Gli appelli sono motivati dalla gravissima condizione in cui oggi il servizio è ridotto con un finanziamento per il 212 di appena 68 mln di euro, largamente insufficiente a raccogliere la domanda dei tanti giovani di età compresa tra i 18 e i 28 anni. Si chiude cosìuna parentesi importante della storia nazionale di cittadinanza attiva che ha formato tanti giovani dal 1972, anno in cui, con il riconoscimento legislativo dell’obiezione di coscienza all’obbligo di leva militare, veniva di fatto istituito nel nostro paese un servizio civile alternativo a quello militare.
Un epilogo triste di cui non ci si può rallegrare ma neanche sorprendere. E non solo perché il definanziamento del servizio civile è stato costante negli ultimi anni.
L’esperienza italiana
Quella italiana è un’esperienza molto originale e molto differente da quella intrapresa da altri paesi europei e dagli USA. La matrice culturale del servizio civile italiano appartiene al pacifismo e muove da due orientamenti sostanzialmente: il rifiuto dell’autoritarismo, impersonato massimamente dall’obbligo di prestare un servizio presso l’amministrazione militare, la più autoritaria di tutte, e la solidarietà verso i più deboli. Questi due aspetti sono sempre stati legati tra loro: espressione di libertà , la più intensa di tutte come è quella di coscienza, e l’impegno nei confronti della società e dei soggetti più deboli di questa.
La forza delle idee, il coraggio di alcuni giovani straordinari che hanno scontato il carcere per questo e un contesto culturale favorevole quale quello degli anni settanta hanno permesso la nascita del servizio civile in Italia. Sono stati quei giovani e alcune personalità significative, come Don Milani, a dare vita al servizio civile in Italia ed è stato merito anche di alcune realtà associative, tra le più avanzate, recepire la forza di quei giovani per convogliarle entro progetti di impegno civico. Giovani che, seppur obbligati a prestare un servizio, scelgono liberamente di impegnarsi in ambito civile invece che militare entro progetti che le associazioni sociali programmano: un impegno, dunque, di liberalità volontaria, attivo, gratuito per progetti maturati in autonomia dalla società civile.
Queste caratteristiche mostrano da subito la forza e la debolezza dell’esperienza italiana. Da un lato, c’è la dimensione della libertà individuale, che è intesa come liberazione dalle costrizioni autoritarie, dall’altra c’è l’assenza di una partecipazione attiva e coinvolgente delle istituzioni repubblicane. Fatta eccezione per il Parlamento, che ha riconosciuto tale libertà , anche se poi è restato a lungo inerte, e per la Corte costituzionale, che ha ancora recentemente ancorato saldamente il servizio civile tra le esperienze solidali democratiche riconosciute dalla nostra carta costituzionale, le autorità di governo, variamente declinate, hanno mancato totalmente l’opportunità storica di valorizzare queste esperienze in un grande progetto nazionale di educazione civica e democratica. Per tantissimi anni dalla firma della prima convenzione del 1974 che ha dato vita al servizio civile, le pubbliche amministrazioni, la militare innanzitutto, hanno semplicemente tollerato questa novità , prima con ostilità poi con indifferenza. Negli anni a questo atteggiamento se ne è affiancato un altro, cinico e speculativo, che è consistito nel partecipare attivamente alla progettazione di esperienze civili, le quali, tuttavia, fatte lodevoli eccezioni, sono consistite nel reclutamento di persone a basso costo, scollegate da qualunque valenza formativa ed educativa e impiegate male dentro l’attività ordinaria d’ufficio.
La svolta mancata
Alla fine degli anni novanta dello scorso secolo con il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza e la costituzione dell’Ufficio per il servizio civile nazionale, che ha tolto all’amministrazione militare la gestione del servizio civile, sembrava finalmente essersi creata l’opportunità storica per il servizio civile di fare un ulteriore passo in avanti: non solo esperienza di liberazione individuale e di solidarietà sociale, ma anche progetto istituzionale per ripensare le politiche pubbliche in modo attivo con il coinvolgimento diretto dei cittadini, i più giovani tra questi, per una gestione civica di beni comuni.
La speranza di questa nuova alba è però venuta meno per tre ragioni. Nel 2 viene stabilita la sospensione dell’obbligo di leva militare. Questa novità produce alcuni effetti positivi perché consente l’anno successivo di istituire formalmente il Servizio civile nazionale, di svolgere all’estero l’esperienza di servizio civile e consente anche la partecipazione delle donne; al contempo, però, trasforma totalmente l’esperienza fino a quel momento vissuta perché i giovani maschi non sono più obbligati a fare una scelta sulla natura dell’impegno e possono dunque anche scegliere di disimpegnarsi, venendo meno il connotato di liberazione individuale che ha sempre caratterizzato l’esperienza italiana con tutto il carico motivazionale che questo portava con sé. La seconda ragione è determinata dalla modifica del titolo V della costituzione italiana. Il mutato rapporto tra amministrazione statale e amministrazioni regionali determina una condizione di grande incertezza sulle competenze relative alla gestione del servizio civile. Le regioni, titolari da allora della competenza esclusiva legislativa e amministrativa delle funzioni sociali, rivendicano nei confronti dello stato un’autonomia accentuata che sposta il dibattito pubblico sul conflitto istituzionale. La pronuncia costituzionale n. 228 del 24, che continua a radicare il servizio civile nazionale come esperienza solidale civile per la difesa della Patria, non basterà a sopire il conflitto anche per l’inazione dell’amministrazione statale che, nel frattempo, alloca le funzioni di responsabilità a soggetti diversi. Da notare che il nuovo protagonismo regionale non va nella direzione di cogliere gli elementi innovativi dell’esperienza del servizio civile, ma ripercorre le strade già conosciute dall’amministrazione statale sia pure in un contesto mutato e più debole. La terza ragione del deludente sviluppo del Servizio civile nazionale è il disimpegno finanziario complessivo, acuito negli anni più recenti dalla crisi finanziaria. Anche il Servizio civile nazionale finisce per essere considerato un mero costo.
La valenza formativa del servizio civile
La perdita della dimensione di liberazione individuale e la perdurante incapacità della classe politica e dirigenziale di saper immaginare politiche pubbliche attive di gestione partecipata di interessi e beni comuni hanno prodotto un progressivo prosciugamento degli elementi vitali del servizio civile. Quest’ultimo ha continuato a vivere soprattutto per la pervicace e costante attività dei soggetti dell’associazionismo che hanno continuato a dare, pur tra mille difficoltà sempre crescenti, un’occasione educativa e formativa ai giovani, mantenendo ancora in piedi questa bottega civile di democrazia. Nel tempo questa dimensione formativa è stata rilevante anche in termini di accesso al lavoro, dal momento che le professionalità acquisite, soprattutto quelle all’estero, si sono rivelate di grande utilità anche per l’occupazione. E’ emersa dunque una nuova potenzialità del servizio civile che consente di sviluppare capacità e professionisti del fare estremamente interessanti, tenuto anche conto del momento storico in cui le altre agenzie formative, comprese quelle istituzionali, appaiono incapaci di soddisfare questo bisogno e tenuto conto anche della costante miopia dell’imprenditorialità italiana, sempre poco attenta alla dimensione formativa.
Ciononostante hanno prevalso gli elementi negativi ricordati; il servizio civile si basa esclusivamente sulla forza di volontà dei soggetti sociali e sulla loro forza progettuale senza nessuno sforzo di valorizzazione da parte delle istituzioni.
Il rilancio possibile
Eppure, se si volge lo sguardo fuori dai confini, si scopre che è proprio questa dimensione, quella del servizio civile come espressione di politiche pubbliche innovative svolte insieme ai giovani e alle associazioni, che è in grado di rilanciare questa esperienza. Ne sono testimoni i progetti e le azioni dell’amministrazione Obama, che si è già avuto modo di descrivere, ma ne è testimone perfino il Regno Unito, tradizionalmente assai poco incline al servizio civile, che ha deciso di istituire il servizio civile in questi anni sotto la guida del nuovo governo di coalizione. La crisi finanziaria manifesta una sofferenza sempre più crescente della politica e dei soggetti istituzionali a fronteggiare le spinte aggressive dei grandi interessi privati che si presentano con tutta la loro forza distruttiva dei beni e degli interessi comuni. Le istituzioni pubbliche e gli interessi che loro curano sono sotto attacco; il tentativo di governare questi attacchi concedendo di tanto in tanto spazi di ‘pubblicità ‘ o la mera resistenza hanno solo sortito l’effetto di rendere più efficace l’azione predatoria degli interessi privati più forti. Nel contempo si sono inaridite le esperienze democratiche e di partecipazione attiva dei cittadini come quella del servizio civile, perdendo l’occasione di stringere un’alleanza rinnovata, nei modi e nei motivi, per la cura degli interessi generali e per la democrazia stessa.
Da qui, dunque, occorre partire se si vuole davvero riavviare una storia vivace del servizio civile. Labsus ha per questo deciso di aderire alla campagna di rilancio promossa da Vita consapevole tuttavia che serve il coraggio non solo di rilanciare questa esperienza, ma di farlo in discontinuità attualizzando la sua funzione. Ripercorrere stancamente strade già intraprese non servirà al rilancio; ma non è neppure cosìfacile fare a meno del servizio civile se si vuole conservare a lungo termine una struttura sociale davvero democratica. In fondo, oggi come allora, si tratta di nuovo di far rivivere il servizio civile in una dimensione libertaria; non è più individuale e di coscienza, ma è collegiale e di azione.