto i nostri occhi la progressiva agonia della riforma Brunetta cresce un forte sentimento di rammarico. Il decreto legislativo 15 del 29 – che introduce importanti novità in tema di trasparenza e performance delle istituzioni pubbliche – rappresentava un formidabile passo in avanti in termini di efficacia, efficienza e produttività della PA e offriva indirizzi importanti in termini di lotta alla corruzione e agli abusi di potere.

Gli ostacoli ad un’ effettiva attuazione della riforma

Oggi però, dopo appena un anno e mezzo dall’approvazione, quel cammino sembra sostanzialmente interrotto. I tagli lineari della manovra finanziaria hanno sottratto risorse importanti e così non ci sono più soldi per premiare i dipendenti meritevoli e attuare la riforma. L’azione collettiva si può usare con difficoltà e spesso, per i cittadini, il gioco non vale la candela. La Presidenza del Consiglio è stato il primo pezzo di amministrazione a sganciarsi dai controlli della legge, poi ci ha provato il Ministero dell’Economia. Mille resistenze vengono a tutti gli altri livelli, rafforzate dai tempi di attuazione e di adeguamento che la legge stessa prevede, per esempio in ambito di amministrazioni sanitarie.

In più, l’ultimo accordo siglato dal governo con i sindacati ripristina di fatto la tradizionale palude burocratica e corporativa e recupera i contenuti del Memorandum Nicolais del gennaio 27. Solo la Cgil non lo ha firmato, non certo per dissenso dai contenuti, ma solo per rimarcare ancora una volta la propria zelante opposizione al governo. E così, niente valutazione delle performance da parte di organismi indipendenti. Si ritorna ai controlli corporativo-sindacali effettuati da commissioni paritetiche (rappresentanti delle amministrazioni oggetto di controllo e rappresentanti dei sindacati dei dipendenti delle amministrazioni medesime). Il punto di vista dei cittadini viene sostanzialmente espulso. Inoltre, la differenziazione dei salari in base al merito va in soffitta a garanzia della certezza di irresponsabilità per tutti.

Il fallimento della Civit

In un contesto del genere, si auspicava una energica iniziativa riformatrice della CiVIT (la Commissione indipendente per la trasparenza, l’integrità e la valutazione, introdotta con la riforma). Ma le speranze si sono rivelate mal poste e i risultati assai deludenti. La Commissione è tutt’altro che indipendente, essendo di nomina governativa. La selezione dei commissari è fatta secondo le tradizionali logiche spartitorie dei partiti. L’attività è meramente formale, legata all’adempimento di atti burocratici e alla approvazione di delibere su norme e regolamenti. Nessuno spirito manageriale serio, scarsissima disponibilità alla consultazione e al coinvolgimento sistematico dei cittadini. Nonostante l’investimento economico – che comunque è importante – i progetti e le iniziative concrete stentano ancora a partire. Di fronte a tanta inadeguatezza e ai tradizionali ritardi, uno dei commissari, il giovane docente Pietro Micheli, ha preferito presentare lettera di dimissioni e ritornare alla sua attività accademica a Londra.
Allo stesso tempo, ogni proposta di candidatura per la Commissione, fatta allo scopo di allargare ai cittadini l’esercizio di poteri e responsabilità per il miglioramento della trasparenza e della qualità dell’azione amministrativa, si è sempre arenata nelle secche degli accordi tra maggioranza e opposizione: quel posto toccava ad altri, come al solito, per garantire la par condicio…

Riflessioni conclusive

Il quadro ci pare chiaro abbastanza. Ancora una volta la crisi della politica – che sembra accompagnarsi alla crisi dell’interesse generale – depotenzia l’azione delle istituzioni. Ma la legge resta comunque uno strumento di partecipazione, una modalità possibile per concretizzare il principio di sussidiarietà, un’occasione di empowerment. I cittadini, così, sono chiamati ad assumersi nuove responsabilità nell’ambito della trasparenza: valutazione della qualità dei servizi e del rendimento dei dirigenti pubblici, impegno per la legalità, pressione costante perché le istituzioni rendano conto del loro operato, verifica della qualità della spesa pubblica, controllo delle capacità di governo. Purché non resti – come spesso accade – l’ennesimo caso di sussidiarietà ‘nascosta’ o ‘negata’.