La responsabilizzazione come unico rimedio

Insigni cultori del diritto pubblico si sono confrontati in merito a profili cruciali della responsabilità  in materia di ambiente

“Ogni generazione, che riceve temporaneamente la Terra in eredità, dovrà vegliare ad utilizzare in maniera ragionevole le risorse naturali e a fare in modo che la vita non sia compromessa dai mutamenti nocivi sugli ecosistemi e che il progresso scientifico e tecnico in tutti i campi non leda alla vita sulla terra” (Articolo 4, paragrafo 2 della Dichiarazione sulle responsabilità delle generazioni presenti nei confronti delle generazioni future, Unesco, 1997).

Si è aperta con un riferimento al noto scritto di Garrett Hardin The tragedy of commons la Tavola rotonda dedicata al tema de "La responsabilità ambientale" che si è svolta sabato 21 maggio 211 presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma.
L’evento, moderato dal professore Alberto Romano e organizzato nell’ambito del Master di secondo livello in Diritto ambientale della medesima facoltà, ha visto la partecipazione di insigni cultori del diritto pubblico, che si sono confrontati in merito a profili cruciali della responsabilità in materia di ambiente.

Responsabilità intergenerazionale

In particolare, per quel che concerne il ruolo dei cittadini, il professore Raffaele Bifulco ha sviluppato il tema della responsabilità intergenerazionale mettendo in luce come siano stati alcuni scritti degli anni sessanta del ‘9, tra cui proprio The tragedy of commons, ad inaugurare il dibattito contemporaneo sul tema dei beni comuni e della responsabilità gravante sulla collettività ai fini, non solo della loro conservazione ma, soprattutto, della loro perpetuazione alle generazioni future. Dibattito che, come sottolineato dal costituzionalista, da un punto di vista giuridico trova la propria pietra miliare nella Dichiarazione sulle responsabilità delle generazioni presenti nei confronti delle generazioni future, proclamata dall’Unesco nel 1997. Tale documento, infatti, benché privo di efficacia giuridica vincolante, reca tuttavia una spiccata valenza programmatica laddove afferma che “le generazioni presenti hanno la responsabilità di trasmettere alle generazioni future una Terra tale da non essere un giorno danneggiata irrimediabilmente per via dell’attività umana” (art. 4) ed inoltre le stesse “dovrebbero agire per uno sviluppo durevole e preservare le condizioni della vita e in particolare la qualità e l’integrità dell’ambiente” (art. 5).

E’ su queste basi, dunque, che nel campo del diritto internazionale si sono affermati i concetti di patrimonio comune dell’umanità, i c.d. global commons (quali sono, ad esempio, i corpi celesti), e di interesse comune dell’umanità, mentre in ambito europeo la Corte di Giustizia ha espressamente incluso le generazioni future nella nozione di umanità (in particolare cfr. CGCE 23 aprile 29, C-362/6, dove si legge che una tutela ex ante dell’ambiente risponde “ad una logica di sviluppo sostenibile e di protezione integrata al fine di realizzare gli obiettivi di qualità ecologica che l’umanità si è posta per salvaguardare anche il diritto dell’ambiente naturale delle generazioni future”). Inoltre, in senso analogo – ha proseguito Bifulco – non può sottacersi l’evoluzione che, dal punto di vista del diritto interno, ha caratterizzato le Carte costituzionali. Se, infatti, c’è stato un tempo in cui “il futuro non [era] posto come situazione temporale che impone[va] responsabilità già nel presente”, nelle Costituzioni del secondo ‘9 non mancano riferimenti espressi alle generazioni future e agli obblighi di riflesso gravanti su quelle presenti. In particolare, per ciò che concerne la Carta fondamentale italiana traccia di quanto affermato si rinviene già nei principi fondamentali ed in specie nell’art. 1, secondo comma, dove spicca il concetto di popolo, nonché soprattutto nell’art. 2 il quale, facendo riferimento ai “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, si pone come norma programmatica in grado di fondare la responsabilità delle generazioni presenti in ordine alla cura dei beni comuni.

Responsabilità della Pa per danno ambientale

Sul versante più propriamente amministrativistico, invece, l’intervento della professoressa Elisa Scotti ha inteso porre l’accento su come la responsabilità della P.A. per danno ambientale ponga in primis un problema di compatibilità tra sistema economico e tutela dell’ambiente, nonché come la stessa necessiti di una chiara definizione del ruolo spettante all’amministrazione medesima. Infatti, posto che il danno ambientale può configurarsi sia in termini meta-individuali (danno all’ambiente tout court inteso), sia come pregiudizio avverso una posizione individuale (si pensi, ad esempio, al danno alla salute), è indispensabile che in entrambi i casi i profili di responsabilità della P.A. siano disegnati con nettezza.
Dal primo punto di vista, è stato evidenziato come da un esame delle norme contenute nel Codice dell’ambiente sia agevole evincere che la Pubblica amministrazione è gravata di una responsabilità di tipo oggettivo ogni qual volta non sia identificabile un soggetto privato cui imputare il danno. In altri termini, diversamente da quanto previsto dalla normativa europea, il legislatore italiano non ha sposato un modello fondato sul binomio “responsabilità oggettiva del privato – forme di assicurazione obbligatoria”, mostrando di preferire quello imperniato sul criterio di responsabilità soggettiva del privato cui si aggiunge, in via sussidiaria, quella della P.A.. In pratica – osserva la relatrice – nel sistema italiano di responsabilità ambientale il legislatore ha finito per assegnare all’amministrazione un vero e proprio “ruolo assicurativo”, con inevitabili ricadute di natura economica.

Per quel che concerne, poi, i pregiudizi di tipo individuale, la circostanza che la maggior parte delle attività umane idonee ad incidere sul bene ambiente siano sottoposte a controlli ed autorizzazioni da parte della P.A. fa sì che quest’ultima finisca per riempire di contenuti il concetto di “pregiudizio tollerabile”. Infatti, ogni qual volta l’amministrazione autorizza lo svolgimento di un’attività recante conseguenze di tipo ambientale (quale, ad esempio, la realizzazione di una discarica), per ciò solo definisce il concetto di modificazione non integrante un danno ambientale meritevole di ristoro. Detto in altri termini, sottolinea Elisa Scotti, la Pubblica amministrazione “segna il confine tra lecito ed illecito” e, dunque, si rende co-responsabile delle attività poste in essere dal privato. Tale circostanza, dunque, contribuisce a rafforzare l’esigenza di una tutela ex ante del bene ambiente, che passi per l’attuazione concreta di taluni principi informatori del diritto ambientale quali sono quelli di prevenzione e precauzione.

Ruolo dei cittadini nella protezione dei beni comuni

La realizzazione di simile tutela, tuttavia, non è compito esclusivo dei poteri pubblici, poiché alla stessa sono chiamati a concorrere in maniera determinante anche i comuni cittadini. Questi ultimi, infatti, ponendo quotidianamente in essere le c.d. social norms, ossia tenendo condotte eco-compatibili (si pensi all’uso dei mezzi di trasporto pubblici in luogo di quelli privati, con conseguente riduzione dell’inquinamento atmosferico), assumono spontaneamente il potere/dovere di affiancarsi alla P.A. nel proteggere i beni comuni, secondo il paradigma della sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, quarto comma della Costituzione(1). Ciò a dimostrazione del fatto che quest’ultimo non detta un principio destinato a rimanere lettera morta fin quando non sia l’amministrazione a coinvolgere i cittadini nella cura dell’interesse generale, giacché la sussidiarietà trova espressione anche nei piccoli gesti della vita quotidiana (ad esempio, un uso sostenibile delle risorse idriche) con cui ciascuno può fattivamente coadiuvare la P.A. nella gestione del bene ambiente da tramandare ai futuri cittadini del mondo.

Responsabilizzazione oltre i confini: il livello europeo

In definitiva, tanto sul fronte della responsabilità intergenerazionale quanto su quello della P.A., ciò che è sembrato emergere dal dibattito è un’impellente esigenza di responsabilizzazione che, lungi dall’essere avvertita nei soli confini nazionali, appare costituire una priorità anche a livello europeo. Il sesto programma europeo di azione ambientale, ad esempio, ha mostrato di voler “indurre il mercato a lavorare per l’ambiente”, sollecitando l’adozione di una serie di azioni volte ad “orientare i mercati e la domanda dei consumatori verso prodotti e servizi ecologicamente superiori”. Così come la direttiva 28/98/Ce, recepita in Italia con il d. lgs. n. 25 del 21, all’art. 4 ha posto al vertice della “gerarchia dei rifiuti” la prevenzione, relegando per converso lo smaltimento solo all’ultimo gradino, preceduto dalla preparazione per il riutilizzo, dal riciclaggio nonché dal recupero di atro tipo. D’altra parte, proprio il settore dei rifiuti, alla luce delle innumerevoli prescrizioni rivolte direttamente (anche) ai cittadini al fine di sollecitare il loro apporto collaborativo (si pensi, ad esempio, alla disciplina della raccolta differenziata), appare emblematico del bisogno di responsabilizzazione che deve investire in senso orizzontale l’intera società, pena The tragedy of commons.

(1) Si veda "La sussidiarietà quotidiana", Christian Iaione, Labsus.org.