Indignati e proattivi

Dalla piazza virtuale a quella reale. I giovani si attivano per partecipare

Dal movimento degli indignados spagnoli alle proteste in Islanda, Grecia, Portogallo, Israele, fino ad arrivare ai recenti scontri di Londra, sembra che l’attuale modello economico e finanziario non sia più in grado di reggere la sfida della crisi. E’ un nuovo modello di democrazia quello che va affermandosi e che nasce dalla volontà  di giovani cittadini di incontrarsi, scambiarsi idee e progetti per la concreta cura del proprio territorio attraverso una piattaforma virtuale ed accessibile a tutti (1).

Attraverso la rete i giovani hanno denunciato le misure di austerity adottate dai rispettivi governi svelando difatti le debolezze dell’attuale sistema economico e politico che punta a tenere basso il livello di partecipazione sociale o tutt’al più legato ad episodiche manifestazioni di consenso attraverso il voto. Una democrazia senza la partecipazione attiva dei cittadini e la forza innovatrice dei giovani infatti rischia di degenerare in “apatia” politica e sociale. Eppure il governo locale sta compiendo piccoli passi in avanti grazie ad un mutato (anche se non del tutto) approccio culturale che consente di dare fiducia ai più giovani che intendono puntare alla rinascita del territorio attraverso modelli di partecipazione bottom-up.

La realtà  comunale dei giovani amministratori under 35

Dalla piazza virtuale a quella reale del Comune, il passo è breve. Il comune infatti rappresenta ancora, per circa il 6 percento delle nuove generazioni, il motore dello sviluppo seguito dalla Provincia e dalla Regione (2). Se si aggiungono, poi, i numeri relativi ai giovani amministratori locali under 35 ci si rende conto che sono oltre 26mila i giovani eletti, vale a dire il 2 percento degli amministratori locali, pronti a innovare e a spendersi per la propria comunità  (3). Soprattutto sono i Comuni di piccole dimensioni, al di sotto dei 5mila abitanti, a far registrare la più alta percentuale di giovani eletti: circa il 7 percento degli amministratori infatti ha meno di 35 anni.

Questo perché, come sottolinea il coordinatore nazionale di Anci Giovane Giacomo D’Arrigo in un’intervista rilasciata a Labsus, non solo il livello di prossimità  degli enti locali, nello specifico dei comuni, spinge di più i giovani ad impegnarsi, ma soprattutto il sistema elettorale locale rende più agevole la partecipazione di giovani eletti, spesso più sensibili ai temi della tutela dei beni comuni e della sussidiarietà  orizzontale rispetto ai colleghi over 35. Se il governo nazionale, dunque, concentra su di sé maggiore scetticismo e sfiducia da parte degli under 35, il governo locale, invece, sembra godere di maggiore approvazione per la sua capacità  di rappresentare le necessità  dei cittadini per il 7 percento dei giovani.

La e-politics, il paradosso della partecipazione

E’ innegabile che nel nostro paese l’essere giovane corrisponda ad un assicurato futuro incerto, come il Wall street journal in un recente articolo ha evidenziato, ma è anche vero che viviamo la contraddizione dell’attivismo giovanile. Giovani sfiduciati ma attivi, una contraddizione in termini. Il 27 percento della popolazione adulta si compone di giovani tra i 18 e i 35 anni che stenta ad affermarsi nel mondo, ma che vive quello che potremmo chiamare il paradosso della partecipazione. “Non ho più fiducia nei partiti ma il rinnovamento del Paese non può che passare da questi ultimi”, sembra essere questa la convinzione del 49 percento dei giovani che, intrappolati in una condizione di attesa e incertezza, ritengono sia ancora l’impegno nei partiti politici (4) la chiave di volta per la rinascita del Paese. Ben inteso, una politica rinnovata che si nutra degli strumenti del web. La si potrebbe ribattezzare la e-politics.

Un cambiamento culturale

Il fattore anagrafico di per sé non significa che l’amministratore, o il giovane in qualsiasi altro settore della vita associata, abbia in sé il lume della scienza e sia portatore di idee geniali per il bene comune, piuttosto è quell’atteggiamento mentale e culturale che favorisce una società  gerontocratica e chiusa a dover cambiare. Se si pensa, non solo alla politica, ma anche ai top leader, alla classe dirigenziale ci si rende conto che “(…) Se i cittadini comuni vanno in pensione a circa sessant’anni per le élites in Italia questa è l’età  in cui si aprono le migliori prospettive di successo (…). Nel 199 l’età  media delle nostre élites era di circa 56 anni, mentre nel 24 era salita a 61 anni. A guidare questo trend di invecchiamento sono state, a sorpresa, le élites culturali-professionali (età  media 66 anni). Si pensi all’Università  dove, spesso, non trovano posto i giovani talenti e un professore ordinario trentenne è un caso rarissimo. Più contenuto, ma in forte crescita negli ultimi anni, è l’invecchiamento dei top leader economici. L’età  media degli amministratori delegati delle società  quotate in Borsa è di poco superiore ai 52 anni, ma i nostri imprenditori sono sensibilmente più anziani” (5).

Democracia real ya!

Rispondendo alla domanda con cui abbiamo aperto la discussione, senz’altro si può dire che i giovani sono tutt’altro che apatici, gli ultimi fatti di cronaca lo dimostrano. Il web è diventato il palco dei giovani, la scena del teatro, e sempre più spesso si incontrano in questa grande piazza virtuale per aggiungere, giorno dopo giorno, un tassello nella composizione di una nuova comunità  “aperta”. Sull’essere “bamboccioni”, invece, esistono oggettive difficoltà  per i giovani nel rendersi pienamente autonomi dalla famiglia d’origine. I dati ci dicono che a trent’anni circa i due terzi dei giovani risiedono ancora con i genitori, mentre a trentacinque circa un terzo. Ma le cause principali sembrano essere legate alle deboli condizioni del mercato del lavoro e alla scarsa mobilità  sociale. Non a caso “il 52 percento degli italiani è intrappolato in una mobilità  sostanzialmente statica e orizzontale, solo il 3,7 percento è in ascesa sociale e il 15,3 percento in discesa. Solo 3 giovani su 1 pensano che avranno un lavoro e una posizione migliore di quella dei loro genitori” (6).

Che fare allora? I nove punti varati dal governo basteranno ad affrontare la “questione giovani” in Italia? Sembra essere ancora lontana la soluzione, sta di fatto che i giovani l’hanno capito e si stanno mobilitando. Probabilmente, come ricorda Massimo Cacciari su l’Espresso, “ogni intervento che si limiti a tamponare l’emergenza, senza prefigurare anche e soprattutto un nuovo patto tra generazioni (e generi e genti) non sarà  che l’ennesima irresponsabile scelta di abbandonare agli eredi tutti i nostri misfatti”. E allora bisognerebbe far proprio il motto dei giovani madrileni di Puerta del Sol:  Democracia real ya!

(1) Vedi articolo Movimenti e democrazie. Le piazze dell’Unione, in Sbilanciamoci.

(2) Cfr. Indagine Cittalia I giovani di fronte alla politica, 28.

(3) Cfr. Rapporto Cittalia – I Giovani amministratori italiani – Febbraio 211.

(4) Cfr. Indagine 1 Cittalia, “Il futuro in mano a chi? Giovane Italia: una generazione sospesa tra incertezze e voglia di partecipazione”, marzo 29.

(5) Cfr. C. Carboni a cura di, Elite e classi dirigenti in Italia, Laterza, Roma-Bari, 27 e citato anche in Indagine Cittalia, I giovani di fronte alla politica, 28.

(6) Cfr. Censis, Meno mobilità , più ceti, meno classi in Un mese sociale, giugno 26.