Secondo incontro della Scuola per la buona politica

Come dobbiamo leggere oggi la relazione pubblico - privato? Quali ricadute su di essa può avere la problematica del " comune " e dei " beni comuni " ?

Come dobbiamo leggere oggi la relazione pubblico – privato? Quali ricadute su di essa può avere la problematica del “comune” e dei “beni comuni”? E’ corretto considerarla una terza via completamente autosufficiente che surroga tanto il pubblico che il privato? Quali sono le forme contemporanee della mediazione istituzionale pubblica?
Tre illustri economisti si sono confrontati su queste complesse problematiche, approfondendo la “paradossale congiunzione tra depotenziamento della sfera pubblica e degrado della sfera privata” generata dalle politiche neoliberali di privatizzazione delle funzioni pubbliche messe in atto negli ultimi trent’anni.

Il secondo apparente paradosso è quello prodotto dalla crisi economico – finanziaria: “l’intervento pubblico è stato riscoperto per salvare dal collasso il sistema bancario e finanziario mondiale e ora che il perdurare di una incredibile disoccupazione e la contrazione del tenore di vita dei ceti medi imporrebbero misure aggiuntive a sostegno dello sviluppo e degli investimenti, si pretende di tornare, specie in Europa, alla fallace ortodossia neoliberista e monetarista delle politiche restrittive e deflazionistiche, drasticamente avverse alla spesa pubblica“.

L’analisi di Laura Pennacchi

Ad aprire i lavori del seminario è stata l’economista Laura Pennacchi, direttrice della Scuola per la buona politica della Fondazione Basso. L’analisi di Pennacchi parte da una considerazione: “l’affermazione del pubblico e la dialettica pubblico – privato sono state il motore dell’evoluzione della modernità . Il pubblico e la pubblicità , intesa come visibilità , evidenza, trasparenza, risalita in generalità , sono il cuore della storia della modernità . Ciò spiega l’iniziale separazione tra liberalismo, più interessato al contenimento e all’equilibrio dei poteri, e democrazia, votata da subito allo sviluppo della sfera pubblica“.

La sfera pubblica si rigenera nell’intersoggettività , nei rapporti sociali, tutto questo è definito da Kant nell’idea dell’ “uso pubblico della ragione”.
La formazione di politiche pubbliche democratiche ha permesso agli individui di esprimere la propria autonomia politica, i propri interessi e le proprie passioni“.
La relatrice ha poi descritto i quattro significati di “pubblico/privato”:

– pubblico come visibile, in contrapposizione a privato inteso come segreto;
– pubblico come generale ed universale (universalismo democratico), contrapposto a privato in quanto particolare;
– pubblico come comune (beni comuni), in quanto contrapposto a privato come esclusivo (proprietà  privata);
– pubblico come istituzionale, in contrapposizione a privato come privativo.

Nella relazione viene citato il costituzionalista Luciani, secondo il quale la rappresentanza giuridica rimane nella sfera della privatezza, senza alcun trasferimento di valori o di idee, la rappresentanza politica invece dal particolare accede al generale realizzando una fictio iuris che rappresenta anche una fictio etica.
La riflessione di Pennacchi si sofferma poi sull’importanza della mediazione istituzionale della sfera pubblica (filtri civilizzatori) e sulla formazione della cittadinanza.

Nel cosiddetto processo di generalizzazione del principio di terzietà  avvenuto nella prima metà  del ‘900 con l’affermazione del welfare state, lo stato estende la sfera della visibilità , diventando garante dei diritti sociali man mano che la formazione della cittadinanza si sviluppa e si articola. Sempre maggiori problemi e materie diventano oggetto della discussione pubblica e la mediazione istituzionale assolve un compito fondamentale.
Pennacchi riprende una definizione di Carlo Donolo, che doveva essere presente al seminario, che considera le istituzioni dei beni pubblici di secondo ordine.
Dopo questa analisi di carattere generale l’economista focalizza lo sguardo sullo scenario dell’attuale crisi globale generata dal modello neoliberista, caratterizzato da una finanziarizzazione estrema dell’economia, da una mercificazione dilagante in ogni aspetto della nostra vita sociale e dalla sostituzione a livello internazionale della norma e della legge con il contratto privato.

La relatrice individua due effetti derivanti dalla crisi che mettono in discussione i quattro principi del pubblico e creano un profondo vuoto istituzionale: una desocializzazione dell’individuo e una naturalizzazione dell’economia (leggi di natura/economiche indiscutibili).
L’abbandono della responsabilità  pubblica, a vantaggio della presunta immediatezza della società  civile, non solo ha messo in discussione l’intero paradigma della modernità  (esclusione del garante istituzionale, prevalere delle relazioni particolari ai principi universali) ma ha generato in realtà  profondi problemi sociali; la big society di Cameron ne è una testimonianza.

Pennacchi continua osservando come il neoliberismo, nonostante l’evidente fallimento decretato dalla crisi globale, non sia sconfitto ma che al contrario, con l’austerità  fiscale generalizzata in Europa e la nuova ondata di privatizzazioni, sia tornato a dominare “in particolare con il suo dogma dell’arretramento del perimetro pubblico“. Il trinomio “meno tasse, meno regole, meno stato”, alla base del neoliberismo, è stato praticato all’insegna del principio “starving the beast” (“affama la bestia” e la bestia sono gli Stati ed i governi), in questa visione anche l’idea di responsabilità  collettiva di conseguenza viene messa in discussione.
In quest’ottica la relatrice è convinta sia necessario rivalutare fortemente il ruolo del “comune” nella triangolazione pubblico/privato/comune; “il comune non può però far sparire la mediazione istituzionale e la sfera pubblica e non può nemmeno essere usato come mistica per la risoluzione di ogni criticità “.

L’intervento si conclude con alcune considerazioni sulla metafora dell’ “oscillazione del pendolo” che in realtà  non spiega e non esaurisce la dialettica pubblico/privato nella quale si concretizza una “strong battle“, espressione utilizzata dai democratici americani in riferimento alla battaglia sui principi fondativi della modernità . A questo proposito l’economista ha affermato di apprezzare le politiche portate avanti dall’amministrazione Obama, che oltre a prevedere forti investimenti nella ricerca e nelle opere pubbliche, concettualmente puntano alla rivalutazione del ruolo della comunità  e della fraternità .

Riferimenti bibliografici:

– De Leonardis O., L’onda lunga della soggettivazione: una sfida per il welfare pubblico in “La Rivista delle Politiche Sociali”, 2006;

– Pennacchi L. (a cura di), Pubblico, privato, comune. Lezioni dalla crisi globale, 2010, Ediesse, Roma;

– Stiglitz J., Freefall: America, free markets, and the sinking of the world economy, 2010, Norton.

La relazione di Pierluigi Ciocca

L’incontro è proseguito con l’intervento dell’economista ed ex vice direttore generale della Banca d’Italia Pierluigi Ciocca.

L’economista ha sviluppato la sua riflessione intorno ad un’ipotesi: “un’economia di mercato capitalistica non esisterebbe senza la presenza della sfera pubblica; senza stato quindi il capitalismo non si sarebbe affermato“.
Secondo Ciocca il sistema capitalistico ha prevalso nel mondo per due ragioni principali: perché non sono emerse alternative praticabili e perché questo modello sviluppa incredibilmente le forze produttive.
In due secoli infatti la produzione mondiale è aumentata del 60%, il PIL medio invece solo del 6/7%.

Il relatore prosegue: “Il laissez faire non è mai esistito, non può esistere, è pura astrazione; Adam Smith lo aveva compreso per primo“, poi citando “La ricchezza delle nazioni” dello stesso Smith elenca le funzioni pubbliche essenziali per l’esistenza del sistema capitalistico, “i doveri del sovrano“:

– proteggere la società  dalla violenza e dall’aggressione di altre società  (spesa militare; che nella Gran Bretagna del ‘600 già  superava il 50% della spesa pubblica);

– proteggere per quanto possibile ogni membro della società  da ogni forma di ingiustizia (spesa per la giustizia);

– erigere e conservare opere ed istituzioni pubbliche (che per quanto estremamente utili ad una grande società  sono però di natura tale che il profitto non potrebbe mai rimborsarne la spesa ad un individuo o ad un piccolo gruppo di individui, sicché non ci si può aspettare che essi possano erigerle o conservarle) con l’obiettivo di favorire l’economia di mercato e l’istruzione.

Viene poi effettuata una digressione storica sull’andamento crescente della spesa pubblica nei Paesi occidentali.

Il ruolo economico dello stato non cessa di crescere ed assume almeno sei forme: stato legislatore, stato produttore, stato allocatore, stato redistributore, stato stabilizzatore, stato regolatore“.

Le forme dell’esperienza giuridica” hanno un effetto enorme sull’economia, a questo proposito il relatore spiega come sia falsa l’ipotesi secondo la quale la crisi sia dovuta ad una finanza non regolamentata, secondo Ciocca le norme c’erano, forse bisognerebbe discutere sulle forme e sulla moralità  di queste norme.

Ciocca termina il suo contributo sottolineando la forte instabilità  del capitalismo, un sistema “iniquo, inquinante ed instabile” appunto, che genera crisi sistematicamente e continua a crescere solo grazie agli interventi pubblici dello stato che provvede a stabilizzarlo; “senza stato il capitalismo imploderebbe, poiché anche la capacità  di sviluppare le forze produttive è ormai in dubbio in molte parti del mondo“.

L’intervento di Roberto Schiattarella

La terza relazione è stata quella dell’economista e docente Roberto Schiattarella, che ha ritenuto necessario iniziare il suo intervento con una breve introduzione sulle modalità  attraverso le quali si è arrivati a definire in questo modo il rapporto pubblico – privato.

Secondo l’economista bisogna considerare tre livelli/elementi: gli interessi internazionali, i modelli costruiti in funzione degli interessi, la cultura che legittima i modelli e “lubrifica”, fa funzionare lo sviluppo del modello.

Nel dettaglio, per comprendere il livello degli interessi per Schiattarella bisogna analizzare la politica degli Stati Uniti, paese egemone il cui modello di sviluppo democratico “è andato bene per se stesso e per gli altri” dal dopoguerra fino agli anni ’70 dopodiché, con la progressiva perdita di egemonia (“minaccia” giapponese), cambia il modello, “cambiano le regole del gioco“. La finanza occupa uno spazio centrale e viene adottata una nuova politica del debito pubblico secondo la quale il virtuoso che detiene un credito si impone su chi è in debito; si determina cosìun nuovo quadro geopolitico.

Viene aperta una parentesi sul tema della finanza, “la stato è l’unico che può competere con il mercato finanziario (…) le privatizzazioni sono una procedura tecnica per aprire spazi alla finanza e per creare un collegamento strutturale con la politica“.

Schiattarella continua il suo intervento approfondendo l’elemento cultura; quella attuale è caratterizzata dalla convinzione che l’unica scienza che conti sia quella economica, la scienza dell’efficienza, e dall’idea che l’efficienza si sovrapponga all’interesse generale; per realizzare gli obiettivi pubblici bisogna quindi migliorare l’efficienza.

Il concetto di flessibilità  è la testimonianza che le esigenze della società  sono subordinate alle esigenze dell’economia“. La cultura del pubblico scompare perché non ha più spazio.

La relazione si conclude con uno sguardo sul futuro con la riproposizione dell’analisi suggestiva di Arrighi, che in parte conferma lo schema proposto da Schiattarella in precedenza per gli USA. Arrighi infatti interpreta lo sviluppo del capitalismo attraverso fasi sempre identiche che si concludono quando la finanza mobilita le risorse che andranno trasferite al nuovo paese egemone.