Le proproste di Italia nostra per una nuova edilizia urbana

La città  è un bene comune, va tutelata da politiche pubbliche che tutelino gli interessi collettivi

Il 6 aprile scorso si è tenuto a Roma un convegno di Italia nostra, un’associazione che si occupa di ambiente e salvaguardia dei beni culturali. Il tema dell’incontro era l’edilizia urbana, ormai da decenni piegata agli interessi dei costruttori e oggetto di pesanti speculazioni.

Lo sfruttamento indiscriminato del territorio ha causato gravi danni al sistema idro-geologico del nostro paese, interi paesaggi sono stati sconvolti e risucchiati in complessi abitativi, senza peraltro esservi un reale bisogno di nuovi alloggi: l’invenduto in Italia è altissimo, così si verifica il paradosso per cui, sebbene siano in molti ad aver bisogno di una casa, le nuove abitazioni rimangono vuote perché vengono create non dove ve ne è richiesta, ma dove i permessi vengono rilasciati più facilmente.

Una spiegazione assai probabile è che le nuove costruzioni siano frutto dell’urbanistica contrattata tra amministratori e costruttori, rispondente più che alla necessità, al lucro e alla speculazione. Il convegno si è sviluppato intorno al caso emblematico dell’Aquila, una città distrutta dal terremoto e riscostruita a pezzi in aree limitrofe, potendo anche derogare alle norme di edilizia urbana regolare perché si operava in regime di emergenza.

Si è costruito quindi su terreni agrari e da un’altra parte rispetto al nucleo originario del 1229, lasciando che il centro de L’Aquila rimanesse un cimitero. Ancora una volta, a muovere le ruspe e il denaro della ricostruzione non sono state le esigenze degli abitanti.

Da l’Aquila, a Roma, a Milano, a Napoli, all’Emilia Romagna, a Catania e Torino, si può parlare di uno sfruttamento selvaggio del territorio, con poca attenzione alla qualità della vita e all’ambiente: il centro si svuota, la campagna viene divorata dalla periferia, quest’ultima rimane mal collegata col resto della città.

Il decalogo della bellezza

Italia nostra indica la strada da prendere per ristabilire l’equilibrio, attraverso un decalogo che ha presentato al convegno: le amministrazioni pubbliche devono riappropriarsi del controllo sulle scelte in materia di edilizia urbana sottraendolo ai costruttori e coinvolgendo cittadini e associazioni; recuperare le periferie, e investire nel potenziamento e nell’incentivazione del trasporto pubblico.

Si fa esplicito riferimento alla città come bene comune, una risorsa pubblica che non può essere svenduta ai privati con condoni e “piani casa”, ma deve essere oggetto di politiche pubbliche nell’interesse collettivo. Infine, è assolutamente necessario il rilancio della pianificazione paesaggistica, nel risetto dell’integrità fisica e culturale del territorio italiano.