Un'analisi lucida e scientifica sui beni comuni

Il diritto dell'ambiente apre al giurista uno scenario inimmaginabile e affascinante che capovolge l'ordinamento basato sui diritti soggettivi

Basta parlare di ambiente e di beni comuni in maniera filosoficamente astratta, come se si trattasse di ideali romantici: Giulio Sapelli li fa oggetto di un’analisi laica e concreta, ben più lungimirante delle numerose visioni idealistiche a riguardo. Il concetto di bene comune non è innato nella natura dell’uomo, che ha sempre posto la proprietà  privata a fondamento della sua concezione di società . Niente di più difficile, quindi, far concepire entità  che appaiono astratte e dispersive, come possono essere i common goods e l’ambiente in particolare, alla mente pratica e opportunistica dell’uomo.

L’attuale riluttanza a sentire vicino a sè i beni comuni è il retaggio di una cultura romano germanica ancora radicata, per la quale solo due sono le categorie comprensibili: quella dello Stato e quella della vita privata. L’ambiente, non essendo un bene nè statualistico nè privatistico, non trova adeguata collocazione in una simile impostazione di pensiero. “Niente di più difficile”, quindi, concepirlo in modo diverso, ma anche niente di più necessario.

Come nascono e cosa sono i beni comuni

Nel momento in cui una società  primitiva si evolve, acquisendo competenze tecniche per affermare la proprietà  privata, i beni comuni scompaiono: questo è l’andamento che l’uomo ha conosciuto fino ad ora, ma che è stato messo in discussione non solo da esperienze concrete di nuovi modelli di gestione delle risorse, nella storia passata come quella più recente, ma anche da una teoria, nata nell’Ottocento, la quale massimizza la continuità  di un’organizzazione in opposizione all’efficienza di un singolo.

Partendo da questa base, si comprende come alcune forme di amministrazione delle risorse consentano di ottenere in forma associata dei beni che altrimenti non si otterrebbero e, in modo più specifico, che è possibile mettere in atto dei modelli di gestione cosìefficaci da permettere nel tempo la loro continuazione e la conservazione delle risorse sfruttate.

Come definire a questo punto i beni comuni? La prima distinzione da fare, afferma Sapelli, è quella con i beni pubblici, che appartengono allo Stato. I common goods, infatti, sono astatali: beni materiali e immateriali il cui uso da parte di coloro che ne hanno accesso non compromette quello da parte di altri. L’essere dei beni contendibili è dunque la loro primaria caratteristica. E’ qualcosa di eccezionale se si considera che si è sempre stati abituati a pensare secondo le logiche della proprietà  privata: in questo caso, infatti, il consumo di uno non esclude quello di un altro, anzi, l’utilizzo da parte di più soggetti permette la sua stessa continuazione.

 

Il superamento della tradizionale visione del diritto

La spiegazione di Sapelli continua: qual è allora il problema che impedisce l’utilizzo e la valorizzazione dei common goods e che ha fatto sìche oggi la maggior parte dei beni sia o dello Stato o del mercato? Il fatto che i beni comuni, che si collocano proprio nel mezzo di queste due categorie siano, se non contendibili in sè, contendibili però tra di loro.

Ad esempio, cosìcome la purezza dell’aria è considerata un bene comune di cui tutti devono poter godere, allo stesso modo può essere considerata la mobilità  con l’automobile o con qualsiasi altro mezzo che tutti sappiamo essere inquinante.

E non si può uscire da questo terribile impasse se non con la nascita di una società  dei doveri oltre a quella, esistente, dei diritti. Si tratta in pratica di dover rinunciare a una parte della propria libertà  e per farlo non bastano istigazioni morali, ma sono indispensabili le norme giuridiche.

C’è quindi bisogno del diritto: ciò che fa la dignità  dell’uomo sulla base dell’uguaglianza. “Tutto ciò apre ai nuovi giuristi uno scenario inimmaginabile”, afferma successivamente Filippo Satta, professore della “Sapienza”, che si appella con entusiasmo ai giovani studiosi del diritto, ai quali spetta l’arduo ma affascinante compito di scardinare i pilastri fondamentali degli ordinamenti giuridici basati sui diritti soggettivi.

L’ordinamento che deve venir fuori da una presa di coscienza globale del concetto di bene comune e che quindi contempla l’esistenza dell’ambiente come materia e come diritto di tutti, avrà  il compito di tutelarne la vita e la conservazione, intervenendo quando l’autocoscienza e l’autodisciplina dell’uomo non sarà  sufficiente.