I mille dubbi del decreto "Milleritardi"

Prime vittime di questa confusione normativa saranno i diritti delle persone meno protette e le stesse norme costituzionali

Quanti cittadini italiani sono informati dell’approvazione del decreto ‘Milleproroghe’ e, soprattutto, del suo confusissimo contenuto, dopo quattro mesi di sostanziale paralisi dell’attività parlamentare? Molto probabilmente assai pochi. Per fortuna, l’iniziativa del Capo dello Stato ha contribuito a dare un po’ di visibilità ad un malcostume ormai consolidato nell’attività legislativa delle nostre istituzioni. Ma gli appunti da fare vanno anche al di là di quelli che Napolitano poteva fare nell’esercizio delle sue funzioni.
Già l’appellativo ‘Milleproroghe’ mostra chiaramente l’ineffettività della legificazione in Italia. I termini di legge sono fatti per essere rispettati, non per essere prorogati. Ciascuna proroga, invece, inchioda il Governo ai suoi inadempimenti. Oppure rivela l’incapacità del legislatore di regolare in modo credibile i temi di interesse pubblico. In sostanza, “Milleproroghe” potrebbe tradursi anche con “Milleritardi” o con “Milleinadempienze”: nomi che rappresentano l’attitudine di una classe politico-amministrativa abituata a mandare messaggi contrari alla cultura delle regole. E così nel nostro Paese si fa strada l’idea che fissare un termine non significhi nulla, perché normalmente esso è destinato a essere prorogato. E quando il termine è scaduto, interviene la politica per riaprirlo.

Un contenuto confusionario

Si capisce bene perché provvedimenti siffatti siano scritti in modo incomprensibile. Per smontare la certezza del diritto è necessario spargere un fumo di opacità, la norma va redatta in modo affrettato e abborracciato, le disposizioni ammucchiate nel segno del disordine. In questa indigeribile mistione, si creano gli spazi per le scorribande del lobbysmo più mediocre (come nel caso del ripristino di fatto del monopolio della Federazione Italiana Nuoto per il rilascio della patente di idoneità ai bagnini…) e il contenuto delle singole norme diventa oscuro alla generalità dei cittadini. Il loro significato sarà comprensibile soltanto a chi le ha scritte e ai loro ‘mandanti’.

L’oggetto del “Milleproroghe”, ovviamente, comprende le materie (e le brutture) più improbabili: da una sorta di condono strisciante per 6 case abusive in Campania, agli sgravi fiscali per le banche. E poi, in ordine sparso: una tassa sui biglietti del cinema, proroghe o riaperture di termini in tema di servizi trasfusionali, di smaltimento dei rifiuti, di provvidenze fiscali per il terremoto dell’Aquila e per l’eruzione dell’Etna, di finanziamento delle Autorità portuali, di gestione del personale scolastico, di rottamazione degli autoveicoli, di cooperazione internazionale di Polizia, di fecondazione assistita, di navigazione nei laghi lombardi, di blocco degli sfratti, di trasmissioni televisive, di informatica giudiziaria, di armi da fuoco portatili, e via elencando. Si registra la solita norma a sostegno del sottogoverno: il sindaco Alemanno, nell’ambito dei provvedimenti per ‘Roma capitale’, ottiene tre assessori in più (e li giustifica con una maggiore apertura alle donne….). Non manca, perfino, un rinvio di pagamento delle quote latte a favore dei padani inadempienti…

Il decreto e i diritti sociali dei cittadini

Ma le contraddizioni più gravi sono quelle che toccano i diritti sociali dei cittadini. Da un lato, infatti, il testo proroga senza ragioni il termine ultimo (31 marzo 211) per il passaggio definitivo al regime ordinario dell’attività libero professionale intramuraria, cioè la possibilità di esercitare la propria attività da parte di medici specialisti autorizzati, al di fuori dell’orario di lavoro, presso le strutture del Servizio Sanitario Nazionale o presso i propri studi privati. Da tempo le regioni hanno i fondi necessari per garantire questo passaggio, pensato per garantire ai cittadini trasparenza nell’accesso alle cure, maggiore qualità e sicurezza.

Viceversa, confermare la scelta di non rifinanziare nel 211 (e dunque di non ‘prorogare’) il fondo nazionale per la non autosufficienza sembra l’ennesimo atto di indifferenza nei confronti delle persone più fragili e dei loro familiari. Il Governo dimostra scarsa attenzione alle politiche sociali e sordità verso le richieste delle organizzazioni civiche di tutela e delle stesse regioni. Il mancato finanziamento del fondo a livello nazionale crea disuguaglianze: i cittadini che risiedono in regioni in grado di finanziare autonomamente gli interventi potranno accedere alle relative prestazioni, gli altri no. Inoltre, sarà inevitabile l’aumento della spesa sanitaria, e un’assunzione di costi privati per le famiglie italiane.

Sussidiarietà di pessima qualità

Un’altra iniziativa che deve scandalizzare riguarda il ripristino della social card, strettamente legata ad una interpretazione capziosa dell’idea di sussidiarietà. Con questa misura il governo attribuisce a non meglio specificati enti caritatevoli l’incarico di assegnare il contributo. Ora, al di là della capacità di questa misura di risolvere il problema della povertà in Italia, la modalità scelta per realizzarla lascia inevase troppe domande. Come si selezionano gli enti caritatevoli? E, successivamente, tali enti come selezioneranno i beneficiari del contributo? Quali criteri utilizzeranno? Come verrà risarcito questo servizio ai cittadini visto che nulla è previsto a riguardo? E si potrebbe continuare. Molti osservatori temono già, non a torto, che nelle pieghe di una norma siffatta possa celarsi una zona vischiosa fatta di irresponsabilità, di ineguaglianze di fatto e di mancanza di trasparenza. Insomma, davvero un pessimo modo per attuare la sussidiarietà. Con il rischio, peraltro, di gettare un’ombra di discredito sulle pratiche sussidiarie delle realtà della società civile. Ma questo non deve stupire. In fondo, nel Libro Bianco sul Welfare – che Labsus ha già criticato in passato – erano già contenute le premesse per soluzioni così pasticciate e inappropriate.

Conclusioni

Insomma, anche alla luce di queste considerazioni, il ‘Milleproroghe’ – imposto dal Governo a colpi di ‘maximemendamenti’– appare doppiamente criticabile. Prima di tutto perché, per la scarsa qualità del prodotto legislativo, siamo di fronte ad una vera e propria ‘vessazione’ nei confronti dei cittadini italiani. Ma soprattutto perché le prime vittime di questa confusione normativa saranno soprattutto i diritti delle persone meno protette e le stesse norme costituzionali, compreso l’ultimo comma dell’art.118.