La natura dei beni relazionali e i loro effetti sulla società  moderna

Lo Stato sussidiario, contrariamente al Leviatano, si basa sul rispetto della dignità  di ciascuno e sull ' agire per accrescere, non per diminuire, le autonome capacità  dell ' altro

La contrapposizione pubblico/privato, Stato/mercato, la nozione di bene comune sono infatti messe in crisi da quella che Donati definisce la ” concezione hobbesiana dello Stato ” che ha dominato la modernità .

 

Nel definire il concetto di beni relazionali non si può che ripartire dai singoli termini che lo compongono: bene e relazionale.

 

Per quanto riguarda la nozione di ” bene ” , viene ricondotta alla sua natura eminentemente sociologica, lasciando da parte l’approccio etico, se non per recuperarlo in un secondo momento. Un bene è pertanto ” una realtà  che soddisfa dei bisogni propriamente umani, ed è «buona » in quanto realizza questo soddisfacimento ” . Secondo questa prospettiva ” il concetto di bene equivale a quello anglosassone di good ” quando viene riferito a una «entità  concreta » che viene scambiata e circola tra le persone e i gruppi sociali ” , ma che non si identifica con una merce.

 

Il termine ” relazionale ” rinvia alla relazione sociale ” in quanto realtà  che «fa » la società  e costituisce i fatti sociali ” . Ed è solo in una prospettiva relazionale che è possibile cogliere la specificità  dei beni relazionali. ” Questa teoria ci consente di arrivare a definire i beni relazionali come quelle entità  immateriali (intangibile goods) che consistono nelle relazioni sociali che emergono da agenti/attori riflessivamente orientati a produrre e fruire assieme di un bene che essi non potrebbero ottenere altrimenti ” . In questa prospettiva la relazione assume una sua ” materialità  ” , nel momento in cui diviene essa stessa bene: non è importante che si tratti dell’organizzazione di un asilo nido o della gestione di un parco; fondamentali sono le relazioni che nascono attorno a questi momenti.

 

Introdotto alla metà  degli anni ottanta (1986) da Pierpaolo Donati e Martha Nussbaum, il concetto di beni relazionali si è sviluppato grazie al contributo di diverse discipline, prima fra tutte l’economia, grazie ad autori quali Benedetto Gui, Luigino Bruni e Stefano Zamagni. Come affermava Donati negli anni ottanta, la comparsa di tale nozione è strettamente connessa all’affermazione di ” una sensibilità , in discontinuità  con l’epoca moderna, che esprime l’esigenza di salvaguardare beni comuni che non possono essere trattati secondo la semantica dei diritti individuali o pubblico-collettivi, cioè secondo i codici simbolici moderni dell’utilitarismo e del contrattualismo nelle loro numerose varianti e mescolanze ” .

 

Interessante è l’analisi del rapporto che unisce tra loro i beni relazionali e il capitale sociale (CS). Quest’ultimo infatti costituisce al tempo stesso una precondizione per la nascita di un bene relazionale ed è a sua volta rigenerato da questo. Secondo questa prospettiva, il capitale sociale ” non è la risorsa (la bicicletta) che un individuo può mobilitare (per esempio averla in prestito) usando in modo strumentale la sua relazione con chi può procurargliela. Ma è la relazione stessa, se e in quanto si tratta di una relazione, che ha la potenzialità  di essere sorgente di uno scambio sociale che avviene in una maniera sui generis non di tipo commerciale né politico, ma come azione finalizzata a uno scopo che opera attraverso la fiducia e norme cooperative, mobilitando e risorse accessibili ” .

 

La critica all’utilitarismo di stampo economicista e al contrattualismo hobbessiano, uniti alla necessità  di individuare categorie analitiche volte a superare la contrapposizione pubblico/privato, Stato/mercato rimane il principale filo conduttore della riflessione sui beni relazionali.

In questo caso ad essere chiamata in causa è la funzione regolatrice dello Stato moderno, quale garante supremo del bene comune. Retaggio di una concezione hobbesiana dello Stato e dell’antropologia negativa che la ispira, tale prospettiva è arrivata fino alle formulazioni lib-lab contemporanee. Su queste basi sono nati i sistemi di welfare, eredi del Leviatano e della sua struttura provvidenziale, capace di far calare dall’alto la salvezza. ” Ciò significa rendere irrilevanti le relazioni fra i consociati, sminuire l’importanza delle comunità  e formazioni sociali intermedie (anche come soggetti di cittadinanza), limitare il pluralismo sociale, in sintesi svalutare la socialità  della persona umana, anche e precisamente come elemento costitutivo del welfare ” .

 

Come conseguenza di ciò, il nuovo welfare posthobbesiano si fonderà  su una concezione sussidiaria dello Stato, che a sua volta riconosca che ogni contratto richiede premesse precontrattuali. ” Lo Stato sussidiario, contrariamente al Leviatano, soddisfa queste condizioni. Perché, mentre il contratto che genera il Leviatano si basa sulla sfiducia e il sospetto reciproci, lo Stato sussidiario si basa sul rispetto della dignità  di ciascuno e sull’agire per accrescere, non per diminuire, le autonome capacità  dell’altro ” .

 

Lo Stato sussidiario consente di superare una concezione minima dello Stato e di rifondare il welfare su basi completamente nuove. La chiave di volta di questo rinnovamento diviene la nozione di responsabilità : ” emerge la centralità  del nesso fra libertà  e responsabilità  non solo per quanto riguarda il comportamento dei singoli individui, ma anche per quanto riguarda le conseguenze dei loro comportamenti nei confronti degli altri quale alternativa alla soluzione hobbesiana che solleva gli individui dagli effetti non orizzontali e aggregati delle loro azioni tramite un’autorità  collettiva”. Come aveva già  osservato Tocqueville, in presenza di uno Stato che agisce come un ” nume tutelare ” , gli individui si sentono sollevati da qualsiasi responsabilità  individuale e collettiva, contribuendo cosìalla progressiva disgregazione dei legami sociali.

 

La sussidiarietà  diviene cosìuno dei cardini del welfare posthobbesiano. Si tratta di favorire ” l’integrazione fra una sussidiarietà  verticale propria dello Stato (interna alle sue articolazioni) e la sussidiarietà  orizzontale (nei rapporti fra Stato e organizzazioni di società  civile), a cui io credo si debba aggiungere la sussidiarietà  laterale propria dei rapporti fra soggetti di società  civile ” di cui sono un esempio i rapporti tra impresa e famiglia”.

 

Il modello proposto si presenta non semplicemente come un nuovo modello di welfare, ma si configura anche come un nuovo modello di democrazia, capace di coniugare al suo interno la tutela delle libertà  con l’assunzione di responsabilità , quale passaggio ineludibile per una nuova cultura del bene comune.

 

Pierpaolo Donati e Riccardo Solci, I beni relazionali. Che cosa sono e quali effetti producono, Torino, Bollati Boringhieri, 211.