Mezzogiorno, beni comuni e uscita dalla crisi

Chi ha a cuore la democrazia e le istituzioni dovrebbe partire da qui, dal Sud

Circa la riflessività , i soggetti del terzo settore già  nel primo corso di formazione avevano percepito che occorreva superare la condizione di frantumazione e le spinte di separazione, conseguenti a una legislazione promozionale a “canne d’organo”, che dagli anni Novanta ha condizionato l’accesso a contributi finanziari e a possibilità  di intervento progettuale. Il sistema regolamentare e di registrazione messo in piedi è troppo rigido, col tempo ha imbrigliato le organizzazioni sociali e ne ha frenato la autonomia e la capacità  di innovazione. Ora però invece che attestarsi sulle differenze identitarie, per tutelare ciascuno l’accesso a contributi e sostegni, la prospettiva aperta da una ricerca sui “beni comuni” ha messo in luce le convergenze e la complementarietà  di attività  multiformi e disperse, che tuttavia solo nell’insieme rivelano quanto possano essere decisive per la convivenza, per la coesione e quindi per qualsiasi sforzo di fuoriuscita dalla crisi che attanaglia il paese.

Un interlocutore insperato

Anche dal lato dei soggetti politico-sociali tradizionali e delle istituzioni di governo del territorio, la riflessività  ha registrato percezioni nuove. La diffidenza dei sindacati circa attività  di cura e assistenza non sottoposte alle categorie classiche dell’occupazione e del lavoro retribuito, cosìcome certi veti sindacali degli anni passati all’ammissione del TS a tavoli di “concertazione” si sono stemperati. L’emergenza di un fronte variegato di attori sociali impegnati per “beni comuni” ha reso le organizzazioni sindacali interlocutori attenti e assidui dei percorsi di FQTS. Tra le forze politiche questa attenzione non è ancora significativa, ma i politici che hanno responsabilità  diretta di governo nel territorio (di ogni tendenza e coalizione) hanno subito registrato positivamente la novità . Assessori, sindaci, organi provinciali e regionali hanno trovato dinanzi a sé non una platea frammentata di postulanti in reciproca concorrenza, cui i tagli rovinosi della spesa pubblica non consentono di rivolgere ormai neppure promesse o programmi elettorali. Un fronte sociale di TS, che parla con spirito unitario di beni comuni e di priorità  da concordare, è apparso interlocutore insperato e talvolta “provvidenziale” di uno sforzo per la “ripresa”, altrimenti impensabile, cui tutti i governanti locali di fatto hanno prestato orecchio.

 

La sussidiarietà  circolare

E’ la messa a tema di un discorso sulle vie di fuoriuscita dalla crisi economica più distruttiva fin qui conosciuta, che cambia il senso dei confronti pubblici promossi dalle iniziative meridionali di FQTS. Ci può essere una speranza? Di sicuro qui ci sono soggetti che vogliono provarci, che già  hanno messo del proprio e che, in una relazione sussidiaria di tipo “circolare” con le istituzioni, si pongono come cittadinanza attiva nel senso positivo e progressivo che ormai da 1 anni ha indicato la Costituzione italiana all’art.118, ma che le prevalenti idee di mera esternalizzazione e dismissione dei servizi pubblici hanno ridotto a pratica di riduzione della responsabilità  dello Stato e dei sistemi locali di welfare. Soggetti sociali e istituzioni al Sud sono dunque percorsi da una “tensione” nuova, che nelle iniziative di FQTS a volte s’è percepita come scossa, salto di intelligenza comune, volontà  ritrovata di provarsi a costruire futuro. Insieme.

Il lavoro per “beni comuni”

L’aspetto più innovativo di questo percorso si mostra tuttavia ora, al compimento del secondo anno: il lavoro per “beni comuni” dà  al Mezzogiorno modo di rovesciare luoghi comuni, pregiudizi, prassi consolidate di antimeridionalismo. Non è la mera lamentazione quella che emerge, non sono determinanti i risentimenti e gli intenti di mettere in campo un leghismo dei meridionali, “muro contro muro”, rispetto alle crescenti sottrazioni di risorse e di tagli alla spesa pubblica che penalizzano anzitutto il Mezzogiorno. La pratica di tagli indiscriminati e le varie manovre finanziarie, sempre più affannose e sempre più insufficienti, rendono chiaro a tutti che non c’è salvezza neppure per il Nord, e che la maggioranza berlusconiana col sostegno della Lega – dopo aver negato che ci fosse una crisi specificamente italiana – appare incapace di impedire una pesante recessione economica, che s’aggrava per una sorta di regressione politica, culturale e sociale che sta portando indietro il paese di cinquant’anni (U. Ascoli). La recessione economica italiana ora mette a rischio la stessa Unione europea. Certo, le responsabilità  dei paesi europei più forti sono gravi anch’esse nell’incapacità  di fronteggiare la crisi economico-finanziaria. Ma quel che il nostro paese potrebbe fare da parte sua non è neppure messo al centro di uno sforzo serio e credibile.

Nuovo capitale sociale al Sud

Fanno parte del rifiuto di confrontarsi per il bene comune la sottovalutazione e la marginalizzazione riservate a quanto di nuovo nel Sud s’è prodotto e soprattutto al fatto che, con lo sviluppo negli ultimi vent’anni di un Terzo Settore non molto minore di quello che tradizionalmente ha caratterizzato il Nord, Nord e Sud almeno sotto il profilo del “capitale sociale” diffuso e delle potenzialità  di ridare efficacia alle istituzioni territoriali hanno oggi possibilità  di recupero e convergenze come mai in passato. Misconoscere la diffusione accelerata di un nuovo capitale sociale al Sud ha comportato un ripiegamento di esso su pratiche “adattive”, che ripristinano blocchi clientelari, dipendenza politica, e il soggiacere a poteri criminali nel territorio, che riverberano poi in tutto il paese (P. Fantozzi).

L’arretratezza come opportunità 

Eppure propria la crisi, con la sua distruttività , rende evidente che per la prima volta il Mezzogiorno ha l’occasione di rovesciare il suo storico “ritardo” economico in ripresa. E’ una occasione non solo per il Sud. Ma per tutto il paese. Tutti sanno infatti che l’Italia, che ora stenta a realizzare una crescita annua dell’1% del Pil (quest’anno faremo lo ,7%), potrebbe salvarsi se almeno riuscisse a non distanziarsi troppo da quel 2% che è il passo attuale dei paesi occidentali più forti (Usa, Germania, Francia). Ma l’incremento di produttività  delle aree economiche più sviluppate ha margini minimi e incidenze percentuali quasi irrilevanti. La crescita delle aree arretrate invece, è noto, dà  nel breve-medio tempo incrementi percentuali significativi. L’arretratezza economica del Sud, il “dualismo” economico del paese, danno al paese tutto una possibilità , altrimenti impensabile (L. Reichlin). Cosa osta a una inversione di rotta di questo tipo?

Partire da qui

Miopia e arcigni egoismi territorial-politici delle aree più ricche, certo. Ma pesa tutta intera la durezza del realizzare trasformazioni culturali e, direi, antropologiche cosìrilevanti, da avviare l’ambiente meridionale a risanamento e liberazione da incombenza delle mafie, dal dominio della cultura della illegalità  e della manipolazione, da prassi amministrative clientelari e discriminatorie, insomma da tutto quello che spiega come il “dualismo” del paese riguardi ormai anche la società  e l’amministrazione. Non possono essere negati gli esiti estremi e degenerati della insuperata “questione meridionale”. Ma è proprio per ciò che la diffusione di un insperato capitale sociale al sud, con sue caratteristiche di generosità  e voglia di riscatto – le tante lotte per la legalità , l’impegno di tanti giovani di restituire al lavoro e alla solidarietà  beni confiscati alle mafie, le mobilitazioni, i monitoraggi civici e le pressioni di cittadinanza attiva contro la corruzione e il degrado ambientale – insomma tutto quello, che in questi anni autonome iniziative sociali hanno messo in circolo, dà  inedite risorse di partecipazione e fiducia. Chi ha a cuore la democrazia e le istituzioni dovrebbe partire da qui: è solo dalla convergenza di opportunità  e condizioni di questo tipo che un discorso di investimenti e ripresa economica può assumere credibilità . La cosa riguarda il Sud, ma per ciò stesso tutto il paese. Non a caso, le prime determinazioni dei corsi di FQTS per beni comuni su cui sperimentare patti di sussidiarietà  indicano il patrimonio ambientale e storico, la cultura e la scuola, il lavoro per i giovani. Chi può negare che tutto ciò non sia essenziale per l’economia?

Un movimento dal Sud, per l’Italia

Il discorso pubblico sui beni comuni si sta facendo fragoroso. E’ una reazione, e una linea di ricerca contro il neoliberismo che ha presieduto alla globalizzazione. Coraggiose anticipazioni di figure isolate di studiosi in ogni parte del mondo sono ora convalidate da spinte di massa, perfino referendum popolari dirompenti, come quello recente per l’acqua in Italia (U. Mattei). Alla costruzione di un movimento consapevole e ambizioso di questo tipo – che deve mirare a riforme di codici, per certi aspetti anche nuovi traguardi costituenti – le iniziative FQTS concorrono a loro modo, dal Sud: non singoli atti, ma un percorso di tanti, convergenze operose, rivitalizzazione delle istituzioni e lotta per dispiegare quell’indirizzo innovativo della Costituzione, che il Terzo Settore per primo ha contribuito a disegnare: riconoscimento della cittadinanza attiva e politica della sussidiarietà  circolare tra cittadini e istituzioni.

Riferimenti

Ugo Ascoli (a cura di), Il Welfare in Italia, Mulino 211, di imminente uscita, nota introduttiva: I servizi sociali in Italia nel nuovo secolo: avanti verso gli anni cinquanta?

Piero Fantozzi, Welfare e Mezzogiorno (ivi)

Lucrezia Reichlin, “Corriere della sera”, 2 settembre 211

Ugo Mattei, Beni comuni. Un manifesto, Laterza, 211