I poteri-doveri civici del privato cittadino

Governare la sfera privata per agire nel bene comune

Insomma, il cittadino che nella propria vita privata o nella gestione di beni privati tiene una condotta orientata alla riduzione o, addirittura, alla eliminazione di ” problemi collettivi ” (o, meglio, per la collettività ) e che, conseguentemente, contribuisce a ridurre/eliminare la necessità  di organizzare una risposta pubblica, si può considerare un cittadino attivo che deve essere ” favorito ” dai poteri pubblici? Oppure, guardando al fenomeno da un’angolazione opposta e inversa, si può parlare di veri e propri doveri civici del proprietario o del “privato cittadino”?

Forse non è sussidiarietà ?

Qualcuno potrebbe dire che in fondo si tratta di comportamenti in alcuni casi già  resi obbligatori dal diritto, altri che si tratta di condotte irrilevanti per lo stesso e che sarebbe bene che tali rimanessero. Qualcun altro potrebbe sostenere che in fondo non vi è sussidiarietà  in azione, almeno fino a quando i poteri pubblici non cerchino davvero di istituire un’alleanza con i cittadini per tutelare l’interesse generale attraverso un miglior governo dei beni privati o delle condotte individuali.

Alcune delle fattispecie indicate potrebbero far pensare a un fenomeno rientrante nel fuoco applicativo del principio civilistico del neminem laedere (ex art. 243 c.c.). In fondo, si può parlare di responsabilità  aquiliana se non spalo la neve sul marciapiede davanti casa, che in alcuni casi o ordinamenti potrebbe essere considerato come una pertinenza, e qualcuno scivola a causa della mia negligenza (vd. il recentissimo caso Soederberg vs. Concord Greene Condominium Association).

Lo stesso potrebbe dirsi se fossi un agricoltore e non mi preoccupassi di “manutenere” correttamente i miei impianti di irrigazione e per effetto di questo si determinasse un disastro ferroviario (vd. il caso del meleto di Merano). Parimenti, se fossi un proprietario terriero e non svolgessi la periodica pulizia dei canali di raccolta delle acque piovane e sorgive (vd. la frana di Montaguto che per diversi mesi ha ” ferroviariamente ” isolato la Puglia dal resto dell’Italia o l’inondazione del Sarno causata dalla mancata pulizia dei Regi Lagni da parte del consorzio di bonifica, peraltro commissariato, dell’Agro-nocerino-sarnese). Mi sto riferendo qui ai numerosi fenomeni di dissesto idrogeologico causati, a seconda dei casi, dal mancato coinvolgimento o dal malfunzionamento di quelli che, almeno in linea teorica, sono consorzi tra proprietari di aree che necessitano il coordinamento di interventi pubblici e privati per la difesa del suolo, la regolazione delle acque, l’irrigazione e la salvaguardia ambientale, e cioè i consorzi di bonifica e irrigazione.

Altre fattispecie, invece, come la mancata tinteggiatura di una facciata o comunque lo stato di degrado e abbandono in cui lascio giacere una mia proprietà  potrebbero farsi rientrare nel concetto anglosassone di nuisance, cioè dei limiti all’uso della mia proprietà  (di cui v’è traccia anche nel nostro c.c. con le immissioni abusive e il danno temuto). Sul tema un recentissimo saggio di Freyfogle è piuttosto illuminante (in particolare pag. 95 e 17). E questa dottrina troverebbe corrispondenza nel nostro art. 42 Cost. laddove si stabilisce che la proprietà  privata incontra dei limiti proprio per assicurarne una sua funzione sociale.

La sussidiarietà  può essere pane quotidiano

In un’ottica più orientata alla sussidiarietà , a mio sommesso avviso, esiste anche una diversa possibile configurazione delle fattispecie in questione. Esse potrebbero essere inglobate nell’ambito di quella che inizialmente abbiamo definito la “sussidiarietà  nelle piccole scelte quotidiane“. Pensiamo all’uso sostenibile delle risorse naturali o dell’energia, alla raccolta differenziata, a una regolazione della mobilità  urbana che incentivi il trasporto collettivo o condiviso e disincentivi la mobilità  privata o individuale.

Quest’ultimo settore è anche stato oggetto di un case-study attorno al quale si è tentato di costruire uno schema regolatorio individual-based, cioè centrato sul comportamento individuale, per combattere il cambiamento climatico con una strategia dal basso senza aspettare che i grandi della terra si mettano d’accordo su schemi regolatori contrastati da fortissimi interessi economici e nazionali (v. articolo pubblicato sul Fordham Urban Law Journal e disponibile anche su Labsus).

E la redazione di Labsus ha dimostrato che in realtà  si tratta di un paradigma concretamente applicabile anche ad altri settori. Basta visitare le sezioni Casi ed esperienze e Documenti di Labsus in cui si descrivono possibilità  di vivere in maniera sostenibile, cioè in armonia con la natura e la propria comunità . La semplice riscoperta della bicicletta, dei mezzi pubblici e quindi di una mobilità  sostenibile o la valorizzazione del turismo diffuso in comunità  ospitali, delle energie sostenibili, dei prodotti locali biologici, della raccolta differenziata, di stili di vita più sostenibili e cosìvia, rappresentano tutti esempi di come, apportando piccoli aggiustamenti alla vita quotidiana, si possa contribuire alla tutela dell’interesse generale. Lo stesso può dirsi se, sempre nella vita di tutti i giorni, i cittadini si preoccupassero di gestire meglio i propri beni privati, per migliorarli o conservarli correttamente, affinchè producano un beneficio oppure non procurino danno alla collettività  e quindi giovino all’interesse generale.

In definitiva, l’idea di fondo è che ciascuno di noi, obbedendo a regole di buon comportamento civico nella propria vita privata, sia con riguardo all’uso di beni privati, che con riguardo all’uso di beni pubblici, può dare il proprio contributo per tutelare l’interesse generale o, meglio con una terminologia a noi più cara, i beni comuni (vd. gli editoriali di Arena, Donolo, Iaione).

C’è alleanza se c’è responsabilità  sociale individuale

Tutti questi comportamenti si basano sull’assunzione di una responsabilità  verso gli altri e verso i beni comuni. Questi cittadini si sentono e sono persone responsabili. Non nel senso punitivo del termine, ma nel senso di accountable. Si tratta cioè di cittadini che si sentono investiti di un potere. Quello di fare qualcosa per dare una risposta a problemi collettivi con propri comportamenti individuali nella vita di tutti i giorni e incidenti per lo più sulla propria sfera privata. Gregorio Arena ha già  dimostrato come la sussidiarietà  implichi anche una responsabilità  sociale individuale, perchè si fonda “sull’assunzione da parte dei cittadini di responsabilità  nei confronti dei beni comuni, di cui essi decidono autonomamente di prendersi cura insieme con l’amministrazione. Si può dire, in altri termini, che la cittadinanza attiva consiste nell’assunzione da parte di singoli individui, da soli o insieme con altri, di responsabilità  sociali, cioè di responsabilità  verso la comunità “. Qui l’assunzione di responsabilità  è quotidiana, confermata giorno per giorno, attuata nella propria sfera privata anche se incidente in qualche misura sulla collettività .

Anche in questo caso si realizza quella forma di alleanza tra pubblici poteri e cittadini che nella nostra visione è sottintesa dall’art. 118 u.c. Infatti, secondo il paradigma della sussidiarietà  quotidiana, i cittadini decidono di prendersi cura di beni comuni attraverso comportamenti quotidiani orientati alla minimizzazione di problemi di dimensione collettiva o alla riduzione di costi per la collettività  che creano la necessità  di organizzare una risposta pubblica. Ma i pubblici poteri non smettono di colpo di occuparsi dei medesimi beni comuni. Anzi, i poteri pubblici scoprono degli alleati inaspettati nei cittadini che decidono di abbracciare la sussidiarietà  quotidiana. Se si vuole, si tratta di una forma di alleanza spontanea e informale.

Le fonti della sussidiarietà  quotidiana

Ma come si fa a giuridicizzare e quindi a favorire la emersione di una responsabilità  sociale individuale nella vita di tutti i giorni? Certo, ci si potrebbe appigliare a principi giuridici, più o meno vaghi, formalizzati o meno in disposizioni normative. Ad esempio, Fabrizio Fracchia, su queste colonne, ha spiegato che un solido fondamento normativo per le politiche delle sostenibilità  potrebbe essere rinvenuto nel principio sancito dall’art. 3-quater del d.lgs. 3 aprile 26, n. 152, secondo cui ” ogni attività  umana giuridicamente rilevante ai sensi del presente codice deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità  della vita e le possibilità  delle generazioni future ” .

Ma, se ricordiamo le tipologie di comportamenti esemplificate all’inizio, ci accorgiamo che si tratta di regole di condotta oggetto di consuetudini già  esistenti (come nel caso degli “addobbi”, cioè i miglioramenti che i proprietari apportavano ai propri immobili come la tinteggiatura delle facciate in vista delle celebrazioni del ventennale della parrocchia) oppure che possono formare oggetto di “consuetudini civiche” la cui formazione ed implementazione può anche essere “favorita” e, quindi, indotta dai poteri pubblici con schemi regolatori formali (come nel caso della raccolta differenziata o della regolazione pubblica della mobilità  privata oggetto del mio studio citato sopra).

La consuetudine, fonte per eccellenza del “diritto sussidiario”

A mio sommesso avviso, questa tipologia di sussidiarietà  deve vivere prevalentemente proprio di norme consuetudinarie. Si tratta, cioè, di comportamenti individuali che possono costituire oggetto di consuetudini o, come le chiamano negli USA, di social norms.

In Italia, Fabio Merusi già  all’indomani della riforma costituzionale del Titolo V coglieva il collegamento tra sussidiarietà  e consuetudine. A Merusi pare che “riconoscendo l’autonoma iniziativa dei cittadini, il principio di sussidiarietà  riconosca anche una fonte di produzione normativa proveniente dalla società  civile e perciò non statale e non connessa alla logica della codificazione”. E, addirittura, “[r]iconoscere che cittadini associati possono svolgere attività  di interesse generale secondo il principio di sussidiarietà  significa riconoscere l’esistenza di un diritto alternativo rispetto a quello statale. Se poi, come nel caso, lo si favorisce, significa stabilire che, se c’è un diritto prodotto dai privati, non può essere sostituito da quello pubblico, a meno che questi non affermi una propria competenza esclusiva”.

Anche negli Stati Uniti le social norms sono in questo momento oggetto di rinnovato interesse da parte della dottrina giuseconomica e sociologica. Ma la novità  di questo approccio sta nel suo legame con un altro filone di ricerca oggi molto in voga negli States, che è la behavioral law & economics. Infatti, le fattispecie consuetudinarie di cui stiamo parlando (siano esse diritto positivo o diritto in formazione) presentano una caratteristica comune. Tutte possono avere come effetto quello di internalizzare le esternalità  negative, in altri termini, i costi economici prodotti da condotte individuali o stili di vita generali che generano un costo per la collettività  e producono una generale diminuzione del benessere collettivo.

Si pensi alla maggiore qualità  della vita e alla maggiore attrattività  (anche in termini economici) di una comunità  locale in cui i cittadini adottino comportamenti e stili di vita che li inducano a prendersi miglior cura tanto di spazi e beni pubblici locali, quanto di beni privati (come riparare immediatamente una finestra rotta o cancellare immediatamente i graffiti sulla facciata di un edifico per evitare di dare l’impressione che rompere finestre o fare altri graffiti siano comportamenti socialmente accettati e, quindi, poco “costosi”). Il riferimento alla teoria delle broken windows di Wilson e Kelling è immediato. Tra l’altro, un ulteriore aspetto degno di nota è l’effetto di maggiore controllo sociale che questo schema regolatorio comporta. E, infatti, il campo in cui questa teoria ha già  dato buona prova di sé è proprio il “community policing” che ha consentito di riqualificare diverse città  americane. Questo approccio è stato in grado di modificare atteggiamento e ruolo dell’amministrazione (nel caso specifico, la polizia locale) come quello dei cittadini (vd. Garnett). Esattamente quanto auspicato da Gregorio Arena nel suo libro sui cittadini attivi.

Costruire quotidianamente la sussidiarietà 

Infine, un avvertimento metodologico. Generalmente le social norms prosperano in “comunità  omogenee” (“close-knit”). Per costruire buone consuetudini civiche in comunità  eterogenee come sono diventate quasi tutte le comunità  dei paesi occidentali e industrializzati, si deve ricorrere necessariamente alla metodologia del “bene comune”. Che non è un oggetto o un obiettivo fisso e immutabile. E’ bensìun processo dialogico, deliberativo che costruisce e ricostruisce in maniera dinamica e costante i valori e i beni-oggetto (materiali o immateriali che siano) veramente unificanti della comunità  eterogenea. Valori unificanti che possono variare nel tempo e nello spazio. Da qui origina l’interesse di Labsus per la democrazia deliberativa.

Riferimenti essenziali

R.C. ELLICKSON, Order without law: how neighbors settle disputes (1991)
R.C. ELLICKSON, Controlling chronic misconduct in city spaces: of panhandlers, skid rows, and public-space zoning, 15 Yale L.J. 1165 (1996);
N.S. GARNETT, Private norms and public spaces, 18 Wm. & Mary Bill Rts. J. 183 (29-21);
E.T. FREYFOGLE, Property and liberty, 34 Harv. Envtl. L. Rev. 75 (21);
C.R. SUNSTEIN, Social norms and social roles, 96 Colum. L. Rev. 93 (1996);
F. MERUSI, il diritto ‘sussidiario’ dei domini collettivi, in Riv. trim. dir. pubbl., 23, 1, 77.



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